Vivere in mezzo ai metalli tossici

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    BIOLOGO TEORETICO

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    VELENI NEGLI OCEANI Vivere in mezzo ai metalli tossici Le colonie degli abissi sfruttano a loro vantaggio soprattutto l'acido solfidrico
    Autore: FOCHI GIANNI
    ARGOMENTI: ZOOLOGIA, MARE, ANIMALI, BIOLOGIA, CHIMICA, INQUINAMENTO
    NOMI: GERMAN CHRISTOPHER, ANGEL MARTIN, EDMOND JOHN
    ORGANIZZAZIONI: INSTITUTE OF OCEANOGRAPHIC SCIENCES, MASSACHUSETTS INSTITUTE OF TECHNOLOGY
    LUOGHI: ITALIA



    Chi scarica più metalli negli oceani? Una graduatoria delle colpe è stata stimata quest'anno da due ricercatori dell'Institute of Oceanographic Sciences della contea inglese del Surrey. Mentre le attività umane sono largamente in testa per un veleno potente come il cadmio, la natura vince con distacco per quanto riguarda rame, zinco e manganese. Nel caso del piombo la situazione è un pò incerta: una specie d'arrivo «in fotografia». Dopo che una quindicina d'anni fa furono scoperte nei fondali oceanici alcune sorgenti vulcaniche d'acqua calda, Christopher German e Martin Angel (questi i nomi dei due studiosi del Surrey) furono fra coloro che individuarono un brulicare di vita nelle loro vicinanze. Circa il 95 per cento degli animali lì presenti erano sconosciuti: essi appartengono a quasi trecento specie nuove, per classificare alcune delle quali si sono dovute definire addirittura famiglie ad hoc. Ma come trovano il cibo questi animali, fra i quali ce ne sono alcuni abbastanza grandi (anellidi, molluschi), così lontano dalla superficie e dalla luce del sole? E' infatti essa che permette la fotosintesi e quindi innesca la normale catena alimentare. Gli oceanologi hanno scoperto che l'energia per la sintesi biologica dei carboidrati da parte di certi batteri è il calore dell'acqua che sgorga dal sottosuolo. Gli abitanti di quelle zone pranzano, insomma, a una sorta di ristorante alimentato a energia geotermica, anziché in quello a energia solare, dove vanno invece i residenti nelle acque meno profonde o sulla terra. I raggi del sole trasportano un'energia sufficiente a permettere all'acqua di sottrarre elettroni all'anidride carbonica, trasformandola in carboidrati. Nelle profondità oceaniche, tuttavia, la luce non arriva; se però c'è a disposizione del calore, al posto dell'acqua può essere sfruttato almeno l'acido solfidrico che, provenendo dalle viscere della terra, abbonda nelle sorgenti sottomarine. L'acido solfidrico, dal tipico odore d'uova marce, è molto tossico per gli esseri viventi del mondo «di sopra». Ma per quelle colonie degli abissi al contrario, esso è alla base dell'esistenza. Può darsi che essi sfruttino anche altri veleni che le sorgenti calde riversano di continuo nell'ambiente: un cocktail chimico che sarebbe micidiale per gli ecosistemi di superficie. John Edmond del Massachusetts Institute of Technology ha esaminato sorgenti vulcaniche situate nelle dorsali del Pacifico e dell'Atlantico; partendo dalle sue analisi, German e Martin hanno stimato che gli oceani ricevono da quel tipo di sorgenti - e quindi in modo naturale - dosi di piombo paragonabili a quelle riversate dall'uomo: migliaia di tonnellate all'anno. Dello stesso ordine di grandezza è il flusso naturale di cadmio e di cobalto, mentre le attività umane scaricano gli stessi metalli in quantità dieci volte maggiore. Nel caso di rame e zinco, invece, le sorgenti sottomarine contribuiscono assai più dell'uomo (qualche centinaio di migliaia di tonnellate all'anno contro qualche migliaio). Il manganese vomitato dal sottosuolo (milioni di tonnellate annue) è addirittura mille volte più abbondante di quello d'origine nostrana. Questi dati non ci possono mettere la coscienza a posto, se riflettiamo caso per caso sugli effetti dei metalli suddetti. Tanto per rendere l'idea delle loro diverse tossicità, le concentrazioni tollerate nell'acqua potabile dall'organizzazione mondiale della sanità variano molto: la più alta è quella dello zinco; quella del rame è cinque volte inferiore, mentre di cinquanta volte sono quelle del manganese e del piombo. La tolleranza del cadmio, metallo che come abbiamo visto è presente negli oceani soprattutto per colpa nostra, è di gran lunga la più bassa: ben mille volte minore di quella dello zinco. Gli studi di German e Angel non ci autorizzano quindi affatto a continuare con l'andazzo attuale. Tuttavia ci aiutano a sbarazzarci di certe teorie false a fuorvianti, secondo le quali l'inquinamento è dovuto solo alla tecnologia, mentre la natura è sempre e soltanto benigna: qualcosa di tossico (per esempio il manganese) lo riversano negli oceani più le fonti naturali di quelle umane. L'importanza di questa rivelazione, al di là della polemica contro un certo ambientalismo massimalista e infondato, sta nell'aiuto che forse potremo ricavarne per la lotta all'inquinamento. Quando infatti avremo capito come fanno gli organismi marini che vivono vicino alle sorgenti calde a sopravvivere in quell'ambiente ricco d'acido solfidrico e di metalli tossici, e anzi, in qualche caso, a sfruttare questi inquinanti a loro vantaggio, chissà che non potremo escogitare nuovi mezzi di risanamento ecologico. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa

    (fonte: TUTTOSCIENZE)
     
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