In un gene la chiave invecchiamento arterie

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    In un gene la chiave invecchiamento arterie


    La chiave dell'invecchiamento delle arterie sta in un particolare gene, il p66: mediante l' inattivazione del gene, dunque, e' possibile proteggere le arterie da tale processo di degrado. La scoperta, che apre le porte a studi mirati per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, e' di alcuni ricercatori dell'Universita' La Sapienza di Roma ed e' stata pubblicata sull'ultimo numero della rivista Circulation.
    Proprio l'inattivazione del gene p66, dimostra la ricerca dell' Universita' La Sapienza Ospedale Sant'Andrea (coordinata dai professori Massimo Volpe e Francesco Cosentino), protegge dall' invecchiamento l'endotelio vasale, cioe' la parte piu' interna della parete delle arterie. I ricercatori hanno infatti provato sugli animali che una particolare mutazione del gene p66, con conseguente inattivazione della proteina da esso codificata, protegge dal progressivo invecchiamento dei vasi, che e' a sua volta fondamentale nel determinare la durata di vita. Da tempo si sa che l'eccessiva produzione di radicali liberi dell'ossigeno, e quindi lo stress ossidativo, e' uno dei motivi della disfunzione endoteliale che si manifesta con il passare degli anni e che la proteina p66 controlla la risposta cellulare allo stress ossidativo stesso.
    La ricerca italiana, misurando in laboratorio sull'aorta di topo i principali parametri legati allo stress, ha dimostrato che l' inattivazione del gene p66, che controlla l'attivita' della proteina corrispondente, protegge dall'invecchiamento l' endotelio dei vasi sanguigni. Questa osservazione, e' il commento dei coordinatori dello studio, ''oltre che risultare estremamente utile sotto il profilo scientifico, apre la porta allo studio di trattamenti specifici su questo meccanismo, mirati a prevenire le malattie cardiovascolari''.
    Fonte: Ansa (17/11/2004)

    (fonte: molecularlab.it)
     
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    Ifom-Ieo svelano meccanismo invecchiamento cellulare

    L'invecchiamento delle cellule non ha piu segreti. Un gruppo di ricercatori italiani, del Campus Ifom-Ieo di Milano, ha scoperto il meccanismo d'azione del gene P66, il principale responsabile dell'invecchiamento cellulare nei mammiferi. Lo studio, finanziato dall'Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), sara pubblicato domani su Cell, la più importante rivista sulla biologia cellulare.
    Sei anni fa abbiamo dimostrato che la lunghezza della vita dei mammiferi è geneticamente determinata: nell'animale, inibendo l'attività del gene P66, la durata di vita aumenta del 30% - spiega Pier Giuseppe Pelicci, direttore del Dipartimento di oncologia sperimentale dellIstituto europeo di oncologia e coordinatore della ricerca - Oggi sappiamo come questo avviene. Possiamo trovare, dunque, una o più molecole in grado di bloccare l'attività di P66 per ottenere non solo una durata maggiore della vita, ma soprattutto piu anni in salute, senza le malattie legate all'invecchiamento cellulare come l'arterosclerosi, il Parkinson, l'Alzheimer e il cancro. Da tempo sappiamo che all'interno della cellula i mitocondri producono l'energia necessaria alle funzioni vitali - afferma Marco Giorgio, primo firmatario dello studio su Cell - ma il costo biologico di questa produzione sono i radicali liberi, molto pericolosi per la cellula stessa perché possono causare mutazioni dannose nel Dna e nelle proteine. Studiando a fondo questo gene, i ricercatori hanno scoperto che il mitocondrio non produce radicali liberi come rifiuto, ma in maniera specifica attraverso P66.
    Non bisogna pensare, pero', che esista in natura un gene cattivo. Anzi, spiega Enrica Migliaccio, coautrice delle ricerche, P66 ha una funzione evolutiva e senza di lui la nostra specie sarebbe meno complessa. In pratica, è il gene regolatore del rinnovamento dei tessuti, basato su un equilibrio fra cellule che si danneggiano e muoiono e cellule che si formano e crescono. Il prezzo biologico che paghiamo per questo ricambio vitale è l'invecchiamento. Una scoperta con notevoli implicazioni pratiche. E questione di tempi e di risorse impegnate - sottolinea Pelicci - trovare inibitori di questo affascinante gene per perseguire una più lunga qualità di vita.
    Fonte: AdnKronos (28/07/2005)

    (fonte: molecularlab.it)
     
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    Bloccando un gene si vivrà 25 anni in più Svelato il segreto dell’invecchiamento. Veronesi: utile per le malattie degenerative

    Il dottor Faust vendette l’anima al diavolo per un’eterna giovinezza mai ottenuta. Non sapeva ancora che il segreto è in un piccolo tratto di Dna, un gene. Non quello dell’immortalità, ma di una vecchiaia in salute giovanile. Particolare importante: bloccando questo gene la vita media si allungherebbe di un 30 per cento. Tradotto: se la media attuale è 78-80 anni, potrebbe toccare i 100-105 anni. E tutto ciò senza dover scendere a patti con il diavolo. Il gene è il P66shc. La scoperta, tutta italiana, è avvenuta in due tempi: nel 1999 (storica la pubblicazione su Nature) l’identificazione di questo frammento di Dna anti-aging; nel 2005 (la pubblicazione su Cell, la più importante rivista scientifica al mondo di biologia cellulare) ecco il suo meccanismo d’azione. Lo studio è stato finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc). «Sei anni fa dimostrammo che gli anni di vita dei mammiferi sono geneticamente determinati, incidenti a parte: nell’animale, inibendo l’attività del gene P66, la durata di vita aumenta del 30 per cento — spiega Pier Giuseppe Pelicci, direttore del Dipartimento di oncologia sperimentale dell’Istituto europeo di oncologia e coordinatore del gruppo Ieo-Ifom autore della ricerca —. Oggi sappiamo come questo avviene. Siamo quindi, dal punto di vista scientifico, nella posizione di trovare una o più molecole in grado di bloccare l’attività di P66 per ottenere non solo una durata maggiore della vita, ma soprattutto una durata maggiore della vita sana, senza le malattie connesse all’invecchiamento cellulare, come l’aterosclerosi, il Parkinson, l’Alzheimer e il cancro».
    Soddisfatto il professor Umberto Veronesi, direttore scientifico dello Ieo: «Tutte le ricerche che indagano l’invecchiamento sono importanti, proprio per riuscire a raggiungere un allungamento della vita in buona salute. La scienza non si interessa dell’immortalità, ma delle malattie degenerative legate all’invecchiamento. Noi dobbiamo studiare come preservare la migliore qualità di vita possibile». Ma come funziona questo P66? Marco Giorgio, primo firmatario del lavoro su Cell, cerca una spiegazione comprensibile ai profani: «Da tempo sappiamo che all’interno della cellula i mitocondri (le "centrali elettriche" cellulari, ndr) producono l’energia necessaria alle funzioni vitali, ma il costo biologico di questa attività sono i radicali liberi (rifiuti) e acqua ossigenata (H2O2). In una vita media, di circa 75 anni, un uomo produce circa due litri di acqua ossigenata. L’H2O2 è molto pericolosa per la cellula stessa, perché tende, a causa delle reazioni termodinamiche che innesca, a indurre mutazioni dannose nelle proteine e nel Dna che costituisce i geni.
    Da qui invecchiamento e morte. Studiando a fondo P66 abbiamo scoperto che il mitocondrio non produce H2O2 per caso, ma volontariamente. La proteina prodotta dal gene P66 lavora nel mitocondrio, dove sottrae elettroni per legarli a molecole di ossigeno e produrre proprio H2O2». Maallora P66 è un gene «cattivo »? «Non esistono in natura geni "cattivi" — replica Enrica Migliaccio, coautrice delle ricerche —. Anzi, P66 serve a regolare i cicli fondamentali delle cellule nell’uomo e in tutti i vertebrati: dalla morte (apoptosi) alla nascita di nuove cellule. E’, in pratica, il gene regolatore del rinnovamento dei tessuti. Il prezzo biologico che paghiamo per questo ricambio vitale è proprio l’invecchiamento ». Quindi perché si deve andare a bloccare P66? «La scoperta del meccanismo d’azione di P66 ha implicazioni filosofiche —conclude Pelicci —. Dal punto di vista evolutivo, è chiaro che l’invecchiamento non ha alcun interesse. La natura lo considera un evento poco rilevante ai fini della conservazione della specie. Ha però implicazioni pratiche. Poiché noi oggi non viviamo in condizioni naturali, possiamo biologicamente fare a meno di P66 e combattere l’invecchiamento. E’ solo questione di risorse poter trovare inibitori di questo affascinante gene per perseguire una "più lunga" qualità di vita». I tempi? «Pochi anni con i fondi adeguati. Conosciamo la reazione chimica e già esistono dei potenziali inibitori: vanno provati».
    Mario Pappagallo
    29 luglio 2005

    (fonte: www.corriere.it)
     
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    Per chi fosse interessato ad una lettura prettamente scientifica, consiglio questo link:

    invecchimento e cancro
     
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  5. Foster83
     
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    Grande risultato.. speriamo di riuscire a far ein modo che questo gene duri il più possibile, anche se la vedo dura.. ma nulla è impossibile alla scienza.. wink.gif
     
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  6. many654321
     
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    Volevo chiedere se attualmente esiste qualche farmaco inibitore del gene P66 responsabile dell'invecchiamento cellulare...considerando che oramai (se non sbaglio) sono passati quasi 5 anni dalla scoperta di questo gene.
    Grazie.
     
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  7. M111
     
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    essendo un semplice studente non so risponderti, ti consiglio però di consultare pubmed, se c'è qualcosa non puoi che trovarla li
     
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  8. WinterAngel
     
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    wow apparte le malattie...potrebbe essere usato come scappatoia alla morte per vecchiaia...? O.o

    cmq prima o poi...che sia a 90 anni...o a 120...ce ne dobbiamo andare...ce ne dobbiamo fare una ragione ;)
     
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  9. M111
     
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    si, 120 anni è il limite fisiologico umano
     
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  10. WinterAngel
     
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    wow azzeccato senza sapere :huh:
     
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9 replies since 31/7/2005, 11:11   583 views
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