La resistenza alla nevirapina

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    BIOLOGO TEORETICO

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    08.06.2005

    La resistenza alla nevirapina
    L'incidenza è particolarmente elevata nelle donne infette dal sottotipo C dell'HIV-1


    L'incidenza della resistenza associata con una singola dose di nevirapina, un farmaco usato per prevenire la trasmissione dell'HIV-1 da madre a figlio, potrebbe essere sostanzialmente più alta di quanto si riteneva in precedenza e rappresentare un rischio particolare per i pazienti infetti dal sottotipo C del virus HIV-1. Lo sostengono tre nuovi studi pubblicati sul numero del primo luglio della rivista "The Journal of Infectious Diseases".
    Una singola dose di nevirapina, somministrata durante la gravidanza a una donna incinta infetta da HIV, può ridurre della metà il tasso di trasmissione del virus dalla madre al figlio. La relativa semplicità e la disponibilità del farmaco lo hanno reso molto popolare nella prevenzione della trasmissione verticale dell'HIV in molti paesi in via di sviluppo.
    Le nuove ricerche consentono di conoscere meglio i rischi della resistenza al farmaco associata alla nevirapina, anche se le implicazioni cliniche per i pazienti non sono chiare. Saranno necessari altri studi per determinare se la nevirapina usata per impedire la trasmissione verticale del virus alteri le probabilità di successo di trattamenti futuri con inibitori non nucleosidici della transcriptasi inversa (NNTRI), la classe di farmaci cui appartiene la nevirapina.
    Due studi (guidati rispettivamente da Jeffrey A. Johnson del Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta e da Susan H. Eshleman della Johns Hopkins University di Baltimora) analizzano l'incidenza della resistenza associata alla nevirapina usando test di laboratorio più sensibili delle normali analisi genotipiche. Il terzo studio, anch'esso di Eshleman e colleghi, ha indagato se i tassi di resistenza alla nevirapina differiscano a seconda del sottotipo di HIV-1, scoprendo che la frequenza di mutazioni associate con i farmaci NNTRI risulta significativamente più elevata nelle donne infette dal sottotipo C del virus (69 per cento) rispetto a quelle con il sottotipo A (19 per cento) o D (36 per cento). Il sottotipo C è quello più comune in molti paesi in via di sviluppo.


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