scoperti batteri vivi in rocce profonde 3000 metri

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    BIOLOGO TEORETICO

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    BIOLOGIA DEL SOTTOSUOLO Scoperti batteri vivi in rocce a 3000 metri di profondità Altri microbi, sepolti sotto terreni desertici, «resuscitano» tornando in superficie
    Autore: TIBALDI ALESSANDRO
    ARGOMENTI: BIOLOGIA, GEOGRAFIA E GEOFISICA
    LUOGHI: ITALIA



    LA nascita di una nuova disciplina scientifica è un evento raro, indicatore di un fermento nell'evoluzione del pensiero che porta a esplorare nuovi confini della scienza, allargando il sapere tramite il confronto tra scienziati di estrazione diversa. E' il caso della geomicrobiologia: una fusione di discipline quali la geologia, la biologia molecolare, la microbiologia e l'ingegneria chimica, che ha lo scopo di studiare la presenza e distribuzione di materia vivente all'interno della successione di strati rocciosi che compongono la Terra. La nuova scienza è stata presentata ufficialmente al grande pubblico nel corso di un recente convegno internazionale in Inghilterra. Già si sapeva che alcuni microrganismi sopravvivono in condizioni estreme, ma mai si erano avute le prove tangibili che si annidassero nelle masse rocciose a chilometri di profondità e senza nessun contatto diretto con l'esterno. Si sono per esempio campionate delle rocce a mille metri di profondità, al di sotto del fondale marino, nelle quali sono presenti popolazioni di batteri vivi. In ambiente continentale, all'interno di rocce sedimentarie del periodo geologico Triassico, vecchie di 200-250 milioni di anni, sono stati rinvenuti dei batteri vivi a 2800 metri di profondità in grado di resistere, oltre che alle eccezionali condizioni fisico-chimiche, anche a una iperconcentrazione di sali caratteristica di quei depositi. Al contrario si è visto che in rocce vulcaniche tipo i basalti, affini a quelle costituenti l'Etna, ogni forma vivente scompare ad appena 200 metri di profondità. Si può immediatamente pensare a come siano importanti questi risultati nell'ambito dello stoccaggio di rifiuti tossici in caverne rocciose o in depositi sepolti, dove l'attacco ai contenitori, atti a proteggere i rifiuti dalla loro futura dispersione, ad opera dei microrganismi costituisce un grosso problema. Ma le scoperte vanno ancora più lontano. In Siberia, all'interno di depositi rocciosi pliocenici, con età di un milione di anni, congelati dal permafrost per la maggior parte dell'anno o costantemente, sono stati rinvenuti batteri che sopravvivono adattandosi a temperature anche di 10-20 gradi sotto zero. Per arrivare alle sorprese: in zone aride a cinquanta metri di profondità sono stati trovati batteri apparentemente morti in grado di resuscitare se riportati in superficie. Ciò fa supporre che l'uomo possa intervenire direttamente sulle popolazioni naturali di microrganismi annidati nelle rocce, fino ad arrivare alla scoperta che alterando il patrimonio genetico dei batteri si possono indurre variazioni tali da influenzare le loro possibilità di attaccare i componenti mineralogici delle rocce. Si potrebbe così selezionare batteri in grado di assorbire inquinanti. E' stato infatti dimostrato che si possono stimolare batteri particolari già normalmente presenti nelle acque a contatto con giacimenti petroliferi, in modo da indurli ad assorbire dei componenti chimici dannosi per la purezza degli idrocarburi. Oppure si può incrementare la presenza di batteri in grado di assorbire i metalli pesanti dall'acqua e quindi di disinquinarla. Questi ultimi batteri vengono chiamati magnetosensibili e hanno la particolarità di poter essere successivamente recuperati dall'acqua tramite dei campi magnetici indotti dall'uomo. Altri tipi di batteri possono essere nutriti provocando la formazione di membrane biologiche in grado di chiudere i pori di rocce particolarmente permeabili e di incanalare così la migrazione di idrocarburi lungo altri strati rocciosi che ne permettono un più facile recupero. Tutte queste scoperte si devono a due fattori principali: uno umano, riconducibile alla ormai generalizzata presa di coscienza che il grado di specializzazione molto spinto dei ricercatori richiede un dialogo sempre più interdisciplinare e cooperativo, e uno tecnico, da imputarsi ai fortissimi progressi degli anni novanta nelle metodologie di perforazione e recupero di campioni in condizioni integre ed asettiche. Siamo quindi in un campo tutto nuovo che sicuramente ci darà importanti sorprese in futuro. Alessandro Tibaldi Università di Milano

    (fonte: TUTTOSCIENZE)
     
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