La nascita dell'Universo

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .

    BIOLOGO TEORETICO

    Group
    Administrator
    Posts
    8,416
    Location
    Gaia: 3° pianeta del Sistema Solare

    Status
    La nascita dell'universo

    Kazuhiro Sato

    Quando e come è nato l'universo in cui viviamo? Come si è evoluto fino ad assumere l'aspetto che noi oggi possiamo osservare? Con questo servizio inizia un viaggio di Newton alle origini del nostro mondo.

    Anche se il Big Bang, la grande esplosione primordiale, è considerato lo scenario più attendibile della nascita dell'universo, non è l'unico possibile. Altri fenomeni possono avere avuto luogo. E prima del Big Bang cosa c'era? E come si è generato l'universo che vediamo adesso?

    Sebbene oggi la teoria dell'Universo in espansione sia la più accreditata, alcuni studiosi avanzano l'ipotesi di un universo "oscillante o pulsante" relativamente al quale, oggi, ci troveremmo, appunto, nella fase di espansione . Queste pulsazioni avverrebbero in tempi molto lunghi (probabilmente centinaia di milioni o miliardi di anni).

    Oggi, le scoperte degli astronomi e le immagini del telescopio spaziale Hubble mostrano alcune contraddizioni tra le ipotesi teoriche e le osservazioni. Grazie a queste ultime, infatti, è possibile ottenere informazioni dirette sull'universo quand'era grande appena un decimo di quello attuale.

    Nell'universo, spazio significa tempo e viceversa, poiché la luce non viaggia a velocità infinita: la luce che noi riceviamo di una galassia lontana, per esempio, 5 miliardi di anni luce da noi, porta con sé l'immagine di quella galassia quale era 5 miliardi di anni fa, poiché tanto ha impiegato il raggio luminoso per giungere fino alla Terra. E così, più gli strumenti di osservazione ci permettono di guardare a distanze sempre maggiori, più noi possiamo andare indietro nel tempo per osservare un universo sempre più giovane. I primi 15 miliardi di anni Secondo queste osservazioni, l'universo potrebbe avere un'età tra gli 8 e i 20 miliardi di anni; gli scienziati stimano che un valore accettabile sia intorno ai 15 miliardi.

    Qui presentiamo le ricerche più recenti sui "primi 15 miliardi di anni" dell'universo, da quando era un puntino densissimo al cosmo attuale. A farci da guida sono l'astrofisico giapponese Kazuhiro Sato, dell'Università di Tokyo, autore del testo, e l'astrofisico inglese sir Martin J. Rees, che insegna all'Università di Cambridge.

    Il grande non-errore di Einstein

    Fu un errore di Albert Einstein a dare il via allo studio sulle origini dell'universo. Fino agli inizi del secolo, le leggi della meccanica classica di Isaac Newton prevedevano che il tempo scorresse sempre e ovunque a una velocità fissa e che lo spazio si estendesse all'infinito in modo uniforme. Si credeva insomma in un cosmo infinito e immutabile, e non si vedeva la necessità di speculare su un inizio e un'evoluzione dell'universo.

    Nel 1916, Einstein pubblicò la teoria della relatività generale [v. Newton n. 2, novembre 1997] e provò ad applicarla alla struttura dell'universo, concludendo che il cosmo si va contraendo sotto l'azione delle forze gravitazionali esercitate da galassie, stelle eccetera. Ma poiché all'epoca si pensava che l'universo fosse perenne e immutabile, Einstein aggiunse nella sua teoria una "costante cosmologica", che creava una forza repulsiva in grado quindi di opporsi alla contrazione dell'universo. Concepì quindi un modello di cosmo fisso che né si contrae né si espande. Questa teoria fu poi perfezionata da un giovane matematico russo, Alex Friedmann (1888-1925), che ipotizzò tre possibilità a proposito dell'evoluzione dell'universo in base alla densità della materia che contiene: un universo in continua espansione, uno che a un certo punto cessa di espandersi e comincia a contrarsi, un altro ancora che continua a espandersi ma di poco e a velocità moderata.

    L' "effetto Doppler"

    Finché, nel 1929, l'astronomo americano Edwin Hubble mostrò che l'universo è in espansione. Misurando la distanza che ci separa da galassie lontane, provò a stabilire a quale velocità si stessero allontanando. Per misurare tale velocità ci si basa sulla lunghezza d'onda (il colore) della luce proveniente da esse. Pensate a quando passa un'ambulanza e il suono della sirena diventa da più acuto più grave: è l'"effetto Doppler", dovuto alle variazioni della lunghezza delle onde a seconda della distanza della fonte sonora. Poiché anche la luce ha natura ondulatoria, quando la sorgente luminosa si allontana, la lunghezza d'onda aumenta e la luce che percepiamo si sposta verso il colore rosso (nello spettro della luce, le componenti rosse hanno lunghezza d'onda maggiore e quelle blu-violette minore). Hubble scoprì così che le galassie si allontanano a una velocità maggiore quanto più sono lontane: ciò significa che l'universo si sta espandendo.

    Quando Einstein seppe di questo risultato definì "il più grande errore della sua vita" la sua teoria sull'universo immutabile. Ma questa volta, come vedremo, aveva torto. All'inizio fu un globo di fuoco Se è vero che l'universo è in espansione, in passato dovrebbe essere stato sempre più piccolo. Così, nel 1927 lo scienziato e sacerdote belga Georges Lemaître (1894-1966) ipotizzò che l'universo si fosse generato da un composto di atomi ad altissima concentrazione.

    Nel 1946 l'americano di origine russa George Gamow (1904-1968) propose la teoria del Big Bang per spiegare l'origine dell'universo. Questa teoria sostiene che l'universo è nato da una palla di fuoco di altissime densità e temperatura: un superconcentrato gassoso di particelle atomiche come neutroni e protoni da cui si sarebbero formati gli elementi chimici attuali.

    Una luce antichissima

    Ma se il Big Bang si verificò effettivamente, dovrebbe essere possibile rintracciare ancora oggi il residuo delle radiazioni elettromagnetiche di quella gigantesca esplosione. In particolare, 300mila anni dopo il Big Bang, quando l'universo era ancora neonato, la sua temperatura si sarebbe abbassata fino a circa 4000 gradi. Ciò avrebbe reso possibile la formazione degli atomi e la palla di fuoco opaca dei primi momenti sarebbe diventata via via più trasparente, consentendo all'universo di diventare visibile. La luce di quell'epoca, che ancora viaggia a causa dell'espansione dell'universo, si sarebbe potuta osservare sotto forma di particolari onde elettromagnetiche. Si tratta della cosiddetta "radiazione di fondo dell'universo", teorizzata già nel 1940 dallo stesso Gamow e da un altro grande fisico, Hans Bethe.

    L'emissione di fondo dell'universo fu scoperta per caso nel maggio del 1964 quando due ricercatori americani, Arno Penzias e Robert Wilson, compiendo esperimenti ai laboratori telefonici Bell per la realizzazione di antenne per comunicazioni satellitari, captarono interferenze sonore che non si riusciva in alcun modo a spiegare. In particolare, Penzias e Wilson captarono delle "strane" microonde, della lunghezza d'onda di 3,2 centimetri, che giungevano da ogni parte dell'universo. Sulle prime non riuscirono a capire il fenomeno, tanto che qualcuno ipotizzò che si trattasse di interferenze provocate da escrementi di piccioni che avevano fatto il nido sull'antenna, ma poi collegarono la scoperta alla teoria del Big Bang.

    Così, con l'aiuto del fisico Robert Dicke dell'Università di Princeton, che aveva ripreso la teoria di Gamow e Bethe perfezionandola, si capì finalmente che doveva trattarsi proprio della fatidica "radiazione di fondo", chiamata anche "radiazione fossile", prevista dalla teoria del Big Bang.

    Tutta colpa dell'inflazione

    La scoperta del 1964 delle emissioni di fondo dell'universo fu una grande vittoria per i sostenitori della teoria del Big Bang. Ma come ebbe il via lo stesso Big Bang, e cosa c'era prima? Questa volta ci viene in aiuto la fisica delle particelle elementari; infatti, per studiare il super-microcosmo ad altissima temperatura precedente il Big Bang, bisogna riferirsi al comportamento delle particelle subatomiche in condizioni di alta energia.

    Nel 1981 l'americano Alan Guth del Massachusetts Institute of Technology e il giapponese Kazuhiro Sato presentarono, indipendentemente l'uno dall'altro, la teoria dell'"universo inflazionario", basata sulle ricerche rivolte all'unificazione delle forze fondamentali della natura.

    Si tratta di una teoria secondo la quale il super-microuniverso si sarebbe espanso, alla nascita, in una maniera vertiginosa: in un solo decimo di milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo (10-34 secondi) avrebbe aumentato il suo volume di dieci miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di volte (1 con 100 zeri) Per spiegare questa improvvisa espansione dell'universo appena nato, i due fisici hanno ipotizzato che il vuoto stesso, cioè la condizione dell'universo prima del Big Bang, fosse un "vuoto ad alta energia". Tale energia del vuoto rispecchia esattamente la teoria di Einstein e da lui considerata "il più grande errore della sua vita".

    Einstein introdusse una forza per bilanciare la forza di gravitazione che tendeva ad avvicinare le galassie, col risultato che ognuna annulla l'altra. Queste due forze, il cui risultato è nullo ma che sono ben presenti, avrebbero quindi potuto essere presenti nel "vuoto" originario. Secondo la teoria dell'universo inflazionario, il cosmo fu soggetto a un'improvvisa espansione (l'"inflazione") ad opera di questa energia del vuoto.

    "E' un pranzo gratis"

    Nel mezzo della fase di inflazione, il vuoto ad alta energia andò man mano degradandosi in vuoto a basso contenuto di energia. Si tratta di un fenomeno di trasformazione in qualche modo simile a quello per cui l'acqua si trasforma in ghiaccio, che è a più bassa energia. L'acqua nel diventare ghiaccio emette energia termica latente. Anche l'energia del vuoto alla fine del processo di trasformazione viene liberata sotto forma di energia termica e si forma una caldissima palla di fuoco.

    Ecco il Big Bang. Come afferma Alan Guth, "l'universo è un pranzo gratis": sarebbe stato cioè creato dal nulla, anche se un "nulla" molto particolare, infinitamente piccolo Prima del Big Bang l'universo era formato da un "vuoto" ma dotato di altissima energia. Non c'era materia ma questo vuoto ad alta energia avrebbe generato la sferetta che vediamo e che era grande un decimo di milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di centimetro. La sferetta avrebbe subito una fase violentissima di espansione ("inflazione") dando origine al Big Bang. I suoi primi tre minuti La teoria dell'universo inflazionario risolse problemi ancora insoluti all'interno della teoria del Big Bang. Per esempio, il fatto che l'universo presenti delle disomogeneità nella distribuzione della materia, grandi spazi vuoti e addensamenti come le galassie (la densità della Via Lattea è circa un milione di volte maggiore di quella media di tutto l'universo).

    Le fluttuazioni casuali che potevano essere intervenute alla nascita dell'universo non erano tali, però, da giustificare questa forte disomogeneità. Con la teoria inflazionaria invece è stato possibile ipotizzare che nella fase di fortissima espansione le piccole fluttuazioni casuali, "gonfiandosi", avrebbero potuto effettivamente dare origine all'attuale distribuzione di materia, di pieni e di vuoti.

    Questa ipotesi ha coinciso perfettamente con quanto ha scoperto, nel 1992, il satellite americano Cobe (Cosmic Background Explorer), che ha registrato piccole fluttuazioni nella radiazione cosmica dei fondo (quella che, abbiamo visto, costituisce la "traccia" del Big Bang), risalenti a un'epoca in cui l'universo aveva "soltanto" dieci milioni di anni. Tali fluttuazioni erano soltanto di un centomillesimo, ma secondo i cosmologi possono spiegare bene il processo che ha poi portato alla formazione delle galassie.

    Restano comunque aperte ancora parecchie questioni. Quella più importante è l'età da assegnare all'universo, oggi calcolata in base alla presunta velocità di espansione risalendo al momento in cui l'universo avrebbe dovuto avere dimensioni zero. Ma i calcoli portati a termine in proposito hanno dato un'età (13-15 miliardi di anni) inferiore all'età di alcuni ammassi stellari (cioè alla loro distanza da noi), il che comporta un'evidente contraddizione in quanto quelle stelle dovrebbero aver fatto parte da sempre della materia dell'universo.

    Così di recente sono apparsi articoli e libri che annunciavano una crisi della teoria del Big Bang. La costante rinnegata Il metodo più semplice per risolvere questa contraddizione sta nel riabilitare come elemento attivo nell'universo odierno quella componente detta "costante cosmologica" che Einstein aveva dapprima introdotto e poi rinnegato.

    La costante cosmologica è l'energia del vuoto e rappresenterebbe la causa della nascita del cosmo dal nulla e la causa dell'inflazione, ed è dunque già considerata una componente attiva nel periodo iniziale della cosmogenesi, ma la si considera comunemente esaurita essendo stata trasformata ed emessa sotto forma di energia termica con il Big Bang. Se invece si prende in considerazione la possibilità che parte di essa sia rimasta, si può arrivare a risolvere la contraddizione dell'età dell'universo. Secondo questa ipotesi, l'universo avrebbe subito una seconda inflazione: ad un certo punto avrebbe accelerato la propria velocità di espansione. In tal modo il calcolo del tempo che ci separa dalla nascita del cosmo tornerebbe e le galassie più lontane non sarebbero più vecchie dell'universo.

    Non uno solo, ma infiniti La teoria dell'universo inflazionario, che può spiegare cosa è accaduto prima del Big Bang, comporta una serie di conseguenze tutt'altro che scontate. Una di queste è per esempio la possibilità che il nostro universo, cioè quello in cui viviamo e che possiamo osservare con gli strumenti e i satelliti, non sia il solo esistente. In teoria potrebbero coesistere infiniti universi, dei quali il nostro sarebbe soltanto un esemplare. Tanti Big Bang Se ricordiamo la teoria dell'universo inflazionario, ricorderemo anche che nella fase di inflazione si ha una trasformazione del vuoto ad alta energia in vuoto a bassa energia. Essa non avviene in maniera omogenea per ogni parte del cosmo. All'interno del vecchio vuoto ad alta energia si possono gradualmente formare bolle di vuoto nuovo a bassa energia. Ciascuna bolla si espande poi alla velocità della luce. Il vecchio vuoto ad alta energia, imprigionato dalle bolle di nuovo vuoto, può dare inoltre luogo a un'altra inflazione e quindi a un "universo figlio" a sé stante.

    Anche in questo universo figlio avviene la trasmutazione per cui nascono bolle di vuoto nuovo e analogamente quindi si avranno "universi nipote" in un processo continuo e infinito di cosmogenesi. All'interno di ciascuno di tali universi si ha un Big Bang da nuovo vuoto che si espande a velocità della luce con evoluzioni di universi a sé stanti. E' possibile che il nostro non sia altro che uno fra essi.

    I worm-holes o Stargate sarebbero "tunnel" che mettono in relazione punti nello spazio distanti anche miliardi di Km. Ipotizzati già da Einstein oltre 60 anni fa, permetterebbero, in teoria, di viaggiare nello spazio o meglio nell' "iperspazio" in tempi ridottissimi.

    L'universo genitore e quello figlio sono universi separati, privi di rapporti di causa ed effetto. Hanno però dei legami, dei "cunicoli" (in termine scientifico "wormhole") che connettono diverse regioni dello spazio-tempo che altrimenti resterebbero separate. Un po' come avviene quando un bruco ("worm") fa un tunnel ("hole") in una mela: connette fisicamente due parti della superficie del frutto che altrimenti sarebbero più distanti.

    Il bello è che questi cunicoli spazio-temporali non solo connettono due regioni distinte di un universo, ma potrebbero collegare anche universi distinti tra loro. Grazie a questi cunicoli si potrebbero superare in un attimo miliardi di anni luce passando da un punto all'altro di un universo o addirittura da un universo a un altro.

    In uno di essi sarebbe finito il protagonista di 2001: Odissea nello spazio, quando alla fine del viaggio supera la barriera spazio-temporale giungendo in un'altra parte dell'universo o forse in un universo "padre" o "figlio" del nostro.

    Quanta vita nel cosmo?

    Dalle teorie che ipotizzano la nascita di differenti universi nascono anche una serie di nuovi problemi. Le leggi fisiche che abbiamo elaborato noi abitanti del pianeta Terra si adattano abbastanza bene a spiegare i fenomeni che osserviamo nell'universo di cui facciamo parte. Ma è possibile ipotizzare che altri universi nati prima, dopo o insieme al nostro potrebbero essere governati da tipi completamente diversi di leggi fisiche, che non immaginiamo neppure, e che al loro interno potrebbero comparire forme di vita completamente diverse dalla nostra o da quelle che noi stessi possiamo immaginare basandosi sulla fisica e sulla biologia che conosciamo.

    Solo buchi neri

    Certamente, la fantasia si può sbizzarrire in questo caso, ma basta spingersi un pochino al di fuori della Terra e vedere che altri pianeti del sistema solare hanno per esempio atmosfere di ammoniaca e metano, per capire che non esistono regole valide ovunque. Ma le speculazioni degli scienziati sono andate oltre, fino a considerare probabile che ciascuno di questi infiniti universi che esisterebbero si sia evoluto o si stia evolvendo sulla base di leggi fisiche completamente differenti dalle nostre.

    Nel nostro universo, all'epoca del Big Bang, per esempio, si è verificata un'asimmetria tra la produzione di materia e quella di antimateria, col risultato che oggi la materia è predominante rispetto all'antimateria e ha formato un universo che possiede strutture formate da materia quali stelle, galassie, pianeti, nei quali alla fine è comparsa almeno una forma di vita intelligente (la nostra). Ma forse in un universo in cui fosse stata preponderante la quantità di antimateria, stelle, galassie e pianeti (come pure eventuali esseri viventi) potrebbero essere costituiti soltanto da antimateria.

    L'incontro tra il nostro e questo ipotetico universo non è da augurarsi in quanto materia e antimateria si distruggerebbero l'una con l'altra. Si possono fare anche altri esempi: potrebbero esistere universi con una densità di materia più alta del nostro rispetto alla velocità di espansione, i quali finirebbero con il collassare convertendo la loro espansione in contrazione.

    Si può anche pensare a universi che non danno vita a strutture stellari e galattiche a causa della eccessiva velocità della espansione. E potrebbero esistere anche universi interamente occupati da buchi neri o addirittura privi di materia. L'enigma della materia oscura Il nostro Sole è una delle stelle da cui è costituito il sistema galattico della Via Lattea. Questa fa parte a sua volta di un insieme di galassie denominato "gruppo locale". Allo stesso modo, altri gruppi di galassie sono distribuiti nello spazio come bolle di sapone. Si tratta di una struttura stratificata a vari livelli, galassie, piccoli gruppi galattici, gruppi galattici, supergruppi galattici, strutture di dimensioni ancora maggiori... Tutte queste strutture sono costituite di materia che si può osservare, ossia "visibile". Ma c'è anche un'enorme quantità di materia "invisibile" che si stima essere fino a dieci volte superiore a quella visibile. È chiamata "materia oscura" (dark matter) e costituisce ancora un grande mistero.

    La sua esistenza è stata ipotizzata osservando i movimenti delle stelle nella Via Lattea.

    Gas e stelle all'interno della nostra galassia girano intorno al suo centro. Il moto delle stelle è determinato dalla forza di gravità e dalla distanza dal centro, analogamente a quanto accade per il moto dei pianeti all'interno del sistema solare: quanto più i pianeti sono lontani dal Sole, tanto più lenta è la loro velocità di rivoluzione. Ma nell'osservare il moto delle stelle della Via Lattea si è scoperto che le stelle della parte esterna hanno la stessa velocità di quelle della parte interna.

    Si è pertanto dedotta l'esistenza di una grande quantità di materia non osservabile presente nella galassia in rapporto alla distanza dal centro. Poi si è scoperto che lo stesso accade in molte altre galassie. I gruppi galattici abbondano di gas ad altissime temperature, la cui massa può superare da due a cinque volte la massa di tutte le stelle del gruppo. Questi gas, insomma, sono la "materia visibile" di maggior massa nell'universo.

    Il problema è che la forza di gravità generata dalla materia di gas e stelle messi assieme è insufficiente a imprigionare tali gas all'interno del gruppo galattico, e ciò può essere spiegato solo ipotizzando che esista una "materia oscura" in proporzione nove volte superiore a quella visibile. Le ombre delle "quasi stelle" Arrivando a scrutare regioni dell'universo distanti 10 miliardi di anni luce, la luminosità delle comuni galassie si affievolisce a tal punto da risultare troppo scura per essere fotografata. Ma non mancano altri, più efficaci, metodi di indagine. Per esempio quello di scrutare le "ombre" delle galassie ricorrendo alla osservazione delle quasar.

    Le quasar (dalle parole inglesi Quasi stellar radio source, sorgenti radio quasi stellari) sono gli oggetti celesti più lontani che conosciamo, una sorta di fari che brillano in prossimità dei confini dell'universo. La luce che proviene da laggiù per arrivare alla Terra passa attraverso galassie e gruppi galattici che punteggiano lo spazio cosmico. In tale passaggio si forma un'"ombra" a causa dell'assorbimento della luce delle quasar da parte dei gas distribuiti all'interno delle galassie. In pratica, poiché nelle galassie attraversate gli atomi di ogni elemento chimico, idrogeno, carbonio, azoto, eccetera, assorbono la luce secondo una lunghezza d'onda caratteristica dell'elemento, è possibile analizzare lo spettro della luce che ci arriva dalle quasar e vedere quali lunghezze d'onda della luce sono state assorbite.

    Analizzando numero, profondità, larghezza e lunghezza d'onda delle linee di assorbimento e comparando questi valori alla sequenza temporale dell'universo, si può avere un'idea dell'evoluzione del cosmo e della sua struttura, attraverso gli elementi contenuti nelle galassie. Si tratta proprio di indagare sull'universo per mezzo delle ombre. Galassie nascoste Gli astronomi della California University di San Diego hanno scoperto numerose galassie nascoste con questo metodo di osservazione delle linee di assorbimento delle quasar. Per investigare con rigore e nei dettagli le linee di assorbimento bisogna captare la luce delle quasar divisa anche in 10mila lunghezze d'onda ed è indispensabile un telescopio di grande diametro. Oggi non esistono al mondo che tre osservatori astronomici dove è possibile studiare le linee di assorbimento delle quasar. A questi si aggiunge il telescopio spaziale Hubble, uno strumento di ricerca eccezionale in quanto consente di analizzare la luce delle quasar nella banda dell'ultravioletto, per osservare la quale è necessario trovarsi al di fuori della atmosfera terrestre.

    Con l'"effetto ente" scopriremo la sua età

    Come aveva previsto Einstein nella teoria della relatività, lo spazio viene incurvato, distorto, dall'azione esercitata dalle forze di gravità di stelle, galassie, gruppi galattici, buchi neri, quasar. Di conseguenza la luce stessa cambia direzione. Si tratta di un effetto simile a quello di una lente, per cui lo si chiama "lente gravitazionale". È come se nello spazio cosmico ci fossero gigantesche lenti convesse che sottopongono, per esempio, la luce proveniente da una quasar a una distorsione. Così, una stessa quasar può apparirci sdoppiata o addirittura possiamo avere quattro immagini diverse della stessa quasar. L'esistenza di tale sorta di strumento ottico naturale ha suggerito un metodo sperimentale per sondare i misteri della nascita dell'universo.

    La costante di Hubble

    L'età e la densità dell'universo sono strettamente correlate al valore della costante di Hubble, cioè la proporzione tra la velocità di allontanamento delle galassie e la loro distanza dalla Terra. Il valore di questa costante viene continuamente modificato da nuove osservazioni astronomiche e ancora non è stato stabilito in modo definitivo. Un metodo per stabilire la costante di Hubble è osservare lo sdoppiamento dell'immagine di una quasar per effetto di una lente gravitazionale.

    I due fasci di luce che passano attraverso la lente gravitazionale compiono percorsi di diversa lunghezza e dunque giungono a noi sfalsati nel tempo. La lunghezza del percorso dipende dall'intensità delle forze gravitazionali delle galassie che producono l'"effetto lente", e dalla costante di Hubble. Di conseguenza, se si misura lo sfalsamento temporale della luce delle quasar e l'intensità delle forze gravitazionali delle galassie che producono l'effetto lente, si potrà calcolare la costante di Hubble.

    Una ricerca sulla doppia immagine della quasar Q0957+561 ha dato come risultato uno sfalsamento nella ricezione della luce di 410-540 giorni. Ne consegue una costante di Hubble di 30-73, che in termini di età dell'universo darebbe valori fra i 33 e i 9 miliardi di anni. Un anno di osservazioni Il metodo basato sull'"effetto lente gravitazionale" rende possibili osservazioni di raggio molto ampio, adeguate alla grandezza dell'universo. Esso richiede osservazioni senza interruzioni per periodi superiori a un anno e comporterà quindi molto impegno nell'ulteriore raccolta di dati concernenti altre quasar. Quando però i dati saranno sufficientemente numerosi, si potrà giungere a un calcolo dei valori più esatto.

    (fonte: scienzeemisteri)

    Edited by tursiops - 8/4/2005, 18:42
     
    .
  2.  
    .

    BIOLOGO TEORETICO

    Group
    Administrator
    Posts
    8,416
    Location
    Gaia: 3° pianeta del Sistema Solare

    Status
    L' EVENTO DI TUNGUSKA

    30 giugno 1908, ore 7,17: un oggetto infuocato saetta nel cielo sereno della Siberia.

    Il desolato Altopiano Centrale trema per la gigantesca esplosione provocata dall' impatto della misteriosa "cosa". All' esplosione termica iniziale seguono violentissime onde d' urto, una tempesta infuocata ed una pioggia nera che contamina il territorio per centinaia di miglia. La scossa sismica che ne deriva è registrata negli osservatori di Mosca, Parigi, Londra e perfino Washington, dall' altra parte del globo. Una gigantesca colonna di fuoco si alza nel terso cielo azzurro, raggiungendo un' altezza tale da rendere visibile la sua luce accecante agli sbigottiti siberiani distanti centinaia di miglia. Il boato dell'esplosione fu udito fino a 200 chilometri dall' epicentro.

    La "cosa" precipitò nella Tunguska Pietrosa, devastando un' area di oltre 2000 chilometri quadrati, sradicando e disintegrando qualsiasi cosa, liberando un vento infuocato e radioattivo che inaridì il territorio. Nella regione vivevano pochissime persone e la devastazione non interessò nessun centro abitato. Per due notti gran parte dell' emisfero boreale fu illuminato da un' aurora rossastra che permise ai londinesi (a 6000 chilometri di distanza) di leggere il giornale di notte senza l' utilizzo di lampade.

    Cosa aveva provocato una simile catastrofe?

    Le testimonianze dell' evento vennero raccolte solamente dopo circa 15 anni, poichè la Russia dall' inizio del secolo attraversava un delicato momento politico ed il governo aveva altro da preoccuparsi che organizzare spedizioni. Queste testimonianze, fornite da abitanti della zona, parlano di un oggetto di forma sferica o cilindrica, di color rosso o giallo. Non venne notata la scia di fumo caratteristica delle meteoriti ferrose.

    A sei minuti dall' esplosione iniziò una tempesta geomagnetica, durata alcune ore, simile ai disturbi magnetici provocati dalla esplosioni nucleari nell' atmosfera, che fu rilevata dall' Osservatorio Magnetico e Meteorologico di Irkutsk .

    Nonostante la portata del fenomeno, non ci fu nessuna reazione da parte della scienza, e solo qualche giornale locale riportò la notizia dell' evento, ipotizzando la caduta di un grosso meteorite nella Taiga. L' evento fu così "dimenticato" fino al 1921, quando una spedizione dell' Accademia delle Scienze Russa organizzò una ricerca del presunto punto d' impatto del meteorite.

    Giunti sul posto si presentò ai membri della spedizione uno scenario da incubo, risultato di una potenza distruttiva inimmaginabile all' epoca: non vi era più traccia dell 'immensa foresta che avrebbero dovuto trovarvi, ma solamente alberi carbonizzati nell' area di 2000 chilometri quadrati, disposti nella caduta a terra in maniera radiante, come se vi fosse stato un epicentro energetico espanso verso l' esterno. All' epicentro dell' esplosione i ricercatori non rilevarono nessun cratere meteorico, ma notarono che gli alberi al centro del presunto punto d' impatto erano ancora ritti, anche se carbonizzati. Da questo si dedusse successivamente che l 'esplosione era dovuta avvenire a 6-7 chilometri dal suolo.

    A capo della spedizione c' era Leonid A. Kulik, del Museo di Meteorologia di Pietroburgo che da allora dedicò anima e corpo al mistero di Tunguska. Kulik era del parere che data la mancanza di un enorme cratere meteorico, l' evento fosse stato causato da uno sciame di meteoriti. Questo non trovò d' accordo alcuni scienziati e la teoria del meteorite cominciò a vacillare e ad avere numerosi punti deboli: primo fra tutti il fatto che non era stato trovato neppure il più piccolo frammento del bolide.

    Kulik fece ritorno con una serie di dati fondamentali, ma senza la risposta alla causa del disastro. I risultati suscitarono interesse nel mondo scientifico, così a Kulik furono affidate altre spedizioni, dal 1928 al 1939, alla ricerca di un possibile cratere, ma inutilmente. Le successive indagini, condotte da esperti meteorici e scienziati, pur setacciando la zona a fondo, non rilevarono mai nessun frammento meteorico.

    Tragico il destino di Kulik, morto nel 1942 in un lager nazista. Tre anni dopo il 6 agosto 1945, si comprenderà quale tremenda energia doveva essersi scatenata a Tunguska, quando il bombardiere B-29 "Enola Gay" sganciò il suo carico di morte su Hiroshima. Le aurore generate dall' esplosione, la distruzione radiale, furono analogie che non sfuggirono agli studiosi del dopoguerra, che collegarono i due eventi, sciogliendo il primo nodo. Tunguska come Hiroshima e Nagasaki.

    Sulle origini dell' oggetto causa dell' esplosione della Tunguska sono state formulate diverse ipotesi: dal meteorite alla cometa, al mini-buco nero, al frammento di antimateria, all' astronave extraterrestre in avaria esplosa in volo. Di tutte queste teorie, l' unica che forse si può escludere con certezza, basandosi sui risultati delle ricerche finora condotte, è quella del meteorite. Infatti, nonostante tutte le spedizioni successive, non sono stati rilevati elementi che possano far pensare ad un meteorite, per la mancanza di crateri e di frammenti, e di questi ultimi avrebbero dovuto essercene, visto che per produrre una catastrofe simile l 'oggetto precipitato avrebbe dovuto avere una massa considerevole. Lo stesso dicasi per la cometa, essendo paragonabile come struttura ad un meteorite. Inoltre questi oggetti, essendo composti di materia inerte come roccia o metalli, non sarebbero in grado di scatenare un' esplosione nucleare.

    Cosa che invece potrebbe benissimo essere prodotta dall' impatto con un buco nero o da un frammento di antimateria (anche se non se ne conoscono a fondo le caratteristiche fisiche di questi oggetti), ma data la loro presunta composizione, sarebbero in grado di scatenare una reazione nucleare.

    Come sarebbe in grado di produrre un' esplosione nucleare un' astronave extraterrestre in avaria (ma questa è una teoria molto azzardata).

    L' unica cosa certa è che il 30 giugno 1908 sulla tundra siberiana ebbe luogo un evento che solamente molti anni più tardi, dopo la fine della Seconda guerra Mondiale, si riuscì a comprendere in tutta la sua spaventosa potenza.

    Il Dipartimento di Fisica dell' Università di Bologna, assieme a ricercatori dell' Istituto di Geologia Marina del CNR di Bologna e dell' Osservatorio Astronomico di Torino hanno organizzato nel 1999 una spedizione scientifica in Tunguska. Il supporto locale sarà fornito da personale e ricercatori dell' Università di Tomsk (Russia), guidati dagli accademici N.V. Vasilyev e G.F. Plechanov e dal prof. G.V. Andreev. Scopo della spedizione è quello di effettuare un' esplorazione sistematica del sito dell' evento di Tunguska, al fine di stabilire la natura del corpo la cui esplosione devastò circa 2000 chilometri quadrati di taiga abbattendo più di 60 milioni di alberi.

    Gli obiettivi della spedizione sono:
    Studio dei sedimenti del lago Ceko: alla ricerca di microparticelle provenienti dalla disintegrazione del corpo che possono essere state conservate in paludi, resina degli alberi e sedimenti lacustri.
    Ricerche magnetometriche, radar e fotografiche: si provvederà ad effettuare un rilevamento topografico dell' area interessata con l' ausilio di un sistema GPS e sarà riesaminato il materiale fotografico del 1938 di L.A. Kulik.
    Ricerca di frammenti del corpo cosmico: Secondo alcune teorie esposte alla Conferenza di Bologna del 1996, si può presumere che nell' area a sud-est dell' epicentro siano caduti dei frammenti, di dimensioni non microscopiche, che precipitando prima dell' esplosione, non si sono vaporizzati insieme al corpo cosmico.
    Monitoraggio della radiazione ambientale: Si utilizzeranno rivelatori di radiazione ambientale ad altissima efficenza, con cui si effettuerà il monitoraggio, sia in volo, durante tutto il percorso Bologna-Tunguska-Bologna, sia al suolo durante il periodo di permanenza.

    Con la speranza di dare una risposta certa e definitiva ad una delle più misteriose catastrofi che il genere umano ricordi.

    (fonte: genie.it)
     
    .
1 replies since 8/4/2005, 15:03   169 views
  Share  
.