L'ENIGMA DEI PLEIADIANI

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    BIOLOGO TEORETICO

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    Alla fine degli anni Settanta lo svizzero Eduard Billy Meier fornì le prove dei suoi incontri con umani provenienti da una lontana costellazione. A tutt’oggi il caso è aperto.

    di Jim Dilettoso


    [Eduard Billy Meier]La prima volta che ne sentii parlare era il 1977, avevo 28 anni. Il colonnello Wendelle Stevens (USAF, in pensione) e Jim Lorenzen, fondatore e direttore dell’APRO (Aerial Phenomena Research Organization), vennero a trovarmi per discutere dell’analisi da effettuare su alcune foto di UFO fatte da uno svizzero di nome Eduard "Billy" Meier. In passato avevo lavorato come artista e produttore musicale, e a quel tempo organizzavo tour per Alice Cooper e altri grandi del Rock. Ero aggiornato sulle ultime novità nel campo dell’analisi digitale, audio e video, sapevo quindi come approcciare il progetto. Quelle di Meier furono le prime foto di UFO che avessi mai visto e mi impressionarono molto. Ancora oggi rimangono per me tra le più sconvolgenti immagini di UFO che conosca. Ero del parere che tutta la storia di Billy Meier fosse di enorme importanza, andava analizzata con la massima attenzione e diligenza. Non solo: una donna, proveniente dalla costellazione delle Pleiadi, aveva posato per lui, con la sua astronave, per farsi riprendere. Se solo lo avessimo rivelato, il mondo sarebbe diventato un posto totalmente diverso, ma sono stato un ingenuo. Billy Meier vive in Svizzera, un paese bellissimo, democratico e politicamente neutrale, ricco di vallate e campagne, uno scenario perfetto per le oltre 500 foto scattate da Meier e per un appuntamento con un’avvenente figura femminile dello spazio, la cui "fuoriserie" poteva viaggiare alla velocità della luce. Di più: la ragazza aveva dato un passaggio a Meier in uno dei quattro tipi di astronavi pleiadiane, viaggiando attraverso il tempo e raccogliendo campioni dei loro metalli.
    In America le cose andavano un po’ diversamente. Il tentativo di trovare attrezzature ed esperti di elaborazione di immagini, che fossero d’aiuto nell’esaminare foto di UFO si rivelò piuttosto frustrante. Nel 1978 i computer erano workstations e calcolatori. Lo stato dell’arte era rappresentato da elaboratori di immagini dotate di 64K di Ram e un disco fisso da 5 MB, il tutto al costo di 100.000 dollari. Il prezzo di uno scanner da tavolo partiva da 50.000 dollari e la cosa peggiore era che la maggior parte delle attrezzature si trovava in laboratori di proprietà del governo statunitense e agenzie della Difesa, o da loro controllati. Con Wendelle Stevens ci rivolgemmo a diversi centri di ricerca della NASA e delle migliori compagnie americane, tra le quali IBM e Northrop, e organizzazioni quali la U.S. geological Survey e la Marina Americana. Era come "Missione impossibile". Penetrare nei laboratori Sandia e della Jet Propulsion voleva dire disporre di credenziali speciali e a volte anche dell’inganno per convincere qualcuno ad assisterci. Per alcuni dei tecnici il caso era un falso, ma i risultati di laboratorio dicevano il contrario.
    Nonostante questo perseverammo e alla fine trovammo molti professionisti che, in segreto, testarono quelle foto di UFO. Punto critico, la segretezza. Questi laboratori di norma non erano autorizzati a seguire progetti personali come l’analisi di foto di UFO, quindi, quando successivamente altri ricercatori indagarono sul caso, conducendo ricerche sui luoghi in cui eravamo stati, avrebbero negato, come d’accordo, di essere stati coinvolti in qualsiasi modo nell’analisi delle foto di UFO di Billy Meier. Sebbene nemmeno un laboratorio riuscisse a stabilire che le foto erano false, gruppi ufologici quali l’APRO e il MUFON le bollarono come tali, e il campione del discredito divenne Kal Korff. Volevo capire come mai quelli che ritenevano false le foto di Meier ci mettessero tanta passione. Scoprimmo, da parte dei debunkers, menzogne e imbrogli che continuano ancora oggi e, come in tutti i casi più importanti, l’opera di discredito di quanti erano stati coinvolti nel caso fu condotta accuratmente: colpirono Meier e la sua famiglia, ed anche il sottoscritto. Non c’erano prove del falso, ma devo ammettere che la vicenda suonava un po’ sospetta. I contatti avvenivano mediante deboli segnali che Meier riceveva telepaticamente. Nonostante la sua menomazione (aveva perso un braccio in un incidente automobilistico, in Turchia nel 1963, N.d.R.) Meier inforcava il suo motorino e si recava nel bosco per incontrare Semjase, una saggia pleiadiana di 400 anni. Le Pleiadi formano la costellazione delle "Sette Sorelle" venerata dai Greci, Maometto, gli antichi egiziani (il cui tempio di Hator è orientato verso la costellazione) e i giapponesi (che la chiamano Subaru). Tradizioni della tribù africana dei Dogon, dei Lakota Sioux e degli Ojibwa, raccontano di antichi contatti con la gente delle Pleiadi. Ma non un semplice contadino svizzero. Billy Meier affermò di avere avuto almeno 100 incontri faccia a faccia con Semjase. Nel tempo, questi contatti sarebbero proseguiti. Cominciai ad analizzare campioni di metallo e acquistai un computer grafico per le immagini. Si vociferava di un libro e di ud documentario. Ma dovevo districarmi tra le indagini ufologiche e le promozioni dei tour musicali.
    Dovevamo scegliere dove effettuare i test, ad esempio la struttura dei laboratori JPL della NASA. Avrei fatto le ricerche, ottenuto qualche nome, chiamato Wendelle Stevens e ne avremmo discusso nel nostro codice. Dal cancello di entrata in poi incontrammo pochi ostacoli: le nostre credenziali ci consentirono di entrare ovunque. Ci si incontrava sempre con un nostro "collegamento" al bar o al centro ricreativo del personale (ERC). Fra un hot dog e una bistecca, mostravamo le foto ai nostri contatti, poi giungevamo in prossimità di una stanza simile al centro di controllo del NORAD, dove era disponibile il massimo della tecnologia a noi utile. Seduti ad un tavolo in una struttura di sicurezza del Deep Space Network, con esperti in analisi di immagini si discuteva di materiale fotografico sugli UFO. Tutto sembrava comunque troppo facile. Avendo libero accesso ad apparecchiature costosissime e con l’aiuto delle migliori menti del programma spaziale, pensavamo che ne saremmo usciti con qualcosa di buono.
    Tuttavia, con il passare del tempo, iniziai a sospettare che qualcuno fosse a conoscenza di ogni nostra mossa e stesse favorendoci ad hoc, aprendo solo alcune porte. I risultati delle analisi erano sempre "positivi", non mostravano prove che si trattasse di un falso. Ma la situazione andava complicandosi: i tecnici si mostravano impressionati dalla qualità delle foto, ma volevano discutere delle altre prove, dei campioni di metallo, delle tracce di atterraggio e, cosa più importante, dei veri e propri contatti. Ci sembrava di fornire dei briefings a livelli altissimi. E nessuno poteva parlarne, o filmare alcunché.
    Al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena mi venne un’idea: di lì a poco la navicella spaziale Voyager avrebbe intrapreso il suo viaggio verso Giove. Stavamo lavorando al tour mondiale del leggendario gruppo dei Moody Blues e la proposta fu quella di intitolare sia il tour sia il nuovo album "Voyager", usare video e foto della missione spaziale forniti dal JPL per il tour. Alla NASA ne furono entusiasti, e anche i componenti della band. Allo stesso tempo, Junichi (Jim) Yaoi della Nippon TV ci assunse per acquisire immagini dal JPL e inviarle in Giappone. Le videocamere erano la chiave! Ma c’era una seconda buona ragione per tenere i contatti con il JPL: accedere a tutti i laboratori con una videocamera, grazie al nostro passi per la stampa, ottenemmo dalla NASA una suite del centro media e relazioni pubbliche Von Karman. I giornalisti del National Geographic e Ted Koppel (famoso anchorman della ABC, N.d.R.) dovevano passare per la nostra suite per raggiungere le loro scrivanie. In sostanza, girammo tutto il possibile. Ma non potevamo ancora parlare delle nostre esperienze. Quando Steven e Welch (Tom, uno dei riucercatori inzialmente coinvolti nelle indagini con i coniugi Elders, N.d.R.) si presentarono con una scatola contenente campioni di roccia le cose presero un’altra piega. Prima cosa da fare: un inventario. In un hangar dell’aeroporto Scottsdale, in Arizona, sistemammo su un telo nero grande quanto un campo di basket tutti i campioni di roccia. L’elenco dei potenziali scienziati che avrebbero condotto i test era altrettanto vasta. Alla fine, la nostra scelta cadde su Marcel Vogel della IBM. Non solo Vogel aveva sviluppato i fosfori televisivi a colori e le emulsioni magnetiche per i floppy disk, ma aveva lavorato a ricerche paranormali con l’astronauta Edgar Mitchell e il suo istituto di Scienze Noetiche. Era l’uomo giusto: di mentalità aperta, credibile e, soprattutto disponeva di un laboratorio incredibilmente avanzato, con le ultime novità nei microscopi a scansione elettronica. Sulle prime Vogel si mostrò scettico, ma lo convinsi a dare almeno un’occhiata a quanto avevamo scoperto. Più di quanto mi aspettassi, ne fu meravigliato. Nella stessa sostanza risultavano presenti tutti gli elementi atomici da 1 a 59; materiali organici erano fusi a freddo e miniaturizzati. Vogel non riusciva a capire come fosse possibile. Sebbene avesse acconsentito a mantenere l’assoluta segretezza, appurammo che aveva condiviso le scoperte con il ricercatore aerospaziale NASA-Ames Richard Haines e con il dottor James Hurtak. La prova più importante del caso Meier erano i campioni di metallo - per un totale di una trentina di libbre di materiali - ma ben presto alcuni dei campioni iniziarono a sparire.
    Come per le immagini, non potevamo parlare del fatto che eravamo in possesso di prove decisive. Di come fossero composte le macchine volanti che viaggiavano nel tempo e nello spazio. Che svolta per i fisici e per l’intera comunità aerospaziale. Non solo avevamo davanti la struttura atomica di quelle macchine, Billy Meier era in grado di spiegare come erano composti i materiali e come le astronavi fossero in grado di volare. Sfortunatamente quando le prime informazioni iniziarono a circolare, l’intero caso venne trattato come un imbroglio. E nessuno gli diede peso. Cercammo di aumentare la sicurezza. A Lee Elders e Tom Welch fu imposto di mantenere intatte le prove e tenere buoni i ricercatori. Io dovevo occuparmi dell’inoltro dei materiali ai laboratori di nostra scelta, da cui ottenere dei "debriefings" (rapporti informativi). Si andò formando un "collegio invisibile"; gli scienziati ai quali avevamo mostrato le prove erano ansiosi di saperne di più. Intanto, le organizzazioni ufologiche si dichiaravano convinte che fosse tutto una truffa. Così, per ragioni di sicurezza, a prescindere dal parere dei debunkers, a loro non sarebbe stata fornita alcuna informazione. Erano fatti troppo importanti per dei dilettanti. Verrà tutto rivelato, si disse, in un libro. Questo aveva senso: il controllo operativo sarebbe stato assicurato diffondendo le informazioni tramite un libro. "UFO Contact from the Pleiades" di Lee Elders fu pubblicato nel 1979. Si scatenò l’inferno. Tutti, da Shirley Maclaine ad Alain Klein (socio dei Beatles nella ABKCO) lo volevano sulle scene. Pleiadi stava per diventare una parola abituale. Tenemmo dei meeting agli Universal Studios: c’erano libri e cassette sulle Pleiadi dappertutto. Barbara Marchiniak avrebbe canalizzato i messaggi dei pleiadiani. E il MUFON era su tutte le furie, perché non lo avevamo coinvolto in nulla.
    L’obiettivo delle analisi, purtroppo, si era perso nella confusione generale. Lo scopo era avere le prove per "provare l’esistenza" degli extraterrestri? Pensavo che lo scopo fosse corroborare con prove la validità del caso per poter studiare i contatti faccia a faccia. Non era più importante conoscere quello che i Pleiadiani avevano da dire? Da dove venivano? Cosa pensavano? Cosa dicevano? Semjase aveva incontrato Billy Meier più di 135 volte. Aveva portato con sé altri ET: Ptah, Asket e Quetzel. Avevano tutti sembianze umane. Visitavano la Terra da molto tempo. Diedero a Meier sconvolgenti informazioni su diversi argomenti, dalla scienza alla filosofia. Si mostravano preoccupati per noi umani, i fratelli minori. Stavamo, e lo facciamo ancora, distruggendo noi stessi e il nostro pianeta. Proliferano le armi nucleari, le carestie, le malattie e religioni prive di senso, non contribuiscono ad elevare spiritualmente i loro fedeli... queste erano le chiavi dei loro messaggi. A me i messaggi suonano veritieri. Qualcosa, dalle parole di una donna che viene dallo spazio, ci viene in aiuto. Si avverte che quelle parole sono rivolte a ciascuno di noi affinché si faccia qualcosa riguardo la condizione umana. Più forti saranno gli attacchi dei debunkers più rilevanti diventeranno i messaggi dei Pleiadiani. Bene, su questo caso sono stati pubblicati dei libri, ne è stato fatto un documentario; i Pleiadiani sono arrivati nel nostro mondo.

    Chi è Jim Dilettoso:
    Ingegnere ed analista di computer grafica, già collaboratore dei laboratori JPL NASA per la realizzazione dei simulatori grafici di volo per il Voyager team, attualmente presidente della Village Labs di Phoenix, Arizona, specializzata in "image rendering" e software informatico high tech.
     
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