Il timer delle cellule

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    BIOLOGO TEORETICO

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    BIOLOGIA Il timer delle cellule Una via promettente nella lotta al cancro
    Autore: CALISSANO PIETRO
    ARGOMENTI: BIOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
    LUOGHI: ITALIA
    TABELLE: D. Tipi di cellule umane



    IN autunno ciascuno di noi ha modo di assistere a un fenomeno di straodinaria grazia e levità: la caduta delle foglie. Ritengo che pochi, passeggiando tra gli alberi, siano sfiorati dal pensiero di assistere a un evento letale. Non si tratta naturalmente, della morte dell'intero organismo (l'albero), ma delle sue estreme appendici, che cadono per lasciare il posto ad altre foglie nella successiva primavera. Qualcosa di analogo si verifica, ad ogni istante, in quasi tutte le parti del nostro corpo, coinvolgendo le cellule che costituiscono i nostri organi e tessuti. Quando le cellule muoiono in seguito ad un trauma, ad un'ustione o a qualunque altra causa di origine esterna, l'evento letale è denominato necrosi. Ma se ciò non si verifica, la natura ha egualmente programmato la morte delle cellule dell'organismo cui appartengono. Per questo altro tipo di morte cellulare i biologi hanno coniato il termine di apoptosi, dal greco ap'o=da e ptosi=caduta, parola che nella lingua greca era impiegata, appunto, per la caduta delle foglie o dei petali dei fiori. L'apoptosi si verifica secondo una serie molto complessa di eventi che sono regolati da altrettanti geni. Dei geni identificati in un organismo particolarmente adatto per questo studio, il c.elegans, tre specificano quale cellula debba esprimere il programma di morte per apoptosi, tre attivano il processo vero e proprio della morte, uno attiva la digestione del loro Dna e ben sette regolano il successivo processo di fagocitosi per eliminare ogni residuo delle cellule decedute. Studi successivi hanno dimostrato che molti di questi geni sono presenti e svolgono mansioni simili nelle cellule dei vertebrati, uomo compreso. Un numero crescente di laboratori nel mondo si dedica allo studio delle cause e dei meccanismi che presiedono all'apoptosi perché i risultati ottenuti avranno nel futuro prossimo un sicuro impatto per la comprensione delle cause di molte malattie - prime fra tutte il cancro e le malattie del sistema nervoso - e, di conseguenza, permetteranno la messa a punto di nuove terapie più mirate ed efficaci di quelle attuali. Consideriamo il caso dei tumori. Una notizia di solito errata su questo flagello dell'umanità è che un tumore cresce a dismisura invadendo tutto l'organismo grazie alla sue capacità di moltiplicarsi a ritmo frenetico. Invece, di solito, la velocità di replicazione di queste cellule è simile a quella delle cellule normali. Basti considerare che non vi è tumore che si riproduca così velocemente come un embrione umano che, iniziando da una cellula uovo e da uno spermatozoo, in 9 mesi genera una massa di 3-4 chili di cellule. Ma essendo queste cellule «sane», la loro moltiplicazione obbedisce a programmi genetici eseguiti secondo una scansione temporale e spaziale di grande precisione. Il problema, nel caso dei tumori, non è tanto la loro velocità di replicazione, quanto il fatto che le cellule tumorali muoiono molto meno di quelle normali perché non obbediscono più ai segnali inviati dall'organismo; segnali che hanno la funzione di attivare il programma di morte programmata o apoptosi presente in ogni cellula. Scopo di questo programma è quello di mantenere un equilibrio fra cellule giovani e cellule vecchie, di permettere un continuo rimodellamento funzionale di ogni organo e tessuto eliminando le cellule superflue. In sostanza, mentre in un organismo sano il numero di cellule giovani è sempre strettamente bilanciato da un eguale numero di cellule vecchie che degenerano e muoiono tramite il meccanismo dell'apoptosi, nel caso delle cellule tumorali spesso questo programma è soppresso o alterato e il bilancio favorisce la crescita invece dello stato stazionario. Il lettore comprenderà, ora, l'interesse degli oncologi e di un crescente numero di industrie farmaceutiche per la comprensione dei meccanismi che presiedono all'apoptosi. Tramite questa conoscenza si cercherà di attivare i geni che presiedono a questo processo nelle cellule tumorali evitando, così, il ricorso a trattamenti chimici spesso devastanti anche per le cellule sane. Consideriamo ora il caso di malattie degenerative del sistema nervoso come la demenza senile, la sclerosi laterale amiotrofica, il morbo di Huntington e altre malattie dalla connotazione letale. Si ritiene che in queste malattie i neuroni, di cui siamo dotati fin dalla più tenera età e che non possiamo sostituire con nuove generazioni di cellule come nel caso degli altri organi, attivino il proprio programma endogeno di morte per apoptosi che, nel giro di qualche anno, conduce l'individuo a una perdita della memoria, delle capacità motorie o di altre facoltà fondamentali per la sua vita di relazione. Al contrario dei tumori, che non obbediscono all'ordine di attivare i propri geni apoptotici, i neuroni compirebbero l'errore di attivarli perché vengono a mancare loro i segnali che, di norma, tengono repressi questi stessi geni. In queste cellule, come è comprensibile, il congegno ad orologeria che attiva questi geni dovrebbe essere bloccato per tutta la vita dell'organismo. Quando questo blocco viene a mancare, le cellule nervose si «suicidano» e, a seconda delle funzioni che esse svolgono nel cervello, vengono ad essere gravemente compromesse memoria, intelligenza, movimento e tutto quanto ci rende esseri umani capaci di provvedere a noi stessi. Penso che il lettore condivida l'opinione di numerosi biologi che la ricerca dei segnali (ormoni, fattori di crescita, molecole intracellulari di varia natura) che regolano l'apoptosi sia tra le sfide più degne di essere raccolte dalla comunità scientifica negli Anni Duemila. Pietro Calissano II Università di Roma a Tor Vergata

    (fonte: TUTTOSCIENZE)
     
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