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Posts written by Tursiops

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    di Francesco Lamendola - 08/01/2021

    Fonte: Accademia nuova Italia

    La signora X soffre di un lieve disturbo psichico: fondamentalmente è una disadattata e una depressa. Dopo aver trascorso alcuni anni in una comunità nella quale aveva l’incarico di svolgere alcuni semplici lavori manuali, è stata dimessa e ha ricevuto dal comune un bell’appartamento, con due camere, cucina, soggiorno e servizi, in cambio di un affitto simbolico. Riceve inoltre una piccola paga settimanale e, da quando ha mostrato di non aver voglia di farsi da mangiare, una volta al giorno le viene recapitato il pranzo a domicilio. I soldi che riceve le servono per le piccole spese quotidiane, mentre alle bollette pensa un amministratore delegato dal comune; fra le piccole spese primeggiano le sigarette. La signora è alquanto in sovrappeso e soffre d’incontinenza; si rifiuta di fare più di due o trecento metri a piedi e, per ogni necessità, telefona a una serie di persona amiche, anche dieci volte al giorno, finché non l’accontentano, la vengono a prendere e l’accompagnano in banca, a ritirare la paghetta, o dal tabacchino, a comprare le sigarette, o al supermercato, oppure dal medico. Non tiene la casa in ordine e anzi la lascia andare in degrado: la sporcizia si accumula dappertutto, un fortissimo odore di tabacco ristagna perennemente nelle stanze, anche perché non si dà la pena di aerarle. A questo punto il comune ha deciso di mandarle il servizio di pulizia in casa, che le ha tirato l’appartamento a lucido; pochissimi giorni dopo, era di nuovo un porcile. Quando la signora si trova fuori casa, ha delle urgenze fisiologiche improcrastinabili e allora a va a cercare un angolo ove appartarsi, anche per i bisogno grossi. In realtà porta i pannoloni, però preferisce farla in un cortile qualsiasi piuttosto che tornare a cambiarsi a casa, visto che adesso, dice lei, è tutta così bella e pulita. Questa è la sua situazione, questa è la sua vita. Non ha uno scopo, non ha una sia pur minima occupazione, in compenso non le manca nulla e può tirare avanti grazie all’amministrazione pubblica, che provvede per lei. Passa le giornate a telefonare a destra e a manca; parenti non ne ha, tranne un figlio, che di tanto in tanto passa a trovarla. È stata sposata e ha avuto due figli; ha anche due sorelle, che però non si fanno mai vedere, anche se abitano poco lontano. Tutto il peso del suo mantenimento ricade sul comune e sulla buona volontà di qualche persona amica. Non ci sono prospettive di miglioramento, perché le manca la motivazione a star meglio: si lascia andare e passa le ore in attesa che venga il momento di dormire; al mattino presto incomincia il giro delle telefonate, sia per farsi accompagnare da qualche parte, sia semplicemente per scambiar due parole con un altro essere umano. In effetti nell’appartamento accanto vive un’altra persona con problemi psichici, sempre leggeri: si tratta di un giovane che frequenta anche l’università e dunque possiede sia la capacità di muoversi autonomamente, prendere il treno, ecc., sia di concentrarsi nello studio. Però la signora non conta molto su di lui, preferisce tempestare di chiamate altre persone, fin dalle prime ore del mattino.

    Ora, nessuno dice che le persone bisognose, sotto il profilo psichico oltre che sotto quello economico, debbano essere abbandonate al loro destino; nessuno nega che sia giusto prendersi cura di loro, e che la società debba spendere tempo e denaro per accudirle e sistemarle nella maniera più dignitosa possibile. E tuttavia, ci si domanda se questa filosofia nei confronti delle persone in difficoltà sia quella più giusta. Ha senso gettare tempo e risorse in un pozzo senza fondo, senza la minima prospettiva di miglioramento? Non sarebbe meglio proporzionare gli aiuti a una strategia di recupero, ove possibile, come certamente lo è nel caso ora descritto? A che scopo permettere a una persona di adagiarsi sul proprio disagio e lasciare che gli altri pensino a tutto al posto suo, togliendole l’incentivazione a far qualcosa per se stessa? Aiutati, che Dio ti aiuta, dice il proverbio. Che cosa vuol fare lo Stato, in questi casi: assumere il ruolo di Dio e far tutto da solo? E che cosa rimane da fare all’individuo, in questa prospettiva, se non aspettare la pubblica assistenza? Ma, si dirà, non saranno pochi casi del genere a mandare in rovina le finanze pubbliche. Siamo però sicuri che si tratti di pochi casi? O non sono invece moltissimi, centinaia e centinaia di migliaia, perfino milioni? In ogni caso, non è solo un discorso quantitativo e non lo si può ridurre alla dimensione economica, per quanto quest’ultima non dovrebbe mai esser persa di vista: quale famiglia può permettersi di mantenere dei figli a fondo perduto, con la prospettiva di trascinare in miseria anche i membri che lavorano e guadagnano per tutti? Ma è anche e soprattutto un discorso di saggezza e di giustizia: è il caso di destinare ingenti risorse in una strategia che non punta a risanare, per quanto possibile, le situazioni, ma semplicemente a prolungarle all’infinito, senza vantaggio per alcuno? Non sarebbe cosa più saggia tenere occupate quelle persone, obbligarle a prendersi cura della casa che è stata data loro, minacciandole, in caso contrario, di arrangiarsi da sole, secondo le leggi del mercato? E non sarebbe cosa migliore tenerle occupate, innanzitutto per la loro salute mentale, anche a costo di far loro spostare degli oggetti qualsiasi da qui a lì, di scavare e poi riempire delle buche nel giardino? La cosa più importante, ci sembra, dovrebbe essere rompere il legane di dipendenza psicologica e responsabilizzare, nei imiti del possibile, individui come la signora X, guidandoli, un poco alla volta, a riprende in mano la loro vita. Certo, ci vorrebbe una seria terapia psichiatrica: invece tutto quello che la signora è tenuta a fare, è di presentarsi una volta al mese dallo psichiatra, il quale le prescrive i soliti farmaci chimici, che fanno sparire i sintomi del suo malessere e la intontiscono, ma non giovano affatto a guidarla verso la consapevolezza delle cause profonde del suo malessere. Ma questo è un discorso che riguarda un po’ tutta la medicina moderna, basata sulla terapia dei sintomi e non sulla ricerca delle loro cause; e tutta proiettata sul consumo abbondante di farmaci di sintesi, come se non esistessero altre strade percorribili, a cominciare dagli agenti maturali, e soprattutto da un serio lavoro di auto-consapevolezza.

    Quel che abbiamo detto ora, facendo questo esempio concreto, si può estendere a cento e cento altre situazioni, educative, scolastiche, sanitarie, giudiziarie, dalle quali emerge un filo conduttore; la “bontà” all’ingrosso, la disponibilità a senso unico, l’indulgenza e la comprensione codificate per legge, ma sempre del pubblico verso il privato e mai viceversa. Se un impiegato postale disonesto ruba sul lavoro, difficilmente viene licenziato: al massimo viene trasferito. Stesso discorso per una maestra manesca o per un vigile assenteista. C’è aria di condono generale permanente, nella società contemporanea: come se fossero state abolite le responsabilità con un tratto di penna, e ogni volta che una persona ha un problema, la responsabilità di trovare la soluzione spetti sempre, per definizione, a qualcun altro. Forse la società si sente in colpa di fronte al disadattamento dei suoi membri, perché, dopo tre secoli di somministrazione delle idee di Rousseau, dà ormai per assodato che l’individuo, di per se stesso, è buono e innocente, e quindi se ha dei problemi, se sbaglia, se sia ammala, la colpa è sempre e solo della società in cui vive. Se uno impazzisce e diventa pericoloso, per sé e per gli altri, si dà ormai per scontato che a farlo impazzire sia stata la società; meglio ancora, si sospetta che la sua non sia vera pazzia, ma che sia una reazione difensiva di fronte alla cattiveria e all’insensibilità della società. Basaglia dixit. E siamo sicuri che la cosa migliore, per un ragazzino autistico, e anche per gli altri, sia inserirlo in una normale classe scolastica, dove non ha alcuna possibilità di socializzare, ma in compenso potrà rendere la vita difficile, e perfino impossibile, ai suoi compagni e agli stessi insegnanti? Sappiamo che non è facile fare questo discorso, specialmente oggi: si fa la figura di chi vuol sparare sulla croce rossa. Poverini, i più svantaggiati hanno diritto alla massima comprensione e alla massima accoglienza, si dice. Ma siamo sicuri che questo tipo di comprensione, questo tipo di accoglienza, siano davvero utili, per loro e per gli altri? Eppure, obietterà qualcuno, qui stiamo facendo della confusione: che cosa c’entra il caso di una signora psichicamente fragile con quello di un impiegato disonesto che non riceve la giusta sanzione? C’entra, eccome: sono due esempi di uno stesso problema: l’eccessiva arrendevolezza e il buonismo istituzionalizzato che caratterizzano l’atteggiamento dello Stato, della pubblica amministrazione e di gran parte dei mass-media, nonché della magistratura, verso le situazioni che richiederebbero, sì, compassione e solidarietà, ma anche un certo grado di fermezza. Il male parte già dalle famiglie: quanti genitori sanno essere giustamente severi, ai nostri giorni, di fronte alle manifestazioni d’irresponsabilità dei loro figli? Non è forse vero che il proibito proibire, di sessantottesca memoria, in questi cinquant’anni è andato veramente al potere, tanto che ormai nessuno osa più dire di no a nessun altro? Non è forse vero che l’atteggiamento del legislatore verso le richieste sempre più esigenti, sempre più sconcertanti, di alcune minoranze aggressive, è il frutto di questo mezzo secolo di diseducazione permanente? Non è forse vero che già c’è qualcuno, nelle sedi istituzionali non solo italiane, ma un po’ in tutto l’Occidente, che comincia ad invocare comprensione e tolleranza anche per la pedofilia, considerata alla stregua d’una inclinazione sessuale come un’altra, del tutto lecita e accettabile, purché i due soggetti siano consenzienti e non venga esercitata violenza fisica sul minorenne? E questo è solo un esempio; ne potremmo fare a centinaia. Stiamo per caso esagerando, stiamo dipingendo un quadro a tinte troppo fosche? Eppure, in alcuni Stati degli U.S.A. i seguaci del Tempio di Satana hanno ottenuto il pieno riconoscimento di legge per la loro “religione”, con tanto di codificazione dei loro diritti, primo fra tutti la dichiarazione dei redditi con gli stessi criteri che si usano per la Chiesa cattolica o le varie chiese protestanti. È normale? Sulla piastrina di riconoscimento dei militari, viene scritto che il sodato Tal dei Tali appartiene alla chiesa di Satana, in modo che, se gli accade qualcosa in un’azione di guerra, si proceda alle esequie tenendo conto di tale appartenenza. Ora se il satanismo, cioè una “religione” che ha come fine il male e l’adorazione del Male, viene riconosciuto alla luce del sole, non si dovrebbe riconoscere la pedofilia, qualora il bambino fatto oggetto dell’attività sessuale di un adulto sia consenziente? Una volta imboccata questa strada, nessuno può dire dove si arriverà.

    E adesso due parole sui delitti e sulle pene, parafrasando il buon vecchio Cesare Beccaria. La pena deve rieducare piuttosto che punire? Benissimo; bisogna però che la rieducazione sia possibile, e inoltre che venga effettivamente tentata. Non ha senso lasciare in carcere dei soggetti pericolosi e recidivi, che sarebbero una minaccia costante per la società il giorno in cui tornassero liberi. Una volta eravamo fermamente contrari alla pena di morte: nel corso degli anni abbiamo mutato opinione. E non si obietti che ciò è incompatibile con la fede cattolica: questo lasciamo che lo dica il signor Bergoglio, che ha fatto cambiare appositamente il catechismo, dalla sera alla mattina, al § 2267. Ma non è vero. Il Magistero non ha mai insegnato una cosa simile; e neppure Gesù ne ha mai parlato, o ha mai fatto capire di considerare illegittima la pena capitale. Al contrario, ha auspicato la pena di morte per quanti abusano dei bambini e danno loro scandalo (Mt 18, 6-7): Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! A questo, evidentemente, il signor Bergoglio non ha pensato, come non ci hanno pensato i suoi servili adulatori, i suoi vescovi e cardinali e tutti i suoi teologi progressisti e buonisti. Ma il buonismo, ricordiamolo, è il contrario della bontà, è la sua diabolica contraffazione. Ed è per questo evidentemente che quella frase del nostro Signore viene così raramente citata dai preti progressisti e dai teologi modernisti, tutti pieni di carità e discernimento, ma improvvisamente ciechi, sordi e muti quando si tratta di ricordare quel passo del Vangelo di Matteo. Grazie al buonismo, si consente ai malvagi d’infierire sulle loro vittime, quando sarebbe possibile fermarli per tempo. Prediamo il caso di Agitu Gudeta, la donna etiope di 42 anni, rifugiata in Italia e divenuta imprenditrice in un paese del Trentino, uccisa a martellate in testa da un pastore ghanese di 32 anni, suo dipendente. Mentre era a terra agonizzante, costui l’ha anche stuprata. Il racconto dell’assassino, che mette al centro la lite per uno stipendio non corrispostogli da parte della donna, puzza di marcio: se era una questione di soldi, come mai la discussione si è svolta nella camera da letto della donna? E come mai, dopo averla uccisa, o tramortita, l’uomo ha voluto abusare di quel corpo straziato? In un caso come questo, non esitiamo a dire che giustizia sarebbe irrogare la pena di morte. Né cambieremmo parere se l’assassino fosse stato un italiano. Ci sono individui troppo pericolosi per essere lasciati in circolazione; e troppo immondi perché la società debba farsi carico di sopportare la loro presenza. Vanno eliminati, come le mele marce. Quante volte i più atroci delitti sono stati compiuti da soggetti che avevano già commesso reati gravi, e tuttavia avevano ottenuto la libertà su cauzione in fase istruttoria, o un permesso dalla prigione per buona condotta? Se ne potrebbe fare un elenco interminabile: e il sangue di quelle vittime grida vendetta al cielo. Non vorremmo essere nei panni di quei magistrati che hanno rimesso in libertà degli assassini potenziali, pienamente consapevoli dei rischi insiti in tale modo di fare, ma ossequienti al dogma imperante del buonismo a ogni costo...
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    di Francesco Lamendola - 30/12/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    La domanda, affascinante e tormentosa, è sempre la stessa: dove sono andate? Dove sono andate le cose, le persone, le situazioni, gli attimi, le impressioni, gli stati d’animo, le intuizioni, le immaginazioni, tutto quello che ha reso bella, interessante e degna di essere vissuta la nostra vita, e specialmente la nostra infanzia? Perché l’apertura esistenziale del bambino è immensamente maggiore di quella dell’adulto: tutto quello che lui vede, ascolta, assapora, lo fa per la prima volta; tutto gli è misterioso, tutto lo seduce, tutto lo incanta; non ci sono limiti di spazio o di tempo nel suo aderire al mondo, nel suo abbracciare l’esperienza concreta, che però, al tempo stesso, è una esperienza interiore, spirituale, mistica. Per lui non ci sono differenze concettuali fra ciò che appartiene alla dimensione fisica e a quella mentale, fra il dentro e il fuori, persino fra il prima e il poi: per lui è tutto qui e adesso, e contemporaneamente è dato per sempre, appartiene all’eternità. Per lui tutto è presente e tutto è perenne, o meglio, tutto è senza tempo: quel che sta vivendo adesso, lo vive con tutto se stesso, però dà per scontato, pur senza farvi sopra un ragionamento, che quella sua esperienza è un’esperienza universale, che non è solamente sua ma appartiene al mondo, fa parte del mondo, e non invecchierà, non sarà dimenticata, perché nel suo mondo nulla viene dimenticato, in quanto nulla è vecchio ma tutto appare fresco, giovane, come se fosse stato appena creato. Lui non ha la nozione del tempo e neppure dello spazio: non si chiede quando una certa cosa è incominciata, né quando finirà; e se una persona adulta gli dice che sulle montagne vicino a casa sua si aggirano i leoni, oppure che nel bosco c’è la capanna di una vecchia strega, capace di trasformare i bambini in alberi e rocce, lui ci crede senz’altro, perché non è diffidente, non è sospettoso e pertanto gli riesce facile credere praticamente a tutto, non dovendo stare in guardia verso niente e nessuno. Il suo godere delle cose nuove, delle cose cariche di affettività, di emozioni positive, è pieno, totale, incondizionato: dimentica in fretta le cose brutte, si apre con stupore e meraviglia di fronte a quelle belle, o anche semplicemente interessanti. Il fatto è che per lui sono tutte interessanti. Che cosa non lo è, o non lo può diventare? Una soffitta polverosa, lo spettacolo insolito dei tetti visti dall’alto di una terrazza, un cortile interno baciato dal sole d’inverno, una coppia di cigni che scivolano eleganti e silenziosi sull’acqua della roggia, davanti ai giardini ove è solito recarsi a giocare: tutto si carica di valenze insolite, tutto è degno d’interesse, di attenzione, di stupore; tutto s’imprime nella coscienza e viene conservato dalla memoria come qualcosa di mitico, di memorabile.

    E i particolari! La forma a conchiglia della maniglia del cancelletto di quella casa di campagna; la ringhiera metallica con le sbarre incurvate e disposte a formare come un disco solare; i cerbiatti raffigurati sul vetro della credenza di legno chiaro per ospitare gli utensili della cucina. E quella strana associazione di parole, forse ha capito male, a seconda di come le si pronuncia cambia tutto il senso, ma lui non pensa a domandare chiarimenti, si direbbe che ami il mistero, gli piace che le parole possano avere più sensi, che si aprano su differenti universi, un po’ come avviene nei disegni dei rebus sulla Settimana Enigmistica, dove un manifesto pubblicitario del circo appeso al muro, in primo piano, non si sa in quale relazione stia con la ragazza che porta la borsa della spesa, né questa con la mucca sullo sfondo, che bruca l’erba davanti alla casa come se fosse la cosa più naturale al mondo. E poi gli odori, l’universo dei profumi, che risvegliano in lui qualcosa di profondo e lo immergono in un altrove che è più bello del qui e ora, se non altro perché non sa di dove venga, né a quale realtà appartenga: è come un universo parallelo che talvolta sfiora il mondo di tutti i giorni e apre una finestra sul mistero. E i brani delle canzoni? Al bambino risuonano negli orecchi in maniera slegata, alcune frasi sì e altre no, e soprattutto in maniera “assoluta”, cioè staccata dal contesto, sicché si caricano di una valenza molto intensa, ma in qualche modo inafferrabile, che sfugge a una comprensione razionale. In tal modo le cose, per il bambino, sono sempre sospese a metà: né del tutto intelligibili, né del tutto aliene: hanno qualche tratto familiare, che rimanda a cose note, a impressioni e sensazioni già provate, eppure al tempo stesso sono rivestite di mistero, sono elusive, sfuggono tra le dita, ci sono ma non si sa da dove siano arrivate. Una sola idea non lo sfiora: che le cose possano sparire, uscire dal suo universo, così come sono apparse. Una tale idea non lo sfiora perché, se lo facesse, ciò indicherebbe in lui una nozione che è tipicamente adulta: la nozione della fine. Per l’adulto le cose hanno una storia, una vita e quindi anche una fine, tutte; per il bambino, no: le cose sono qui, perciò è assurdo che domani possano non esserci più. L’idea della fine, della scomparsa, dell’uscita definitiva di scena, non fa parte della mente infantile: per essa sarebbe contraddittorio che ciò che esiste, che è presente, che appartiene al mondo della realtà, in futuro possa non esserci. Vi è una logica, in questo, la terribile logica dei bambini: come è possibile che l’esistente cessi di esistere, che l’essere smetta di essere, che dia le dimissioni e se ne vada chissà dove? Via, non sarebbe serio. E la logica del bambino è tremendamente, implacabilmente seria. Non fa sconti a nessuno, né accetta surrogati di spiegazioni che accontentano le modeste pretese dell’adulto. In genere si suppone che la mente del bambino sia più semplice, più elementare di quella dell’adulto; niente affatto, se con ciò s’intende che funzioni in modo poco rigoroso. È molto rigorosa, anzi: ma di un rigore particolare, che l’adulto non capisce e del quale sorride, perché lo vede come una debolezza del pensiero. E invece il pensiero del bambino è più forte, nel senso di più consequenziale, non più debole di quello dell’adulto: talmente forte che non si rassegna all’idea di dover fare delle eccezioni alla regola. E la regola è che le cose esistono per sempre, e non possono prendersi il lusso di andare in pensione.

    Questa constatazione ci conduce a un altro punto fermo: la conoscenza del bambino è di tipo assoluto e giammai relativo. Quel che il bambino scopre del mondo, quello che viene a sapere, quello che entra a far parte del suo bagaglio di esperienze, non solo vi entra per sempre, nel senso che lui non può neanche concepire che un giorno possa uscirne, ma vi entra assolutamente, nel senso che vi entra con tutta la sua densità ontologica, con tutto il suo spessore metafisico. È inutile precisare che ciò non avviene in forma consapevole e meditata: avviene e basta. Il cortile con l’albero al centro, che può vedere dalla finestra della sua camera, appartiene a una realtà assoluta, totale, che si rivela nel tempo ma che non è del tempo, non appartiene al tempo, e pertanto si sottrae alla legge di tutte le cose temporali: quella del ciclo esistenziale, che ha un principio, uno sviluppo e una fine. No: per lui quel cortile, quell’albero, quella luce, quell’odore, quell’atmosfera, non appartengono al tempo, ma al Tutto. Non si chiede dove saranno domani, fra dieci anni o fra cinquanta, perché se se lo chiedesse, ragionerebbe come l’adulto, all’interno del tempo; ma il bambino non riconosce i diritti del tempo, non riconosce la sua signoria sulle cose, e quindi, in prospettiva, non riconosce alcun diritto di cittadinanza alla morte. La morte, per lui, non esiste: o almeno non esiste nel senso che le danno gli adulti. Se le cose e le persone sono qui e ora, come potrebbero scomparire un domani? Non c’è niente che sia fuori del qui e ora: tutto vi è compreso, perché il bambino vede e conosce il mondo attraverso il qui e ora, non attraverso il ragionamento astratto, e tanto meno attraverso i libri. Per lui non ci sono filtri intellettuali, il mondo parla di sé e si rivela attraverso la propria evidenza, il proprio esserci: e dunque se c’è, bisogna essere ben pazzi per mettere in dubbio che ci sarà anche domani. Forse che qualcuno o qualcosa se lo può ingoiare? Forse che si può auto-annullare? No, non può. Perché il mondo, per il bambino - non è un ragionamento, è un’intuizione – è ordinato; e se è ordinato, allora ogni singola cosa deve essere sempre lì, esattamente al suo posto. Che razza di manicomio sarebbe se le cose potessero prendersi la licenza di andarsene via, chissà per qual ragione! E dove andrebbero a nascondersi, poi? Le cose non possono fuggire da sé: sono ciò che sono, appartengono a se stesse come il volo appartiene agli uccelli e come lo scrosciare appartiene all’acqua del fiume che scorre sui ciottoli del letto. Sovente l’adulto prova un sentimento d’invidia di fronte alla rocciosa certezza del bambino che le cose permangono e non possono andar via, perché pensa con nostalgia a quando anche lui non credeva alla morte. Ma siamo certi che questa sia una debolezza dell’anima infantile? Che sia una carenza di senso logico, utile però a proteggere la coscienza dalla ferita del mai più? E se invece fosse l’indizio di come le cose dovrebbero essere, e in realtà sono, a guardarle bene?

    Proviamo a riflettere. Nella sua maniera semplice (non semplicistica: il semplicismo è un difetto dell’adulto rimbamboccito, una degenerazione e non una struttura primaria) il bambino vede che le cose esistono secondo una certa logica, altrimenti non esisterebbero, o sarebbero del tutto incomprensibili; e ne deduce che sono. Ora, se una cosa è, vuol dire che è assolutamente: qualcuno o qualcosa l’ha chiamata, e una volta che essa è venuta, non può essere congedata come se non ci fosse mai stata. Essere vuol dire questo: che quello che è, è; mentre quel che non è, non è. Tuttavia la mente dell’adulto constata che le cose non ci sono più. Si torna sui luoghi dell’infanzia, e non si trovano più le persone; perfino le case sono scomparse, o sono talmente cambiate da risultare quasi irriconoscibili. Diremo di più: sono quasi irriconoscibili anche se sono rimaste più o meno le stesse. La medesima impressione si ha quando ci si trova fra le mani una scatola con i giocattoli dell’infanzia: sono proprio quelli, però non parlano più come allora, non evocano quel mondo che allora evocavano. Sono diventati muti, indecifrabili: una distanza si è interposta fra noi ed essi. Un muro invisibile ci separa e c’impedisce di provare quel che provavamo allora, di godere di quello stupore, di quella meraviglia. Siamo diventati più saggi o ci siamo scordati dell’essenziale? L’essenziale è sempre presente alla coscienza del bambino, ed è quello che Antonio Rosmini chiamava il sentimento fondamentale, l’autocoscienza, che implica la coscienza di esserci e la coscienza di essere altro dal mondo. Laddove il pensiero filosofico moderno ha battuto soprattutto queste due strade: la dissoluzione dell’autocoscienza nell’esistenza, qualcosa che non è nostro ma nel quale noi siamo gettati; e la dissoluzione del senso di differenza fra la coscienza e il mondo, in favore di una sorta di panismo vagamente misticheggiante. Entrambe sono strade senza uscita ed entrambe conducono alla perdita della libertà dell’io: se la coscienza è indistinguibile dalle concrete situazioni esistenziali, oppure se è indistinguibile dal mondo circostante, allora non c’è più un io; ma se non c’è l’io, non c’è più nemmeno il libero arbitrio, perché solo la coscienza dell’io, cioè l’autocoscienza, si esplica nella coscienza morale. In pratica, il pensiero moderno ha condotto l’uomo a darsi da se stesso scacco matto: se non ha il libero arbitrio, se non ha la piena coscienza di sé, allora non è che un essere in balia degli eventi; oppure una fibra indifferenziata dell’universo, dunque il sogno di un sogno, l’auto-illusione di qualcosa che non è. In entrambi i casi rimane inesplicabile il venir meno delle cose, che è la più notevole esperienza conoscitiva e affettiva cui l’uomo va incontro nel corso della propria vita. Capire dove vadano a finire le cose è essenziale per conservare la fede nella razionalità del mondo, per sottrarsi al dubbio lacerante che esso sia solo un sogno, un’illusione, una beffa.

    I casi sono due. O le cose sono per sempre, o sono per il nulla: nel qual caso fa poca differenza se cessano di esistere o se sono sempre state una nostra percezione soggettiva e, in ultima analisi, illusoria. E quella bellissima giornata di primavera, in collina, con la sua mamma, che ha riempito di gioia il cuore del bambino, o è stata inghiottita dallo scorrere del tempo, o non è mai stata altro che una specie di sogno a occhi aperti. Ma se è stata un sogno, chi lo ha sognato, visto che in questa ipotesi non esiste un’autocoscienza distinta dal mondo e dotata di libero arbitrio? E se è stata inghiottita dal tempo, come ha fatto il tempo, che è movimento delle cose a produrre l’annullamento di una cosa? Le cose si muovono perché, dice Aristotele, qualcosa le muove; e non potendo risalire all’infinito, bisogna postulare per forza l’esistenza di un Motore Immobile, che muove ogni cosa senza essere mosso da alcuno. Ora, perché mai il Motore Immobile dovrebbe far scomparire le cose? Perché dovrebbe fare questa cattiva magia, se non per beffarsi degli uomini, dei loro affetti, di tutto ciò che ad essi è caro? Ciò sarebbe contro la logica e contro il buon senso. Il Motore Immobile è anche la Causa Prima: e come si può immaginare la Causa Prima che muove gli esseri al solo scopo di farsi beffe di loro? Prendersi gioco di qualcuno indica un movimento secondario, i movimenti primari essendo quelli che consentono agli esseri di mantenere il proprio equilibrio: ma la regola è che un movimento secondario non deve ostacolare un movimento primario, pena il disordine che intacca l’equilibrio dell’essere. Ora, l’Essere che dà movimento a ogni cosa non può andare contro se stesso, disperdendosi in movimento futili e disordinati. Dio non gioca ai dadi, diceva Einstein; e si può aggiungere che Dio non gioca affatto con le sue creature. Non le ha create per beffarsi di loro, ma per condurle alla pienezza dell’essere. E dunque al Tutto, giammai al nulla...
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    di Francesco Lamendola - 24/12/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    La cultura relativista e materialista in cui siamo nati e cresciuti ci ha familiarizzati con l’idea che la verità non solo non è raggiungibile, ma non è nemmeno desiderabile; che la pretesa di averla e di mostrarla equivalga a un tentativo di violenza sugli altri, ciascuno dei quali ha diritto alla sua verità; insomma che l’assenza di una verità condivisa, certa, assoluta, sia la miglior garanzia per il buon funzionamento della società e il rispetto della democrazia, la quale non tollera che arrivi qualcuno a dire: Adesso vi dico io come stanno in realtà le cose, perché tale pretesa sarebbe una forma di totalitarismo, d’integralismo e (tanto per cambiare) di fascismo. Eppure il bisogno di verità è insito nell’animo umano, fa parte della sua natura e caratterizza il suo statuto ontologico, al pari del bisogno della bontà, della giustizia e della bellezza. Senza una di queste cose, la vita umana diventa un vagabondare senza a meta sulle strade ingannevoli del mondo, simile agli andirivieni di un cieco che si muove a tentoni, incerto sulle gambe e ignaro dei pericoli che potrebbero presentarsi lungo la strada. La più importante di tutte, però, è la verità: la quale, ben lungi dall’essere un bene superfluo, un qualcosa di cui l’uomo moderno può fare a meno, come se fosse un inutile residuo del passato, essa è la condizione che rende possibile ogni azione razionale, ogni pensiero, ogni sentimento; senza di essa tutto crollerebbe, nulla avrebbe più un valore o un significato. E ciò è talmente vero che perfino la persona più meschina ed egoista, la più sprofondata nelle tenebre del disordine morale, è costretta ad ammettere che senza la verità, anche la sua stessa esistenza diverrebbe qualcosa di molto simile a un’assurda tragicommedia, se non addirittura un inferno sulla terra. Proviamo infatti a immaginare l’assenza di verità nei gesti quotidiano più semplici, nelle cose di ogni giorno, nelle normalissime relazioni interpersonali sulle quali si regge l’esistenza di qualunque gruppo umano organizzato. Proviamo a immaginare un panettiere che mente sulla composizione del pane, una maestra che non dice la verità quando spiega la lezione ai bambini, o un militare che mente quando giura di servire fedelmente lo Stato, o un religioso che mente quando parla delle cose divine e si accinge a celebrare i sacri misteri. Proviamo a immaginare un commerciante che mente ai clienti sul conto da pagare, gonfiandolo oltre misura, magari profittando del fatto che sono stranieri e non capiscono bene la lingua; un medico che mente al paziente sulla diagnosi, magari per indurlo a sottoporsi a un intervento inutile, ma costoso (sono successi e succedono anche simili orrori); un postino che mente ai superiori quando dice di non aver potuto consegnare la posta, mentre la verità è che non ne aveva voglia e ha finto che gli indirizzi non fossero segnati esattamente. Proviamo a immaginare, come purtroppo succede, una banca che non dice la verità ai risparmiatori, che li illude facendo loro acquistare dei prodotti finanziari malsicuri, e fa loro perdere grosse somme, dopo averli illusi con la prospettiva di facili guadagni, per compiacere i propri dirigenti disonesti. Proviamo a immaginare un meccanico di automobili che non dice la verità al suo cliente allorché afferma di aver messo nel motore l’olio antigelo, per realizzare un illecito profitto facendo pagare come olio antigelo l’olio normale; o un dentista che mente al paziente dicendo che un certo dente è cariato e si trova in condizioni assai critiche, inducendolo a fare un grosso lavoro ortodontico, di cui in realtà non vi è bisogno, al solo scopo di spremergli denaro.
    Ricordiamo la definizione tomista della verità: adaequatio rei et intellectus, corrispondenza fra la cosa e l’intelletto. La verità, dunque, non è un’araba fenice di cui tutti parlano, ma che nessuno ha mai visto; essa è, al contrario, la cosa più frequente che sia dato incontrare, oltre che la più necessaria. Se il nostro giudizio non cogliesse la cosa come realmente è, e non si regolasse di conseguenza, innanzitutto dicendo le cose come stanno e non tradendo la verità, allora la vita sarebbe impossibile, o almeno sarebbe impossibile che si svolga con un minimo di ordine e di fiducia reciproca, qualità senza le quali si tornerebbe alle condizioni del bellum omnium contra omnes, alla guerra di tutti contro tutti, come in una foresta popolata solo di zanne e artigli pronti ad aggredire e a lacerare. Io vedo la verità, e dico la verità, quando il mio giudizio corrisponde esattamente a ciò che esiste. Se vedo che in questa stanza ci sono muffa e sporcizia, e il proprietario della casa, che abita lontano e che mi ha incaricato della sua manutenzione, mi telefona per sapere se è tutto a posto, e io rispondo che ho appena fatto le pulizie e che tutto è in buono stato, io non dico la verità, dico il contrario della verità, e la mia menzogna diviene, insieme a cento, mille altre menzogne, dette da altre persone nelle circostanze più varie, parte di quella massa inestricabile di non verità che rende sempre più difficile e faticosa la vita sociale. Un nostro caro amico ha rischiato di perdere tutto, ma proprio tutto, perché aveva acquistato una casa e poi era venuto a scoprire, con orrore, che il proprietario, dopo essersi fatto pagare aveva omesso di dirgli la verità circa l’esistenza di un’ipoteca bancaria esistente sulla casa stessa. E se una donna chiede all’uomo che la corteggia, prima di concedersi, se lui la ama, e questi, mentendo, risponde di sì, e si finge molto innamorato, mentre il suo unico scopo è quello di divertirsi per una notte, magari profittando del fatto che lei è molto ingenua, o molto fragile, e tacendole il piccolo particolare di essere sposato e con figli, anzi facendole credere d’essere libero: ecco che una tale mancanza di verità nella comunicazione crea le premesse per qualcosa di brutto, per una sofferenza, per una storia di delusioni e amarezze che potrebbero culminare in una depressione o in un tentativo di suicidio. Chi può dire fin dove possono arrivare le conseguenze d’una menzogna? Diciamolo francamente: il vizio più diffuso, al punto da essere quasi considerato normale, è proprio quello di non dire la verità: di tacerla, o di travisarla, per un misero interesse personale. E la mancanza di verità da parte delle persone non solo rischia di mettere in crisi le attività economiche, il buon funzionamento delle imprese, il clima di reciproca fiducia che deve esistere fra quanti lavorano insieme; ma sovente è all’origine di situazioni dolorose che si creano all’interno delle amicizie, o fra parenti stretti, o comunque in ambito affettivo e sentimentale. Quante volte accade che qualcuno si avvicini a qualcun altro con un secondo fine, ad esempio un giornalista sia pronto a vendersi a un proprietario poco scrupoloso, perché l’ambizione lo spinge a voler fare carriera, e il presupposto per fare carriera, in quel determinato ambiente, è la totale indifferenza nei confronti della verità, benché alla verità venga tributato un omaggio, peraltro insincero e puramente esteriore? E che dire dei politici: quanta sincerità vi è in essi, quanto rispetto della verità, allorché, accecati dalla smania di farsi strada, di essere eletti a qualche importante funzione pubblica, non esitano a rimangiarsi le più solenni promesse fatte agli elettori, e si trasformano in vere e proprie macchine per la conquista del potere, comportandosi poi come dei piccoli satrapi che vivono mentendo sistematicamente e ingannando nella maniera più spudorata quei cittadini verso i quali, in teoria, avrebbero l’obbligo di dire la verità e di fare sempre e solo i loro interessi?
    Ma, si dirà, se fosse così semplice cogliere la verità, forse sarebbe anche più facile dirla. Non è invece frequente il caso in cui non si riesce a capire quale sia la verità, per cui, nel dichiarare lo stato delle cose, non si dice la verità, ma insomma in buona fede, o comunque con un certo grado d’innocenza, anche se si sospetta che le cose potrebbero stare altrimenti? Rispondiamo che la verità, nella maggior parte dei casi, è più semplice ed evidente di quanto non si sia disposti ad ammettere, semplicemente perché ammetterlo equivarrebbe ad una maggiore assunzione di responsabilità rispetto a quel che di solito si è disposti a fare. Non è chi non veda come, quanto più incerta e confusa è la verità, tanto minore è il grado di responsabilità che ciascuno si deve assumere rispetto alle conseguenze del suo parlare o del suo agire. Se la verità è confusa, chi può essere accusato di non aver fatto il proprio dovere, allorché ha detto delle cose non vere? Tutti sono tentati di non dire la verità, quando essa rischia di suonare come una condanna per i propri errori o le proprie manchevolezze. Il comandante di una nave ha sbagliato manovra e ha provocato un disastro marittimo, culminato nell’affondamento della nave stessa e nella perdita di molte vite e di molti beni. Davanti alla commissione d’inchiesta, quel comandante sarà fortemente tentato di evidenziare al massimo tutte le circostanze che potrebbero giustificare la sua imperizia, e di tacere, o minimizzare, tutte quelle che, al contrario, condurrebbero la corte a emettere un giudizio severo nei confronti del suo operato. Di situazioni come queste ne capitano continuamente, a tutti i livelli, nei contesti più vari. Non è tipico dello studente negligente dare la colpa della propria bocciatura alla cattiva disposizione verso di lui di questo o quell’insegnante? Magari servendosi di alcune circostanze vere, ma non così gravi come lui le dipinge, e passando invece sotto silenzio altre circostanze, queste senz’altro vere, ma che sarebbero a lui sfavorevoli, ecco che quello studente manipola la verità, non la dice, lascia intendere che le cose siano andate in modo diverso dal vero, al solo scopo di giustificarsi e di far cadere su qualcun altro, o su qualcos’altro, la responsabilità del suo insuccesso. Ad ogni modo, è chiaro che la nostra responsabilità finisce, e a ragione, quando la nostra ignoranza della verità è legittima e in buona fede. Tuttavia, in tutti quei casi nei quali noi stessi non conosciamo esattamente la verità, abbiamo il dovere morale di astenerci dal parlarne, perché, diversamente, rischiamo d’ingannare il prossimo, o d’indurlo a delle deduzioni inesatte e fuorvianti, che possono riuscirgli di grave danno. Dire sempre la verità, pertanto, significa anche avere la modestia di non pretendere di saper rispondere a tutto e ammettere di non conoscere la verità, quando effettivamente è così.
    E ora veniamo al livello più alto della verità, quello della speculazione intellettuale, che coinvolge chiunque lavori con la testa, specie nel campo della teologia, della filosofia, della storia, della scienza. Se il rispetto pieno della verità è importantissimo nella vita pratica di tutti i giorni, non lo è certo di meno, semmai ancora di più, quando si tratta di studi e ricerche che poi entreranno a far parte del patrimonio culturale di tutti, a cominciare dagli studenti, e che contribuiranno a plasmare il loro orizzonte non solo conoscitivo, ma anche esistenziale, spirituale e morale. Tuttavia, è proprio a questo livello che la stragrande maggioranza degli intellettuali rivendica la propria irresponsabilità, con la motivazione che non esiste la verità, ma che esistono solo delle verità parziali, limitate a una certa prospettiva o a un certo momento storico. In questo senso la cultura del relativismo è quanto di più comodo si possa immaginare per soddisfare tutte le pretese di un intellettuale chiacchierone, vanitoso, narcisista, desideroso di far colpo sul pubblico ma senza rischiare nulla: il che si attaglia a una buona percentuale degli intellettuali di grido. Poter lanciare parole in libertà, trinciare giudizi su questo e su quello, spararle grosse a volontà, e non correre mai il rischio che qualcuno gli domandi: Ehi, amico, ma che diavolo stai dicendo?, è la situazione ideale per un intellettuale alla moda, così come lo è divenuta per tantissimi giornalisti, resi sempre più arroganti e impudenti dall’assenza di contraddittorio. Naturalmente una situazione del genere è resa possibile dall’assurdità e dal carattere intrinsecamente contraddittorio della cultura moderna: in una società sana, illuminata da valori saldi e coerenti, una simile posizione sarebbe insostenibile. Il fatto è che la figura stessa dell’intellettuale è un tipico sottoprodotto della sottocultura moderna, come lo è, su un altro piano, ma in fondo complementare, quella del grande finanziere. Entrambi sono dei parassiti, i quali vivono a spese della comunità; entrambi pretendono onori e riconoscenza dalla gente comune, anche se non fanno assolutamente nulla per meritarli e, anzi, nutrono per essa un disprezzo mal dissimulato; entrambi si muovono in regime di monopolio, nel senso che non debbono vedersela con una vera concorrenza, perché la concorrenza, se c’è, si è accordata per spartirsi la torta e al massimo gli altri finanzieri, come gli altri intellettuali, fanno finta di accapigliarsi tra loro, ma sono d’accordo sul fatto di seguitare a parassitare sempre di più la società produttiva, gli uni con il loro falso denaro, gli altri con i loro falsi ragionamenti. In una società sana, non ci sarebbe posto né per gli uni, né per gli altri: il loro carattere parassitario apparirebbe talmente evidente che non sarebbe loro consentito di prendersi tutto lo spazio e tutte le risorse che attualmente consumano. E l’analogia fra di essi appare ancora più chiara se si pone mente all’oggetto della loro attività: gli uni creano denaro dal nulla per imporre il cappio del debito al collo di tutti; gli altri fabbricano discorsi vuoti, fatti di parole, per giustificare un ordine sociale innaturale e immorale, del quale sono diretti beneficiari. Per entrambi il trucco che dà loro potere consiste nella mancanza di verità: i finanzieri mentono sul senso e sul fine dell’economia, gl’intellettuali mentono sulla lettura del reale. Entrambi avvalorano una visione materialista, che imprigiona gli uomini in una sorta di bolla ipnotica, nella quale si dibattono come pesci presi nella rete, senza saper elaborare gli strumenti per uscire dall’ipnosi, cioè per liberarsi. Ecco perché c’è bisogno di verità come dell’aria per respirare. Fin quando la gente non capirà ch’è impossibile vivere senza verità i parassiti avranno buon gioco nel farsi credere indispensabili: gli uni per organizzare la vita economica, gli altri per fabbricare le idee con le quali far finta di pensare.
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    di Francesco Lamendola - 20/12/2020

    Fonte: Accademia Nuova Italia

    In natura il conflitto esiste; è necessario; è utile all’economia complessiva del sistema. Anche nelle società umane esistono i conflitti: sono inevitabili e possono essere sia necessari che utili; oppure possono essere futili e inutili. Ciò dipende dal libero arbitrio, che distingue la specie umana dagli altri esseri viventi e senzienti.

    Nel modo vegetale, il conflitto si chiama competizione: due pianticelle si contendono lo spazio e la luce di un bosco, dopo la caduta del vecchio albero secolare: una sola riuscirà a prevalere, a svilupparsi e ad occupare lo spazio che le è necessario per vivere. Anche nel mondo animale il conflitto ha origine dalla necessità di spazio e di cibo: di uno spazio sufficiente per procurarsi il cibo. Ecco perché due predatori non possono coesistere nello stesso territorio, e nemmeno due capibranco: la regola è che il vecchio prima o poi dovrà soccombere e andarsene, e il giovane lo rimpiazzerà, fino a quando a sua volta anch’esso invecchierà e sarà affrontato da un individuo più giovane e forte, e costretto a sloggiare. Nel paesaggio urbano, se osservato in un sufficiente arco di tempo, si osserva un fenomeno analogo: le vecchie abitazioni, i vecchi cinema, le vecchie osterie, poco alla volta chiudono, vengono abbattuti o ristrutturati e trasformati; scompaiono i vecchi borghi, i vecchi quartieri, interi isolati cadono sotto le ruspe e al loro posto sorgono moderni edifici, teatri, palazzetti dello sport, sale multiuso, palazzi d’affari e centri direzionali o commerciali. È triste, dal punto di vista di chi ha un animo sensibile e non si rassegna alla caducità di tutte le cose, ma è così: nel giro di alcuni decenni le città cambiano volto, non sono più quelle, e colui che vi torna da vecchio, dopo averle lasciate nell’infanzia, stenta a riconoscerle.
    Ci sono poi i conflitti interiori: vi sono delle situazioni esistenziali nelle quali una persona si trova in contrasto con se stessa: le due parti si affrontano e una sola, alla fine, risulterà vittoriosa, mentre l’altra dovrà soccombere e rassegnarsi alla sconfitta. Potrà considerala una sconfitta temporanea, e allora cercherà la rivincita, e il conflitto tenderà a cronicizzarsi; raramente si adatterà a una sconfitta definitiva, cioè a sparire per sempre. Quando la ragione del conflitto è di natura etica, la lotta assumerà l’aspetto di uno scontro fra il bene e il male: malignità e benevolenza, egoismo e altruismo, avarizia e generosità, superbia e modestia, lussuria e continenza si affrontano in una battaglia la cui posta in gioco è la signoria sull’anima di quella persona.
    A volte le ragioni del bene e del male non sono perfettamente distinte e contrapposte, ma parzialmente intrecciate e confuse, e in tal caso si hanno i conflitti interiori più sfibranti, tormentosi e sofferti. Ci sono perfino delle nature talmente irresolute da non riuscire a risolvere i propri conflitti, le quali restano perennemente paralizzate dall’urto contrastante e perfettamente equilibrato delle due spinte, delle due tendenze che si affrontano, con un enorme dispendio di energie che, però, non conduce ad alcuna conclusione.
    Dogmi buonisti e misericordisti: perchè l’odierna “cultura buonista” inorridisce davanti alla parola “conflitto” e lo considera sinonimo di “calamità” da evitare ad ogni costo? Il punto è questo: dietro il male commesso dagli uomini vi è un Male più grande, che viene dal diavolo; così come dietro il bene che compiono vi è il Bene proveniente da Dio!
    Tuttavia il caso più frequente di conflitto è quello interpersonale, che richiama in sostanza le caratteristiche del conflitto esistente in natura fra le creature extra-umane; ed è proprio per questo che molti guardano ad esso con una sorta di sacro orrore, come se equivalesse, di per sé, ad un abbassamento della natura umana, a una negazione intrinseca della sua dignità.
    L’odierna cultura buonista, incoraggiata soprattutto dal clero cattolico dopo il Concilio Vaticano II, ma anche dalla cultura laica, specie dopo i disastri delle due guerre mondiali e nella tremenda prospettiva di un’eventuale guerra nucleare, inorridisce davanti alla parola “conflitto” e lo considera sinonimo di calamità da evitare ad ogni costo. Ciò è completamente sbagliato e fuorviante. Come abbiamo detto, il conflitto può essere necessario, utile e liberatorio; guai a reprimerlo, quando esso si pone effettivamente come una necessità vitale. Non tutti i conflitti possono essere evitati e non tutti possono essere composti pacificamente: questo, che una volta era chiarissimo, intuitivamente, ai nostri nonni, oggi per noi è divenuto quasi una bestemmia. Eppure è facile mostrare la verità di una tale affermazione. Si può forse evitare, o comporre pacificamente il conflitto fra le persone oneste e la malavita organizzata? Si può venire a patti con la mafia o con una spietata organizzazione terroristica? Si può chiudere in parità la partita per il controllo della società, tra le forze dell’ordine e gli assassini senza scrupoli, sulla base di una falsificazione bella e buona del precetto cristiano del perdono delle offese? Evidentemente no: eppure questo è quanto il falso clero del signor Bergoglio non si stanca di ripetere alla gente.
    Il vero atteggiamento cristiano di fronte al male è di ferma opposizione: di qui l’inevitabilità del conflitto. I martiri cristiani non hanno avuto paura del conflitto, e lo hanno affrontato impavidi, fino al sacrificio supremo, ben consapevoli che ogni più piccolo cedimento avrebbe significato una vittoria del male. Stessa cosa per il conflitto interiore: il vero cristiano sa che bene e male non possono coesistere e sa che esistono entrambi nel fondo della propria anima: se volesse esorcizzare il conflitto, dovrebbe ridursi alla totale impotenza e alla più completa inerzia. Entrambe le cose configgono inevitabilmente con la cultura moderna: il conflitto verso l’esterno viene bollato come intolleranza e il conflitto interno viene diagnosticato come nevrosi. La polizia è la risposta al primo, e il ricovero psichiatrico al secondo. Di fatto, oggi un autentico cristiano rischia entrambe le sanzioni: se proclama a voce alta la verità del Vangelo, rischia la prigione non appena citi la Parola di Cristo e affermi apertamente punti salienti della morale cristiana che confliggono col divorzio, l’adulterio, l’aborto, l’eutanasia, la sodomia, eccetera; e se si impegna a reprimere in se stesso le proprie tendenze cattive, qualche solerte psichiatra lo dichiarerà affetto dalla sindrome del masochismo e dell’auto-punizione, e ordinerà per – il suo bene, s’intende – un trattamento sanitario obbligatorio.

    Il conflitto fra il bene e il male
    Neanche il falso clero postconciliare ha rinunciato al conflitto: non ha esitato a pretendere la scomunica di monsignor Lefebvre; poi si è scagliato con rabbia contro monsignor Williamson; ha preteso e ottenuto la scomunica di don Minutella e ora costringe a vivere nascosto monsignor Viganò: tale è la vendicatività pretesca. La verità è che oggi un autentico cristiano se proclama a voce alta la verità del Vangelo o la Parola di Cristo rischia la prigione, se non persino la vita!
    Si noti che la società moderna, specialmente la società democratica, non ha affatto rinunciato al conflitto, ma ha sviluppato l’ipocrisia necessaria a dissimularlo, specie quando di tratta di aggredire chi non si sottomette ai suoi dogmi buonisti, permissivi e misericordisti. Essa si sente in diritto e in dovere di attaccare ogni qualvolta s’imbatte in qualcuno o in qualcosa che contrasta copi suoi nobili e astratti principi di solidarietà, tolleranza e inclusione. È logico: figlia dell’illuminismo, ha nel suo DNA l’attitudine a usare sistematicamente due pesi e due misure: la tolleranza con chi accetta i suoi principi e s’inchina alla bontà delle sue politiche, guerre comprese, e la spietatezza più inumana contro chi non li accetta e non si piega. Vi è, nella cultura moderna, una perfetta corrispondenza di pensiero e azione: come David Hume voleva bruciare tutti i libri di metafisica e teologia, così Robespierre voleva tagliare tutte le teste di chi si opponeva alla Virtù repubblicana. E come Stalin, poi, volle eliminare a milioni quanti considerava un ostacolo al trionfo del comunismo, così Churchill e Roosevelt fecero assassinare, bruciandoli vivi coi bombardamento al napalm e, poi, con le bombe atomiche, quanti non volevano piegarsi alla “libertà” e alla democrazia dei grandi banchieri: civili inermi e non militari; proprio come gli inglesi, nel 1700, cercarono di eliminare alcune tribù di pellerossa distribuendo loro coperte infettate coi germi del vaiolo.
    Dice il signore argentino: “Dio ci chiederà conto” di quanti immigrati annegano in mare? Anche se non risulta che qualcuno di noi li abbia mai costretti a salire sui barconi e a farsi trasportare dai mercanti di carne umana, peraltro pagando fior di quattrini, visto che essi ci vengono sempre presentati, specialmente dal clero buonista e misericordioso, come poveretti del tutto indigenti!
    Neanche il falso clero postconciliare ha rinunciato al conflitto: non ha esitato a pretendere la scomunica di monsignor Lefebvre; poi si è scagliato con rabbia contro monsignor Williamson; ha preteso e ottenuto la scomunica di don Minutella e ora costringe a vivere nascosto monsignor Viganò: tale è la vendicatività pretesca, quando individua qualcuno che può essere d’ostacolo ai suoi disegni filo-massonici, modernisti e sincretisti. Ma nei confronti dei fratelli maggiori ebrei, dei fratelli separati protestanti, dei fratelli in Abramo islamici, e di tutti gli altri fratelli possibili e immaginabili (non nel senso cattolico del termine ma, appunto, in quello massonico), buddisti, induisti, atei, sciamani e seguaci di Pachamama, insomma verso tutti gli abitanti della nostra casa comune, come ama dire il frammassone Bergoglio parlando del creato, porte aperte ventiquattro ore su ventiquattro.
    Per non parlare dei cosiddetti migranti, i quali hanno diritto a sbarcare dove e come vogliono, nel numero che vogliono, e con la ferma intenzione di non integrarsi, bensì di sottomettere l’Europa cristiana al Corano. Di quanti annegano in mare, dice il signore argentino, Dio ci chiederà conto, anche se non risulta che qualcuno di noi li abbia mai costretti a salire sui barconi e a farsi trasportare dai mercanti di carne umana, peraltro pagando fior di quattrini – quattrini che non si sa da dove saltino fuori, visto che essi ci vengono sempre presentati, specialmente dal clero buonista e misericordioso, come poveretti del tutto indigenti, anzi disperati, in fuga da guerra e fame: come si vede dai loro muscoli possenti e dalle loro catenine d’argento e dai loro telefonini ultima generazione.
    Il Nuovo Ordine Mondiale, ha attuato la politica dei porti aperti e ha invitato masse crescenti di africani, asiatici e latinoamericani a immigrare illegalmente nel nostro Paese, garantendo loro la massima accoglienza dietro il paravento ridicolo della protezione ai profughi, sebbene il 95% di costoro non siano affatto dei profughi!
    Si sceglie di non scegliere, Pilato insegna
    Negare il conflitto, quando esso è inevitabile e necessario; negarlo quando l’altra parte è sul piede di guerra e si prepara ad attaccare, equivale ad esporre se stessi e la propria parte ad un pericolo mortale, senza ragione e senza scopo. Da quando, col Concilio Vaticano II, e specialmente con la Gaudium et Spes, si è dato a credere ai cattolici ignari e in buona fede, che tutte le religioni sono ugualmente desiderose di “dialogare” e di interagire pacificamente e costruttivamente le une con le altre, si è consumato con ciò stesso un terribile inganno ai loro danni. Parimenti da quando la classe politica italiana, completamente acquisita al potere massonico e ai progetti dell’élite finanziaria sul Nuovo Ordine Mondiale, ha attuato la politica dei porti aperti e ha invitato masse crescenti di africani, asiatici e latinoamericani a immigrare illegalmente nel nostro Paese, garantendo loro la massima accoglienza dietro il paravento ridicolo della protezione ai profughi, sebbene il 95% di costoro non siano affatto dei profughi, un altro e ancor più grave tradimento è stato consumato ai danni del popolo italiano. I fanatici islamici che sgozzano i preti cattolici sull’altare, che profanano e incendiano le chiese, non solo in Francia e Italia ma in tutta Europa, e gli spietati criminali della mafia nigeriana che oltre a spacciare droga in tutte le città, perpetrano orribili delitti, come quello di uccidere e tagliare a pezzi le loro vittime, talvolta di cibarsene, sono la prova provata del fatto che il confitto esiste e che se una delle due parti rinuncia a difendersi, sedotta da folli ideologie buoniste che le impediscono di vedere il male e di riconoscere la realtà per quel che essa è, la sua fine è solo questione di tempo. Per la stessa ragione, il fatto che la cultura ufficiale, sia laicista che (pseudo) cattolica, abbia messo sugli altari eroine discutibili come Greta Thunberg e Carola Rackete, in nome dell’ambientalismo ebete e dell’immigrazionismo a mano armata, mostra che nella nostra società vi sono tanti elementi tossici, di auto-disprezzo e auto-distruzione, sufficienti ad avvelenarla nel giro di una o due generazioni al massimo. Stranamente, da noi il male non viene riconosciuto quando viene dall’esterno, semmai viene chiamato male la legittima volontà di difendersi e il sacrosanto diritto/dovere di proteggere la propria religione, la propria patria e i propri valori, gravemente minacciati dall’irruzione di milioni e milioni di persone che non li amano, né li condividono, né li rispettano, ma che vorrebbero imporre a noi, in casa nostra, i loro valori, i loro sistemi di vita e la loro fede religiosa. E un segnale certo del nostro accecamento è dato dal fatto che nelle prime file di quanti predicano l’immigrazione selvaggia e l’accoglienza indiscriminata vi sono le femministe e i militanti dei movimenti LGBT: apparentemente ignari, o inconsapevoli, che quando gli islamici saranno abbastanza forti da imporre la loro legge e la loro morale nel nostro Paese, la donna verrà ricacciata in casa, coperta fino ai piedi con lo chador o con il burqa, ad accudire i figli e a partorirne sempre di nuovi, mentre gli omosessuali verranno non solo discriminati (altro che legge Zan-Scalfarotto), ma perseguitati a morte, imprigionati, lapidati o decapitati, come già avviene nei Paesi dominati dalla Shari’a.
    Gesù negava ed evitava il conflitto, per principio? Niente affatto! Non lo evitava, né lo negava, allorché diceva ai farisei: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, serpenti, razza di vipere!; o quando cacciava i profanatori dal tempio, pigliandoli a pedate nel sedere, rovesciando i banchi dei cambiavalute e fustigando costoro con un fascio di corde!
    Per il cristiano, del resto, l’ultima parola spetta sempre e solo a Gesù Cristo, l’unico modello certo al quale affidarsi interamente. E dunque: Gesù negava ed evitava il conflitto, per principio? Niente affatto. Non lo evitava, né lo negava, allorché diceva ai farisei: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, serpenti, razza di vipere!; o quando cacciava i profanatori dal tempio, pigliandoli a pedate nel sedere, rovesciando i banchi dei cambiavalute e fustigando costoro con un fascio di corde; né quando diceva: Chi ama suo padre e sua madre più di Me, non è degno di Me. Sono forse le parole di Uno che non ammette il conflitto in nome di una “bontà” astratta che finisce per risolversi in una approvazione del male, e quindi in un male essa stessa? No: sono le parole di Chi sa che la vita è conflitto, e che bisogna battersi per la buona causa. E i Suoi discepoli? Ecco san Pietro a Simon Mago: Va’ in perdizione col tuo denaro; e san Paolo (Ef. 6,11-12): Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Perché il punto è questo: dietro il male commesso dagli uomini vi è un Male più grande, che viene dal diavolo; così come dietro il bene che compiono vi è il Bene proveniente da Dio. La vita è un conflitto, ed è giusto che sia così. Ma nessuno si esalti per il bene che riesce a fare. Come dice Gesù (Gv 15,5): Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chiaro?
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    di Francesco Lamendola - 14/12/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Noi siamo abituati a pensare che gli stati d’animo dell’essere umano vengano da lui e siano il risultato di dinamiche interiori, il che è vero. Siamo anche consapevoli che fattori esterni possono influire sugli stati d’animo e possono agire su di essi in senso positivo o negativo, e anche questo è vero. Quel che la grande maggioranza di noi non pensa affatto, né ha mai pensato, è che le circostanze esterne possano esser provocate a bella posta per far sì che il nostro stato d’animo ne sia modificato. O meglio: siamo tutti consapevoli che una cosa del genere, benché rara, può accadere, qualora qualcuno si riproponga di provocare una modificazione nello stato d’animo di una singola persona, per gli scopi più vari: fare uno scherzo, fare una sorpresa, incutere timore, ecc. Però che un intervento esterno, o tutta una serie d’interventi esterni, possano essere studiati nel tempo e attuati simultaneamente a livello planetario, per modificare lo stato d’animo dell’intera umanità, o di una percentuale assai consistente di essa, questo eccede la capacità delle persone comuni di formulare ipotesi razionali e in genere viene semmai associato alla letteratura o al cinema di fantascienza, cioè relegato in un ambito puramente immaginario.

    Un tale scenario, già di per sé fantastico, appare scarsamente verosimile essenzialmente per due ragioni: primo, è inimmaginabile che esista una centrale così potente da attuare un disegno di tale portata; secondo, non si capisce a quale scopo lo farebbe. Per tenere l’umanità sottomessa? E sia pure: ma che c’entra lo stato d’animo delle persone? Non sarebbe sufficiente, se davvero esistesse un potere così immensamente malvagio e pervasivo, che si assicurasse la sottomissione della gente sul piano politico ed economico? Certo: per sottomettere bene la gente può essere utile terrorizzarla, in modo che divenga più remissiva di fronte alle pressioni del potere. E lo stiamo vedendo, ad abundantiam, con l’emergenza sanitaria, quando milioni di persone, anziché farsi due domande e pretendere verità e trasparenza sui dati della mortalità, le autopsie non eseguite, le cremazioni frettolose, le terapie trascurate come l’idrossiclorochina, e in genere la mancanza d’informazione su come sviluppare le difese immunitarie, non pensano ad altro che al vaccino e sono disposte a farselo somministrare non appena giungerà sul mercato (perché di questo si tratta, di un’operazione di mercato e non certo di filantropia o beneficenza), pur in assenza del periodo minimo per verificare l’insorgenza di eventuali effetti collaterali, e addirittura nella più completa ignoranza sulla composizione di un vaccino pensato per combattere un virus specifico che non è mai stato isolato. E tuttavia, ribadiamo il concetto: se queste forze potentissime esistono, il loro obiettivo vero non è ottenere la vaccinazione in massa della popolazione mondiale; questo, semmai, è l’obiettivo dei miliardari amorali come Bill Gates o George Soros, per i quali il denaro accumulato con ogni sorta di speculazioni non è mai abbastanza e ne vorrebbero ancora di più, sempre di più, senza limite alcuno. Sarebbe però un errore pensare che uomini come Bill Gates o George Soros siamo i registi ultimi d’un simile gioco planetario: tutto in essi, nel loro modo di agire, attesta che sono solo dei miseri personaggi accecati dalla ricchezza e impazziti per la sete di potere, capaci di reclutare personaggi ancor più miseri di loro e ancor più egoici e banali, come i capi di stato e di governo che assecondano il migrazionismo e la dittatura sanitaria per restare sulle loro poltrone qualche anno o qualche mese in più, e ricavare il massimo dei vantaggi materiali da tale permanenza abusiva in posizioni di potere, cui non avrebbero diritto né per i loro meriti e le loro capacità (uno Speranza, esperto di questioni sanitarie?), né, soprattutto, in base alla volontà degli elettori, espressa nelle ultime occasioni in cui vi sono state delle consultazioni politiche, almeno formalmente regolari.

    Ecco: qui ci stiamo avvicinando alla vera natura e ai veri scopi dei Padroni del Gioco – sempre ammesso che esistano, si capisce, perché siamo partiti da una semplice ipotesi di lavoro, suggerita, sì, da una serie di fatti strani e d’inquietanti coincidenze, e da alcune osservazioni e deduzioni che sono di puro buon senso, ma pur sempre assai difficili da provare e dimostrare con lo stesso grado di certezza che ci si aspetta per qualunque fatto della società, della politica, dell’economia o della cultura. A che cosa sono interessati, esattamente, i Padroni del Gioco? Che cosa vogliono da noi, allorché istigano i loro sottoposti a fare in modo che le popolazioni vivano costantemente imprigionate in una gabbia d’angoscia, insicurezza e paura, ora per la minaccia di attacchi terroristici (che strani però questi terroristi, che vanno a compiere le stragi tenendo in tasca i documenti d’identità); ora per l’avanzare minaccioso dello spread, o per l’inquinamento, il mutamento climatico, il buco nell’ozono e lo scioglimento dei ghiacci polari; ora, infine, per il dilagare di morbi sconosciuti e forse pericolosissimi, da quello della mucca pazza al carbonchio, e dal Covid-19 a qualche nuovo virus, che qualcuno si appresta a rilasciare prossimamente dai diabolici laboratori nei quali è stato realizzato, coltivato e tenuto in serbo per il momento giusto? Non vogliono il nostro denaro: quello di fatto l’hanno già, e inoltre, controllando le banche centrali, ne possono far emettere quanto ne vogliono. Non mirano neppure alla nostra obbedienza: anche quella di fatto l’hanno già, visto che controllano sia i governi, sia i cosiddetti partiti d’opposizione, i quali ben poco si distinguono, nella sostanza, da quei governi che criticano a parole, senza però far nulla, specie se per caso si trovano loro stessi ad andare al potere (esemplare, in questo senso, il caso del Movimento 5 Stelle e del suo ispiratore Beppe Grillo). Vogliono sostituire i popoli europei con i popoli asiatici e africani? No, quello è il fine perseguito da George Soros. Vogliono vaccinarci? No, quello è l’obiettivo di Bill Gates. Vogliono imporre il monopolio sulla rete informatica? No, quello lo vuole Mark Zuckerberg. Vogliono sostituire la distribuzione commerciale consueta con gli acquisti online? No, quello è l’obiettivo di Jeff Bezos. Insomma, tutte queste cose, che pure stanno avvenendo, rientrano negli obiettivi dei multimiliardari e dei politici e amministratori pubblici che si sono posti, consapevolmente o meno – la cosa in fondo è secondaria - al loro servizio. Vogliono riconvertite l’economia mondiale attuando il Great Reset, il Grande Azzeramento, in modo da tagliare radicalmente i posti di lavoro e produrre merci nell’ottica di una green economy, secondo il nuovo vangelo ecologista e ambientalista di Greta Thunberg, destinata alla sussistenza di una popolazione mondiale drasticamente decimata? No, neppure questo: tale è l’obiettivo delle multinazionali della chimica, dell’elettronica, dell’agro-alimentare, ecc. Roba che interessa gli amministratori delegati e i proprietari delle multinazionali stesse: ultramiliardari, ancora e sempre gente che vuole accrescere ulteriormente il proprio capitale, di norma speculando sul lavoro e le sofferenze altrui. Gente ricchissima e senza scrupoli, ma in fondo banale; più astuta che intelligente, più avida che razionale. Sì, lo sappiamo: essi sono convinti che non pagheranno mai il conto; che anche quando la terra sarà diventata, grazie alle loro politiche, un luogo invivibile, sconvolto da povertà, epidemie e guerre civili, per loro ci sarà pur sempre un futuro più che accettabile, e a tal fine negli ultimi anni hanno acquistato vaste proprietà fondiarie nella Nuova Zelanda, un Paese da essi individuato come luogo di rifugio per i membri dell’élite mondiale, cioè per se stessi, e chiuso a tutti gli altri. Dal che si capisce che la loro testa funziona come quella di tutti, anche un po’ meno lucidamente, perché è puerile immaginare che un’isola felice possa sopravvivere in un mondo distrutto; e, soprattutto, che ragionano in maniera puramente e piattamente materialistica, facendo consistere i loro obiettivi in cose sempre e solo materiali, delle quali essi potranno disporre a piacimento, e tutti gli altri no.

    I Padroni del Gioco, invece, se esistono – e fra poco cercheremo di sciogliere questo interrogativo – non ragionano così, per la buona e semplice ragione che non sono come noi. Non appartengono alla razza umana. Alcuni pensano che si tratti di creature extraterrestri; altri, di creature provenienti da un’altra dimensione; altri ancora, fra i quali noi stessi, seguono la dottrina cattolica e li identificano con i principati e le potestà, con gli spiriti malvagi che popolano le regioni celesti, come li descrive san Paolo nella Lettera agli Efesini: non creature di sangue e di carne, ma esseri di natura spirituale e perciò proiettati in una dimensione soprannaturale, anche se, come è proprio degli angeli caduti, dediti ad una sorta di spiritualità rovesciata, nella quale il male diventa bene e il bene è visto come il male. In ogni caso, i loro obiettivi non sono rivolti alle cose materiali, e dunque essi non sono interessati a esercitare un dominio fisico sugli uomini, se non nella misura in cui è uno strumento per conseguire i loro fini. Ma quei fini possono essere conseguiti anche per altre vie, ad esempio seminando il terrore e alimentando ogni sorta di stati d’animo negativi. E qui torniamo al punto di partenza. In ciascuno di noi vi è l’attitudine a sviluppare sia la dimensione superiore, sia quella inferiore: è proprio della natura umana potersi innalzare al di sopra di se stessa, attingendo le vette spirituali, oppure precipitare al di sotto di se stessa, abbrutendosi e sprofondandosi nella palude di un ego primordiale, animalesco. In effetti, l’essere umano è il solo che gode di uno statuto ambiguo, elastico, plasmabile, che può condurlo sia verso l’alto che verso il basso, appunto perché è il solo che possiede il libero arbitrio. Quando persegue il bene, il suo stato d’animo s’innalza, diventa luminoso, e vibra alle alte frequenze energetiche: allora diffonde intorno a sé onde di pace e benevolenza, che gli altri percepiscono immediatamente. Si narra di alcuni santi, come san Serafino di Russia, che perfino gli orsi si accucciassero ai loro piedi, contemplandoli con sguardo mite, perché soggiogati dalle onde di amore disinteressato che s’irradiavano dalle loro persone. Anche san Francesco d’Assisi ammansiva i lupi, comandava ai pesci e agli uccelli, colloquiava con le cavallette. I pittori hanno cercato di esprimere questo concetto dipingendo una sorta di disco luminoso intorno al capo dei santi. Viceversa, quando un essere umano è dominato dalla rabbia, dalla frustrazione, dalla tristezza, dall’angoscia, dalla paura, dall’odio, emette delle vibrazioni a bassa frequenza, che spandono intorno un’aura negativa, plumbea, tale da mettere a disagio quelli che si trovano vicino. Quante volte abbiamo provato una sensazione di negatività, di soffocamento, stando vicino a certe persone, intuendo che da esse s’irradiava un’energia malefica, fatta d’invidia, cattiveria, malignità?

    E adesso possiamo provare a rispondere alla domanda: perché lo farebbero? Perché i Padroni del Gioco si darebbero la pena di tenere in piedi un meccanismo planetario di ansia, paura, rabbia, se non per nutrirsi dell’energia a bassa frequenza che noi stessi, impauriti, ansiosi, rabbiosi, produciamo con le nostre basse vibrazioni? Riflettiamo: non è “normale” e non è sempre stato così. Quando una società è ordinata, anche il male che attraversa la vita degli individui è naturale, e l’amore per la vita prevale sul male di vivere. La studiosa Régine Pernoud ha scritto che se c’è stata un’epoca della storia in cui gli uomini hanno coltivato intensamente la gioia di vivere, quella è stata il Medioevo Le grandiose cattedrali che si slanciano verso il cielo, come se avessero vinto la forza di gravità, ne sono l’emblema visibile. Al contrario la civiltà moderna si direbbe immersa in un campo invincibile di basse frequenze. Città brutte, arte brutta, musica brutta, cinema e letteratura dell’orrore, programmi televisivi che trasudano violenza e lussuria: tutti questo produce energia a bassa frequenza e tiene gli uomini sprofondati nella dimensione più bassa, animalesca. Si può pensare che si tratta di fenomeni spontanei; ma si può anche pensare che siano manovrati e orchestrati dall’alto. A ben guardare, non è normale che l’uomo moderno sia morbosamente attratto dallo spettacolo del male, che genera disgusto e paura. È come se fosse avvinto da un sortilegio. E come spiegare il dilagare della droga, della violenza, dei suicidi, degli aborti, del satanismo? Si può considerare naturale una simile linea di tendenza? A questo punto l’ipotesi di lavoro che avevamo formulato acquista uno spessore, una credibilità nuovi. Se queste cose non sono naturali, allora qualcuno le alimenta; qualcuno vuole spingere gli uomini in tale direzione; e ci sta riuscendo perfettamente. E chi può essere questo qualcuno? Non i padroni del mondo visibili, quelli che compaiono sulle copertine dei giornali, e che, essendo dominati dal’ego, godono di essere visti da tutti. No, i padroni veri sono altri: quelli che stanno dietro e si tengono nascosti. A loro non interessa affatto farsi vedere, anzi amano l’oscurità: così come disdegnano il denaro, disdegnano la fama. In un certo senso, sono creature spirituali: ma alla rovescia. Sono le creature del Male. Hanno bisogno che noi soffriamo, che noi disperiamo, che noi viviamo immersi nella tristezza e nella paura, lontani dalla luce e dalla pace di Dio, perché quello è, letteralmente, il loro cibo. Come vampiri psichici, si nutrono di energia negativa (queste cose sono state bene esposte da un ricercatore come Rodolfo Palermo: vedi, ad es.,(


    Che fare per spezzare la gabbia delle basse vibrazioni e sollevare la nostra energia alle frequenze superiori? Coltivando il bello in primo luogo: ascoltando Bach invece dell’heavy metal, ad esempio. Poi, amando invece di odiare. Infine, superando la paura con il riconoscimento del loro gioco. Una volta capito cosa vogliono, perché darglielo? Vogliono rubarci l’anima: perché mai regalargliela?
  6. .
    di Francesco Lamendola - 08/12/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Abbiamo visto, nel precedente articolo Questa battaglia, come tutte, è sulla comunicazione (pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 07/12/20) che ciò che fa la differenza fra quanto detto alla televisione e quanto detto al di fuori di essa è il principio della quantità che si fa arbitrariamente qualità; che assume, cioè, un alto grado di plausibilità e di persuasività proprio in ragione del fatto che viene proclamato dal piccolo schermo e che per ciò stesso, indipendentemente dal suo contenuto di verità, acquista un significato e un valore intrinseci. Inconsapevolmente, la gente pensa: Se lo dice la tv, è probabile che sia vero; e se lo dicono tutte le televisioni, allora sarà vero senz’altro. Meccanismo psicologico che è tipico della massa, non della psicologia individuale; ma è appunto la fruizione quotidiana della televisione che crea la massa, insieme ad altri fattori della società moderna, per cui si può dire che l’una cosa determina l’altra: non ci sarebbe una così grande credulità verso i contenuti televisivi se non ci fosse il pubblico televisivo, ma non ci sarebbe nemmeno quest’ultimo se non ci fosse l’abuso quotidiano della televisione come spettacolo e come passatempo da parte di centinaia di milioni di persone che non sono solite ricorrere ad altre fonti per apprende ciò che accade nel mondo. Possiamo anzi dire che la tv ha la capacità di persuadere quanto più la si guarda, e che la sua capacità pervasiva/persuasiva va assai oltre i contenuti specifici, ma si estende a ogni aspetto del reale, e in questo senso la pubblicità televisiva, che parrebbe un ambito limitato alla sfera commerciale, è suscettibile di esercitare l’influsso più penetrante di tutti, appunto perché il pubblico non sta in guardia contro la sua capacità di persuadere, o per dir meglio di sedurre, in maniera dolce ed occulta, e crede che si tratti solo di lasciarsi o non lasciarsi influenzare circa l’acquisto di un determinato prodotto. Per dirne una: la pubblicità non si limita a reclamizzare questa o quella merce, ma presenta anche un modello di stili, di comportamenti, di modi di essere, i quali pur non essendo il suo oggetto specifico, influenzano, eccome, la mente del pubblico: tant’è vero che nel giro di qualche settimana, mese o anno lo stile complessivo di una società può essere profondamente cambiato soltanto dall’opera silenziosa e implacabile della pubblicità televisiva. E se fossimo stati meno distratti, noi italiani avremmo potuto rendercene perfettamente conto proprio osservando noi stessi, a partire da quando il mezzo televisivo è entrato nelle case di ogni famiglia, cioè nel decennio fra il 1960 e il 1970, durante il quale si è verificata l’eclisse degli stili di vita nazionali ed è incominciata la sciocca e pedissequa imitazione di modelli stranieri, specialmente d’oltre Atlantico, cosa che si è accompagnata anche a un mutamento profondo della società stessa, dei suoi valori, dei contenuti culturali, educativi, estetici, religiosi, ecc.

    Ora, nella situazione in cui ci troviamo al presente, con i mass-media interamente impegnati al servizio di quelli stessi che vogliono sottometterci per mezzo del terrore creato dalla pandemia, si tratta di vedere se e cosa si possa fare per contrastare gli effetti del Pensiero Unico realizzato mediante la Narrazione Unica. Sembrerebbe una battaglia persa in partenza: se quel che conta non è la verità, ma il monopolio dei mezzi d’informazione, come si può evitare che la massa continui ad essere manipolata, e che si lasci docilmente manipolare? Per fare un esempio concreto: ci si sarebbe potuti aspettare che il rifiuto della segregazione sanitaria imposta con il pretesto della pandemia, un provvedimento assurdo, che non si era mai visto neanche durante le vere pestilenze del passato, e che sta uccidendo l’economia, i primi a reagire, a rifiutare di sottomettersi e quindi anche di accettare il Pensiero Unico, sarebbero stati quelli più direttamente danneggiati nella loro stessa possibilità di sopravvivenza: piccoli imprenditori, commercianti e artigiani. Invece si assiste allo sconcertante spettacolo di gente che perde l’azienda, che perde il lavoro, ma che accetta con rassegnazione il proprio destino perché convinta, in apparenza, che tale sia il prezzo da pagare per scongiurare l’ulteriore diffusione del contagio e una paurosa moria di persone, specialmente quelle più anziane. Ma se neanche i più colpiti dalla dittatura sanitaria imposta dal governo reagiscono, cosa ci si può aspettare dagli altri, dagli statali, dai pensionati, i quali, almeno in un primo tempo, non soffrono particolari difficoltà di tipo economico? E se i mass-media continueranno a battere, sempre più ossessivamente, sul tasto del terrore sanitario, e i politici e i governatori delle regioni li asseconderanno, e i partiti di opposizione continueranno a brillare, come finora è stato, per la loro assenza e la loro inadeguatezza: chi o che cosa permetterà di rompere l’incantesimo maligno della bolla mediatica che tiene la popolazione inchiodata ai dettami del Pensiero Unico, e le impedisce perfino di esprimere la più legittima e naturale protesta?

    Per rispondere a questa domanda, bisogna partire dall’analisi realistica dei fatti. I fatti dicono che le persone più serie, preparate e intelligenti non riescono a convincere e spostare quote significative di opinione pubblica finché le televisioni e i giornali dicono l’opposto: e ciò seguiterà a verificarsi fino a quando la popolazione sarà, appunto, “opinione pubblica”. L’opinione pubblica è un’astrazione creata dagli organi di stampa per indicare gli orientamenti prevalenti, indotti dalla stampa stessa. In altre parole, esiste un’opinione pubblica dove i giornali sono molto diffusi e dove non vi sono altre fonti d’informazione alle quali la gente possa attingere. Perciò bisogna partire da qui, e 1) smettere di leggere i giornali e di guardare la televisione, o almeno le grandi reti nazionali, tutte asservite ai piani dell’élite globalista; 2) cercare la vera informazione e il contatto con altre persone e gruppi che la pensano allo stesso modo, sfruttando gli spazi di libertà che ancora esistono nella rete. Con la scusa della pandemia, infatti, il governo ha paralizzato, insieme a ogni altra forma di vita sociale, anche l’attività culturale e informativa dei gruppi e delle associazioni che cercano di tener vivo un minimo di pensiero critico; nulla però vieta che incontri e conferenze possano avvenire online, come si fa per la scuola pubblica, con la cosiddetta didattica a distanza. E infatti il governo, non solo in Italia, ma in tutti i Paesi occidentali, si sta accanendo proprio contro questi ultimi spazi di libertà sulla rete informatica: ogni giorno vengono cancellati dei video, vengono rimossi dei contenuti, vengono penalizzati dei blog, insomma viene attuata una durissima censura ai danni di quanti si sforzano di tener accesa la fiammella della libertà di pensiero e si rifiutano di appiattirsi sulle verità preconfezionate del Pensiero Unico al potere. Tuttavia finché tali spazi esistono bisogna sfruttarli al massimo, e anzi cercare di potenziarli; ma è chiaro che non dureranno ancora per molto. Gli stessi monopolisti della grande finanza, le multinazionali del farmaco, della stampa, del cinema e della televisione controllano anche i canali infornatici e le piattaforme online, e hanno aumentato le misure di controllo per bloccare e neutralizzare qualunque voce di dissenso. Esistono degli algoritmi che, in presenza di determinate parole-chiave, nonché di immagini-chiave, fanno scattare automaticamente la censura e la relativa sanzione. Provate a fare l’esperimento, se non ci credete; se pensate che si tratti di fantasie di complottisti o di gente affetta da mania di persecuzione, provate a parlare sui social, in un certo modo, di quelle tali categorie o minoranze, di quelle tali centrali di potere che dominano la scena mondiale mediante il World Economic Forum, il Gruppo Bilderberg o le riunioni segrete nel Bosco Boemo in California; e state a vedere cosa accade. Se siete i gestori di un sito o di un blog, vi verrà segnalata la presenza di contenuti controversi, o scorretti, formule che si usavano nei sistemi totalitari del passato e che ora sono tornate di moda per indicare il crimine di libera informazione e di libera opinione. Nei casi più seri, vi giungerà una mail da Youtube che vi accuserà d’incitamento all’odio e magari vi anche un avviso della polizia postale che qualcuno ha sporto denuncia contro di voi. L’algoritmo viene allertato anche se parlate di Covid-19, di pandemia, di vaccini: provare per credere. Il minimo che vi possa capitare è che appaia un rimando nel quale si dice che, per avere informazioni corrette su tali argomenti, dovete visitare i siti istituzionali a ciò preposti, ad esempio quello del ministero della Salute. Il quale, trovandosi affidato alle amorevoli cure di un’aquila della medicina come il ministro Roberto Speranza, è di per sé quanto mai rassicurante. Del resto, è logico che quei signori agiscano in tal modo: ricordiamo la sorte toccata a Julian Assange per aver reso pubblici i contenuti di file riservati, e il fatto curioso di esser passato da beniamino dei liberal a figlio di nessuno dopo che le sue rivelazioni sono state ritenute rilevanti per la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016. I progressisti amano molto la libertà d’informazione, ma solo quando favorisce loro.

    Più in generale, c’è bisogno di ricostituire il senso critico e di lavorare sulle cause che hanno reso quasi tutti dipendenti dalla televisione e, in misura minore, dalla carta stampata. Non è difficile. La ragione principale di tale dipendenza, a ben guardare, è la stessa per cui la grande maggioranza delle persone non si prende cura della propria salute in prima persona, ma preferisce affidarsi ciecamente a qualcun altro, a cominciare dal medico, e si ritiene soddisfatta solo se torna a casa dal suo ambulatorio con la ricetta in tasca per acquistare un nuovo farmaco, mentre resta delusa se gli viene consigliato di lavorare sulla prevenzione, di seguire una dieta più opportuna, di fare del moto, di combattere la tristezza con una vita attiva e ricca di interessi, insomma se si tratta di fare la fatica di assumersi la responsabilità di star bene, invece di correre ai ripari dopo che la salute se n’è andata: sempre però aspettandosi la soluzione dall’esterno, in modo da non doversene occupare personalmente. Se non fosse così diffuso questo genere di pigrizia, il livello medio di salute delle persone sarebbe sicuramente più alto; così come se la pigrizia non si manifestasse nell’accendere il pulsante del telecomando e mandar giù mezz’ora al giorno, magari più volte, di frottole televisive servite a domicilio, e da consumarsi in maniera del tutto passiva, forse non saremmo arrivati a questo punto di asservimento e di umiliazione. In altre parole è la pigrizia mentale, unita alla sciatteria, al conformismo e alla sfiducia in noi stessi, che rendono così deboli le nostre difese immunitarie, sia a livello fisico che a livello intellettuale. Un organismo sano si protegge da se stesso, naturalmente, contro gli assalti delle malattie: la malattia subentra quando l’equilibrio psicofisico si è rotto. Allo stesso modo, la pigrizia mentale e il conformismo ci rendono passivi davanti alla televisione e fanno sì che noi le conferiamo tutto il potere che essa esercita su di noi. Siamo proprio noi, infatti, a consegnarci, disarmati e indifesi, al potere tirannico che esercita il piccolo schermo, o meglio che esercitano per mezzo di esso i Padroni Universali. Stiamo rendendo loro le cose un po’ troppo facili, perché ci comportiamo, e non certo da ieri, ma da una vita intera, come dei cani sperduti che anelano a ritrovare ad ogni costo un padrone, un padrone qualsiasi, e non vedono l’ora che qualcuno se li prenda e metta loro il guinzaglio, così almeno avranno la certezza di non patire la fame e di avere una cuccia ove rifugiarsi quando fa freddo. Noi ci comportiamo esattamente così: non è la televisione ad essere forte, siamo noi che le diamo tutta questa forza; non sono le multinazionali del farmaco ad essere forti, è il nostro atteggiamento rinunciatario e sbagliato davanti al fatto della salute e della malattia che le rende così potenti e temibili. Se noi modifichiamo il nostro modo di porci, se noi ci riprendiamo una parte almeno di quegli spazi di libero arbitrio cui abbiamo volontariamente rinunziato; se torniamo a impossessarci delle stanze della nostra casa che abbiamo ceduto, chissà poi perché, a degli estranei, oltretutto male intenzionati nei nostri confronti, allora ci sono delle buone speranze di poter modificare radicalmente lo stato di cose presente, e di riprenderci quella libertà d’informazione, e perciò di scelta, che attualmente abbiamo perduto, consegnandola a chi non merita affatto la nostra fiducia.

    A questo punto, la cosa essenziale che abbiamo scoperto farci difetto è la motivazione. Molti si chiederanno perché mai dovrebbero sobbarcarsi la fatica di occuparsi personalmente della propria salute, delle propria informazione, dei propri risparmi, della propria fede, visto che chi dovrebbe occuparsi di tali cose desta, sì, qualche sospetto di sfruttare la propria posizione per curare il suo interesse e non il nostro, ma in tutti i casi è molto più semplice lasciare che le cose vadano come sono sempre andate, e ciascuno si occupi del proprio ambito: il medico della nostra salute, il giornalista della nostra informazione, il bancario dei nostri risparmi e il sacerdote della nostra fede. E se si fa osservare alla gente che è stupido seguitare a dar fiducia a chi ha mostrato di non meritarla questa risponderà che alla fine non si può pensare a tutto, visto che ci sono già tante cose importanti delle quali si è costretti ad occuparsi. Il che è vero: ma fra le cose essenziali non ci sono i vestiti firmati, il pilates, i tatuaggi, l’abbronzatura, ecc.; e guarda caso, a dedicare moltissimo tempo a tali attività sono proprio quelli che dicono di non aver tempo per occuparsi seriamente della salute, dell’informazione, dei risparmi e della fede. Pertanto, è chiaro che dobbiamo operare un radicale ripensamento della nostra vita. Se siamo soddisfatti di come abbiamo finora vissuto, abdicando alla responsabilità di prenderci cura di noi, allora non c’è niente da fare. Se invece ci rendiamo conto che il potere si appresta a schiavizzarci sfruttando la nostra pigrizia, c’è ancora qualche speranza…
  7. .
    di Francesco Lamendola - 29/11/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    C’erano una volta gli Stati, c’erano i continenti, c’erano i popoli e le razze che li abitavano e che ne facevano la storia, la cultura, le tradizioni. Noi, che non abbiamo cento anni, e neanche settanta, siamo cresciuti così: così ci insegnavano a scuola le maestre, poi i professori; così ci mostrava l’osservazione diretta della realtà. Poi, recentemente, qualcosa è cambiato, anzi è cambiato tutto, e nulla di ciò che era vero, giusto e buono è rimasto tale, ma vi è stato un ribaltamento totale di prospettiva, senza peraltro che qualcuno si sia mai preso il disturbo di spiegarci come e perché esso è avvenuto, e senza perfino che qualcuno ci abbia mai spiegato in che cosa sbagliavano i nostri genitori e i nostri nonni, o addirittura senza dire che sbagliavamo, ma semplicemente sottintendendo che il mondo cambia in fretta, il progresso è un treno che corre senza mai fermarsi, perciò non bisogna restare fermi, aggrappati a idee e modi di vivere vecchi e superati, ma tenersi sempre al passo coi tempi nuovi. E questa, sia detto fra parentesi, è stata anche la svolta che si è attuata nella Chiesa cattolica a partire dal Concilio Vaticano II, con il clero improvvisamente impegnato a spiegarci tutto il contrario di quel che per duemila anni la Chiesa ha insegnato, senza però avere l’onestà intellettuale, e neppure la decenza, di ammettere che un rovesciamento c’era stato. Al contrario, sostenendo l’assurdo senza battere ciglio, e cioè che tutto precedeva secondo i programmi e nel migliore dei modi: che ci sono molte religioni per arrivare alla verità e alla salvezza; che ciascuno è libero di scegliere quella che più gli aggrada; che Dio non è cattolico e neppure cristiano; che Gesù era solo un brav’uomo e non certo il Verbo incarnato; che la Madonna era una semplice ragazza; che la Sacra Famiglia era formata da migranti e quindi che accogliere i migranti è come accogliere Gesù, Giuseppe e Maria. Corollario: niente peccato né grazia, niente colpa né santità, niente adorazione del Mistero, niente spiritualità e trascendenza, niente giudizio, niente inferno, niente paradiso, o forse soltanto paradiso: liberi tutti e così sia; amen.

    Negli ultimi anni si è diffusa l’ideologia internazionalista e multiculturalista e quindi quella migrazionista, che, in nome di un falso umanitarismo, ha scardinato ogni punto di riferimento e persino distrutto nella maggioranza delle persone il buon senso e la capacità di giudicare obiettivamente e rettamente uomini e cose. Qualcuno, nella cabina di regia della globalizzazione, il cui cognome fa rima con Rotschild, Soros, Warburg, Elkann, e così via, ha deciso che bisognava procedere a un Great Reset, a un Grande Azzeramento, dato che la shock economy, fatta di continue crisi economiche, debito pubblico in continua crescita, austerità e disoccupazione, non stavano dando abbastanza in fretta gli attesi effetti: lo svuotamento dell’Europa in modo da farne una terra di ripopolamento da parte di popoli giovani e forti provenienti dal Sud della Terra. Così, mentre in Europa si è fatto di tutto, mediante la cultura, lo spettacolo, il cinema, la stampa, la televisione, i governi, le scelte economiche, per indurre gli europei a odiare la vita, a non fare più figli, che sono solo un peso e un fastidio, e a deliziarsi piuttosto nei paradisi di Sodoma e Gomorra, in Africa un esercito di agenti del NWO è stato sguinzagliato per indurre, con lusinghe e minacce, milioni di africani a intraprende il cosiddetto “viaggio della speranza”: l’abbandono delle loro famiglie per attraversare il deserto del Sahara e poi le acque del Mediterraneo, a bordo dei barconi presi in carico delle navi delle ONG di Soros & Co. Il tutto dopo aver distrutto l’unico Stato africano che finora aveva fatto da “tappo”, la Libia di Gheddafi, e aver trasformato quel Paese nel principale luogo d’imbarco per questo esercito d’illusi, culturalmente estranei e impermeabili alla nostra civiltà, ai quali è stato fatto credere che in Europa troveranno fiumi di latte e miele e che basterà avere un poco di pazienza e gli europei, vecchi e deboli, toglieranno il disturbo e loro, i nuovi arrivati, pieni di ormoni e voglia di vivere, li sostituiranno, ereditando le città, i campi, le fabbriche, i beni, il lavoro creati da innumerevoli generazioni di europei nei secoli passati.

    E se per caso si verificano quei tali effetti collaterali che bisognava per forza attendersi, delinquenza, violenze, prostituzione, droga, a causa della presenza di decine e centinaia di migliaia di clandestini sul nostro territorio, la soluzione era già bella e pronta: la consegna del silenzio. Silenzio i giornali, silenzio le televisioni, silenzio le amministrazioni locali, silenzio le forze dell’ordine, silenzio il governo. Nessuno ne parla, il problema non esiste. Se, però, si verifica qualche episodio di segno opposto, magari costruito ad arte: se un clandestino riporta a chi di dovere un portafogli trovato per la strada, oppure salva dall’annegamento una persona, ecco che si scatena la fanfara del consenso, delle lodi, delle congratulazioni; ecco che il Presidente della Repubblica in persona si scomoda a tener discorsi, a ricevere l’eroe, a dargli una decorazione e a promettergli la concessione immediata della cittadinanza, a lui e a tutta la sua famiglia. Bisogna indottrinare gli italiani, portarli a non avere alcuna percezione dei termini reali del problema; a indurli a veder le cose con le lenti deformanti del multiculturalismo e dell’internazionalismo; a considerare normale l’idea che chiunque ha il diritto di migrare, di andare dove vuole, e che tale diritto si estende dai singoli ai milioni e milioni di persone, liberi tutti di trasferirsi in casa d’altri e pretendere diritti, accoglienza, solidarietà, inclusione, comprensione, e magari anche la casa gratis, tanto a cosa servono le seconde case, siamo un popolo vecchio e stanco, faremmo meglio a regalarle ai migranti, ora lo dice anche il signor Bergoglio dal pulpito più alto, quello (e sia pure malamente usurpato) del vicario di Cristo. Inutile dire che lo stesso input culturale ha già pronta la risposta a qualunque obiezione a questo suicidio volontario del popolo italiano: la tremenda, infamante accusa di razzismo. Chi non è d’accordo con questo suicidio è un razzista. Chi accusa la stampa di tacere sui crimini dei clandestini è un razzista. Chi accusa il governo e i prefetti di tacere il vero numero dei clandestini è un razzista. Del resto, il problema non è solo legato alla clandestinità: anche l’immigrazione cosiddetta regolare è pur sempre spaventosamente eccedente rispetto a qualsiasi reale necessità del nostro Paese (col 50% dei nostri giovani disoccupati) e a qualsiasi ragionevole prospettiva d’integrazione, con la relativa possibilità di mantenere il welfare per tutti quelli che hanno la cittadinanza italiana o che risiedono legittimamente nel nostro territorio. Parlare di ciò significa essere razzisti; e se non bastassero le censure della società civile (ad esempio, la sospensione dall’ordine dei giornalisti per chi adopera la parola clandestino, per non parlare della parola negro) ecco pronte anche le scomuniche del clero bergogliano: con tanto di preti che appendono cartelli sulla porta delle chiese per intimare ai “razzisti” di starsene alla larga.

    Scrive Giovanni Angelo Cianti, un coraggioso ricercatore indipendente che non esita a dire al lettore alcune amare verità, per scuoterlo dal generale sonno ipnotico in cui la nostra società sembra essere caduta (G. A. Cianti, Pianeta Terra. Benvenuti all’inferno! Passato, presente e (probabile) futuro della mandria umana, Evo Editorial, 2019, pp. 323-324):



    La decisione che fu presa oltre 20 anni fa senza alcun consenso democratico per ordine dei nostri mandriani si basa su dati e numeri non questionabili. Il nome del programma già dice tutto, “Replacement Migration”, “Rimpiazzo migratorio” e risale all’anno 2000. L’Italia insieme alla Germania era e rimane il maggiore obbiettivo. Si faceva presente il calo della natalità sceso a 1,2 figli per donna fertile, uno dei più bassi al mondo, il calo demografico e soprattutto l’invecchiamento della popolazione prospettando sei diversi scenari. Alla luce di questo “trend” solo per mantenere costante la popolazione in età da lavoro (compresa fra 15 e 65 anni) si prospettiva lo scenario numero 4 che prevedeva una immigrazione forzata di 39,2 milioni di africani entro il 2050 per arrivare al 30% di migranti sul totale della popolazione. Ancora più devastante la proiezione per arrivare al necessario rapporto di 4 lavoratori per ogni pensionato previsto dallo scenario 6: 120 milioni di africani entro il 2050 fino a costituire l’80% della popolazione complessiva che in questo caso arriverebbe a 197 milioni di persone. Rinunciare a queste politiche significa – è indiscutibile – assistere inerti al crollo dell’economia e del welfare. Altri documenti sempre delle Nazioni Unite sottolineano:

    - Italia e Germania necessitano rispettivamente di 6.500 e 6.000 migranti per milione di popolazione (“New Report on Replacement Migration, issued by UN Division, Press Related (2000) e ancora

    - “noi riconosciamo il contributo positivo dei migranti per una crescita inclusiva e uno sviluppo sostenibile” (Agenda 21 punto 29, 2007).

    Per arrivare al documento finale il “Migrant Compact 2018 (respinto dal governo italiano ma reintrodotto surrettiziamente dall’Unione Europea) che stabilisce il DIRITTO ALLA MIGRAZIONE che deve esse sicura, ordinata e regolare. (…)

    Di conseguenza come si fa con le vacche si è programmata, finanziata e organizzata la transumanza dei ”cluster” africani e arabi in Europa alla quale hanno contribuito a vario titolo esponenti di rilievo dell’ordine mercantile-usuraio. Organizzazioni Non Governative, stati-canaglia e ovviamente tutta l’ala sinistra degli schieramenti politici indispensabile per fornire l’alibi ideologico e ottenere la compiacenza delle masse. La transumanza iniziata in sordina 5-6 anni fa servendosi di reclutatori sul posto, mafie locali e organizzazioni terroristiche CIA-backed, utilizzando la Libia devastata del dopo Gheddafi come campo di concentramento dei fluissi, con la Turchia che pretendeva soldi dall’Europa fingendo di controllare il transito, ha avuto il contributo determinante degli scafisti ONG taxi del mare e del governo italiano – in mano alle sinistre mondialiste – portI sicuri di sbarco, ultimo compiacente anello della catena. Tutto questo ha causati centinaia di migliaia di capi di bestiame umano morti nella lunga peregrinazione, prima nel deserto poi attraversando il Mediterraneo ma in fondo ben poca cosa in confronto ai milioni di schiavi in arrivo. Merce umana ben consapevole e indottrinata sul proprio compito, istigata a rimpiazzare gli europei senza pietà – nella loro stupidità lo dichiarano apertamente, mentre sui loro reati – stupri, violenze, omicidi, traffico di stupefacenti, cannibalismo, mafia – chiude un occhio la magistratura connivente, tutelandoli perché poverini non possono sapere, vengono da un’altra cultura, ecc… Infine – ironicamente – i clandestini, quasi tutti maschi in età lavorativa, 15-35 anni, forti, sani e fertili pagano per arrivare fino da noi mentre una volta per procurarsi gli schiavi toccava all’Europa aprire il portafogli… (…)

    Il multiculturalismo venduto agli europei è una ideologia falsa e demenziale, che non regge neppure un minuto alla prova dei fatti. Il motivo è strettamente antropologico, l’integrazione fra etnie e razze diverse è impossibile. Un popolo è unione di anime, di “idem sentire”, di valori, di credenze, di ideali, di religione. E anche di caratteristiche fisiche ben riconoscibili, altrettanto presenti nel DNA…



    È abbastanza chiaro, o non ancora? L’ONU ha già deciso che l’Italia e la Germania devono essere ripopolate da africani e asiatici: e che tale sostituzione di popoli deve essere fatta, che i diretti interessati lo vogliano o no, che ne siano consapevoli o no. Ai Padroni Universali, come li chiamava Giulietto Chiesa, non interessa se in Italia ci sono 60 milioni d’italiani o di africani, e se in Germania di sono 80 milioni di tedeschi o di d’immigrati: a loro basta che i conti tornino, anzi se gli italiani e i tedeschi spariscono, tanto meglio: primo, perché essi odiano la civiltà cristiana, di cui i popoli europei, anche se in modo sempre più fiacco, sono comunque i depositari; secondo, perché la scomparsa delle identità favorisce quell’amalgama razziale e culturale che per essi è la condizione più favorevole per manipolare le masse e trattarle alla stregua di una grande mandria di animali. Cianti si spinge oltre nel suo scenario, risalendo indietro alla ricerca delle cause di questi fenomeni in una realtà storica che la stragrande maggioranza della gente non sospetta minimamente; lasciamo al lettore la curiosità di andare a leggersi il libro, un grosso volume di oltre quattrocento pagine che senza dubbio è costato molto lavoro, zeppo com’è di numeri, fatti, riferimenti bibliografici, per cui si presenta come una preziosa miniera alla quale può attingere per tentare una lettura della storia di tipo non convenzionale, certo assai diversa da quella che ci viene insegnata a scuola e all’università. Da parte nostra, in questa sede ci limitiamo a dire che la manovra dei Padroni Universali è evidente: il romano divide et impera si mescola all’alchemico solve et coagula. Per loro è cosa assolutamente normale trattare i popoli e gli individui come mandrie o capi di bestiame. Lo hanno sempre fatto…
  8. .
    di Francesco Lamendola - 08/11/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Le forze oscure che dominano l’umanità in questa fase storica, e che sembrano preponderanti a motivo del predominio assoluto che hanno acquisito nei gangli vitali della società mondiale, stanno scatenando una battaglia infernale la cui posta in gioco non è solo il dominio materiale sugli uomini e sulle ricchezze del pianeta, ma anche sulla dimensione interiore, che è fatta di retta ragione, bontà e bellezza, senza le quali la vita dei popoli e dei singoli individui sarebbe sospinta in una condizione sub-umana. In altre parole, le forze oscure mirano a scardinare l’intelligenza delle persone, a rendere il loro cervello simile a un motore che va fuori giri, inservibile, “imballato”, e a distruggere perfino il più elementare buon senso; e contemporaneamente a far scomparire in loro il senso del bene e del bello, la naturale aspirazione dell’anima verso la bontà e la bellezza, che esiste, sia pure allo stato potenziale, anche nell’individuo più immerso nella dimensione bassamente materiale dell’esistenza.

    La falsa pandemia da Covid-19, fatta scoppiare ad arte in coincidenza con l’approssimarsi delle elezioni americane, ben sapendo che il controllo del governo degli Stati Uniti è il massimo obiettivo per l’élite dei super oligarchi finanziari, ha potentemente contribuito alla realizzazione di tale programma, instillando una paura profonda e invincibile nel cuore di moltissime persone, e spegnendo in loro ogni capacità di ragionamento critico, di riflessione personale e di serena valutazione dei fatti, delle cifre, delle situazioni. L’uso permanente della mascherina, che non serve a nulla se non a intossicare le persone mediante l’inspirazione della propria anidride carbonica, spinto anche aldilà di quanto prescritto e ordinato dai decreti governativi, ad esempio nell’abitacolo della propria automobile, o pedalando in bicicletta, o passeggiando lungo sentieri campestri, attesta appunto tale distruzione dell’intelligenza, del senso critico e del puro e semplice buon senso, nonché della stessa dignità personale. In tali condizioni, indossare sempre la mascherina, perfino in casa propria, se vengono in visita amici o parenti, non manifesta la giusta prudenza di una persona riguardo alla propria e all’altrui salute, ma è un puro e semplice atto di sottomissione a un potere oscuro e incomprensibile, un gesto di resa volontaria all’arbitrio di forze minacciose e incontrollabili e, infine, una scelta di appartenenza tribale: precisamente, alla tribù degli schiavi volontari, di coloro che si fanno servi con zelo, con entusiasmo, con dedizione, e addirittura si rendono disponibili a farsi strumento di pressione, di controllo e di ricatto, nonché di delazione alle autorità, nei confronti dei propri familiari, dei propri amici, dei propri colleghi di lavoro e dei propri vicini di casa. Come nella Cambogia dei khmer Rossi del pazzo dittatore comunista Pol Pot: che è stato un figlio non della barbarie della giungla selvaggia, ma dell’ideologia progressista parigina, quella sostenuta allora nei salotti buoni della gauche, tanto vezzeggiati e raccomandati da scrittori, giornalisti, registi e professori universitari del Quartiere Latino.

    Arrivate le cose a questo punto, con la Costituzione congelata, i diritti costituzionali calpestati, la legalità sospesa e rovesciata in una contro-legalità, la sanità in una contro-sanità, l’informazione in una contro-informazione (quella mainstream e non quella delle pochissime voci libere), sempre più arroganti e sistematiche, e ormai con tutta l’aria, dopo aver fatto capolino sull’onda di una situazione eccezionale, o presentata come tale, di volersi insediare in modo definitivo ed instaurare un nuovo stato di cose al posto dell’ordine sociale preesistente, è difficile, ci sembra, non vedere il disegno occulto, la strategia ben precisa e la perfida regia che tira i fili delle tante, troppe marionette governative, sanitarie, giornalistiche, giuridiche, mediante le quali si sta instaurando di fatto il Nuovo Ordine Mondiale, passando attraverso la fase del Great Reset, del Grande Azzeramento. E il fatto che, invece, moltissime persone non vedano, non capiscano, non comprendano quel che sta accadendo;

    che trovino normale essere confinate in casa come fossero in prigione, e multate o arrestate se escono senza indossare la mascherina;

    costrette a sottoporsi a tamponi e, domani, a vaccinazioni di dubbia natura e più che dubbia efficacia, per non parlare della loro innocuità;

    che, nel frattempo, vengano approvate leggi liberticide, le quali mettono delle minoranze arroganti in grado di colpevolizzare, zittire e perseguitare a piacer loro la grandissima maggioranza della popolazione;

    che vengano consentiti e incoraggiati gli arrivi di migliaia e migliaia di clandestini di incerta provenienza e ancor più incerte attitudini, alcuni dei quali si sono rivelati dei pericolosi e sanguinari terroristi, e molti dei quali portatori di quel virus per difenderli dal quale i cittadini regolarmene censiti, contribuenti del fisco e rispettosi della legge, sono stati sottoposti al coprifuoco e ad altre innumerevoli limitazioni e controlli di tipo militare;

    che nonostante fior di scienziati serissimi abbiano affermato con argomenti inppugnabili, parecchi mesi fa, che il tanto temuto virus era già naturalmente decaduto, se ne parli ancora come di una presenza estremamente pericolosa, e anzi si dichiari il verificarsi di una “seconda ondata” che, però, i numeri smentiscono clamorosamente;

    che politici e amministratori locali possano mentire alla popolazione con sfrontata sicumera, alla luce del sole, affermando che gli ospedali sono pieni e le sale di terapie intensiva in difficoltà, mentre è sotto gli occhi di tutti che gli ospedali non sono affatto pieni e le sale di terapia intensiva sono pressoché vuote;

    che si agiti lo spauracchio di un pericolo mortale e che il ministro della sanità paragoni il Covid alla peste e al colera, nonché alla Seconda guerra mondiale, mentre la mortalità da Covid-19 è dell’ordine dello zero virgola qualcosa, per far passare impunemente decreti lesivi della libertà e distruttivi dell’economia, sapendo benissimo che il ceto medio dei piccoli imprenditori, artigiani e commercianti non si potrà risollevare da un simile colpo, e perciò mirando palesemente a realizzare proprio tale obiettivo;

    in breve, il fatto che le azioni di chi ci governa, come del resto in altri Paesi del mondo, rivelino chiaramente che essi prendono ordini dall’élite finanziaria - cosa di cui c’erano ampi indizi da tempo, perché non si curavano nemmeno di salvare e apparenze, come quando il primo ministro Gentiloni ricevette ufficialmente George Soros come un ospite ufficiale e di gran riguardo – e che agiscano apertamente in senso contrario agli interessi della nazione, vale a dire da perfetti traditori, senza che ciò susciti un naturale moto di protesta e di rifiuto nella popolazione, tutto questo indica che il cervello della maggior parte della gente se n’è già andato in fumo, che ogni parvenza di senso critico è scomparsa e che costoro sono ormai pronti ad ascoltare tutto, a credere a tutto, ad obbedire a tutto. E inoltre che, se domani venisse loro ordinato, o anche solo consigliato, per meglio proteggersi dal virus, di mettersi lo scolapasta in testa e impugnare lo scopino del cesso, e uscire di casa conciati a quel modo, essi lo farebbero prontamente, con il massimo zelo e la più convinta scrupolosità, e si affretterebbero a denunciare tutti quelli che non eseguissero tale consegna con altrettanta prontezza e meticolosità.

    Questa situazione non ci è piovuta addosso all’improvviso, ma è stata preparata con un lavoro certosino, metodico, capillare, condotto pazientemente e diabolicamente per anni, decenni e secoli. L’élite finanziaria mondiale non è nata ieri, ma esiste da secoli e le sue famiglie più importanti occupano posizioni eminenti dietro le quinte della politica, dell’economia e della magistratura, oltre a controllare tutte le grandi agenzie di notizie, la stampa e le televisioni, e da anni si tengono in stretto contatto fra loro, si incontrano a livello mondiale – tramite i convegni del Gruppo Bilderberg, ad esempio – e pianificano le loro strategie comuni; anche se alcuni personaggi – come Soros, Bill Gates, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos - vi si sono aggiunti assai più di recente, sfruttando la ricchezza accumulata col brevetto di alcune invenzioni tecnologiche e il monopolio di taluni settori industriali d’interesse strategico, specie nel campo delle comunicazioni. Disponendo di un tale controllo sugli strumenti che determinano il nostro immaginario – Hollywood, in particolare, è cosa loro: ed è Hollywood che crea e plasma i gusti, le tendenze, le mode, la stessa psicologia delle masse – hanno un potere quasi illimitato sulla gente, senza che questa neppure se ne accorga, esattamente come accade a chi si trova in stato d’ipnosi. Se si chiede ad una persona ipnotizzata di prepararsi ad uscire di casa prendendo con sé l’ombrello, e poi la si risveglia, questa, trovandosi fra le mani l’ombrello, alla domanda sul perché l’abbia preso con sé, risponderà che l’ha fatto per prudenza, dal momento che potrebbe piovere, anche se fosse una splendida giornata di sole: in nessun caso mostrerà di accorgersi della stranezza del suo comportamento, ma tenterà di giustificarlo con argomenti più o meno razionali. Lo stesso accade alle masse ipnotizzate dal terrore del Covid-19: se si chiedeva alle persone, dopo la fine del lockdown primaverile, perché uscissero di casa indossando la mascherina, anche se il suo uso non era più prescritto dalle autorità e anche se autorevoli medici hanno detto e spiegato in cento modi che la mascherina non serve a nulla, non protegge dal virus e semmai crea problemi di salute a chi la indossa, perché la obbliga a respirare la propria aria viziata, queste rispondevano che portandola si sentivano più sicure: come nel caso dell’ipnotizzato con l’ombrello, in effetti non sapevano dare alcuna risposta razionale, ma ripetevano ciò che gli ipnotizzatori – i mass-media, in questo caso - avevano detto e ripetuto loro per centinaia di volte, tutti i giorni, ad ogni ora del dì e della notte.

    Ebbene, la tecnica dell’ipnosi collettiva è stata applicata dai servi obbedienti dell’élite in tutti gli ambiti della vita privata e sociale, fino a rendere la mente del pubblico malleabile come la cera, e creando stili di comportamento che prima non esistevano. Così la gente si è abituata a fare tutto ciò che veniva e viene suggerito loro dai persuasori occulti: a mangiare dei cibi orribili, che fanno malissimo alla salute, offerti nei supermercati riforniti dalle multinazionali dell’agroalimentare; ad ascoltare musica brutta, delirante, ossessionante, fortemente ritmica e sincopata, a volume altissimo, esponendosi a onde acustiche di bassa frequenza che suggestionano la psiche facendo leva sugli istinti primitivi, sovente in abbinata col consumo di droghe e superalcolici; a indossare abiti volgari, antiestetici, sgraziati, addirittura lacerati e strappati, oltretutto pagandoli fior di quattrini, col risultato di far apparire delle inesperte studentesse di liceo simili a delle consumate professioniste del marciapiede, o delle signore e dei signori avanti con l’età come delle avvizzite lolite o dei pretenziosi zerbinotti; ad accettare come cosa normale che le strade e le piazze cittadine siano sfregiate e quasi stuprate da monumenti mostruosi, da opere “d’arte” incomprensibili, da palazzi, chiese, ponti e altri manufatti che paiono usciti dalla fantasia d’un pazzo furioso, e addirittura a lodarli e applaudirli come si trattasse di opere che impreziosiscono il paesaggio urbano. Potremmo fare molti altri esempi, ad esempio attingendo alla poesia e ai premi letterari; ma quel che qui ci preme evidenziare non è tanto l’aspetto irrazionale che, col moltiplicarsi degli stimoli, preme sulla psiche collettiva, quanto sul condizionamento di fondo che si opera su di essa nel senso più generale, ossia indipendentemente dal singolo ambito – stilistico, artistico, musicale - nel quale si esercita tale pressione. In altre parole: quando una persona, o meglio una massa umana indistinta, si abitua a trovare utile, bello e normale vestire costosi abiti nuovi tutti stracciati; fare la coda per delle ore davanti ai negozi, onde assicurarsi l’ultimo modello di telefonino cellulare, al quale restare poi attaccati ventiquattro ore al giorno, portandoselo perfino a letto, e regalandolo anche ai propri figli e nipoti di dieci, otto, sei anni di età; o quando ci si entusiasma per un film brutto, insulso, grondante di violenza e pornografia, solo perché così fan tutti e perché la critica dei giornali mainstream lo ha lodato oltremisura: quando si arriva a un tale punto, ciò significa che la personalità cosciente è scomparsa, il cervello si è spento e l’ipnosi regna sovrana e incontrastata. Lo stesso discorso va fatto per il senso del bene e del male, ossia per l’etica, e questo è il lato più oscuro e inquietante del condizionamento pianificato e attuato dall’élite globalista. La nostra società è arrivata a considerare l’aborto volontario non solo come una pratica del tutto accettabile, ma un diritto garantito a tutti, e quindi a mettere a disposizione la sanità pubblica per attuarlo su scala industriale. Risultato: milioni di nascituri sono stati quotidianamente soppressi nel corso di questi decenni, ma pare che nessuno, o quasi nessuno, ci trovi niente di strano. Ciò significa che l’ottundimento del senso morale è giunto a uno stadio assai avanzato. Il passo successivo sarà l’accettazione e la legalizzazione dell’eutanasia, anche per i bambini e per le persone che non hanno espresso la propria volontà, ma su semplice richiesta del parente più prossimo. Finché un giorno a decidere sarà l’insindacabile potere sanitario...
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    di Francesco Lamendola - 31/10/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Che cosa rende possibile ad alcune centinaia di persone di tenere in stato d’ipnosi, e perciò di assoluta manipolabilità e soggezione, sette miliardi e mezzo di altre persone? Evidentemente, non è la forza materiale; né potrebbe esserlo in alcun modo. Si dirà che l’élite controlla i governi, quindi controlla le polizie e gli eserciti, il che rappresenta la forza fisica: ma il punto è come riescano a controllare i governi. Si dirà: li controllano col denaro, col ricatto e con la promessa di splendide carriere: ma allora siamo fuori dall’ambito della forza fisica. Comunque si giri e rigiri la questione, quelle centinaia di persone esercitano il dominio su tutto il resto dell’umanità per mezzo di qualcosa che non è la forza materiale. La forza materiale, di cui pure dispongono, non è che il coronamento e la logica conseguenza di un dominio che già esercitano: ed è questo che deve essere spiegato, non quello. Ci si può impadronire di un governo, e perciò delle sue forze armate, servendosi di mezzi convenzionali: ma quel dominio, nato dalla forza, è destinato ad aver una vita limitata. Invece i signori della globalizzazione controllano simultaneamente la maggior parte dei governi mondiali, con le rispettive forze armate, e non ci sono ragioni per pensare che tale dominio finirà per crollare, a meno che gli “altri”, i sottomessi, gli schiavi, non arrivino a scoprirne il segreto. Che poi è il segreto di come ci si può ridestare da uno stato d’ipnosi indotta, senza autorizzazione da parte dell’ipnotizzatore e, anzi, contro le sue intenzioni e la sua volontà.

    Venendo dritti al punto, siamo profondamente convinti che il segreto risiede nella conoscenza: non in una conoscenza di ordine generico, di tipo filosofico, bensì in una serie di conoscenze specifiche relative ai diversi ambiti del sapere, tutte però strettamente collegate alla dimensione pratica, e tutte, a loro volta, collegate fra di loro, a formare un tutto organico, pur conservando la loro natura di conoscenze specialistiche, anzi, altamente specializzate. Esse riguardano la finanza, l’economia, la fisica, la chimica, la biologia, la medicina, la psicologia, la sociologia, e tutto ciò che attiene alla semiologia, alla linguistica e alle tecniche della comunicazione. Stiamo parlando di un sapere che i padroni mondiali possiedono e gli altri no, o non in maniera così approfondita e al tempo stesso così articolata, e, soprattutto, non in misura tale da formare una “massa critica” da poter contrapporre a quella dei padroni. Inoltre, se alcune di tali conoscenze sono state acquisite al di fuori della cerchia dei padroni universali, accade sistematicamente che esse non si rivelino utilizzabili sul terreno pratico, perché andrebbero a ledere interessi consolidati delle multinazionali, le quali, a loro volta, sono controllate appunto da quei signori. E lo stesso vale nell’ambito della cultura: poiché l’élite globalista controlla praticamente tutti i mezzi d’informazione, cartacei e televisivi, e ormai anche gran parte dei quelli infornatici, le idee scomode vengono condannate al silenzio oppure seppellite sotto caterve di critiche distruttive, generosamente distribuite dai soliti intellettuali stipendiati dall’oligarchia. Nell’ambito universitario, e specialmente in quello medico, esporre idee non ortodosse, per quanto dimostrabili sperimentalmente, equivale a giocarsi la carriera se esse confliggono con gl’interessi di Big Pharma in primo luogo, e delle varie strutture sanitarie pubbliche e private in secondo luogo. Valga per tutti il trattamento vergognoso che hanno subito quei medici, onesti e coraggiosi, che, senza piegarsi alle direttive del terrorismo sanitario di Stato, hanno curato i loro pazienti affetti da Covid-19 secondo scienza e coscienza, utilizzando anche farmaci a basso costo, come l’idrossiclorochina. Viceversa, si è visto quale balzo in avanti, in termini di prestigio e di potere, ma naturalmente anche economici, hanno fatto quei pretesi specialisti, quei virologi, quegli epidemiologi che si sono prestati a ripetere, magari amplificandole, le direttive terroristiche, col risultato di creare il panico e di predisporre la popolazione ad una spasmodica aspettativa nei confronti del vaccino miracoloso, che salverà milioni di vite quando finalmente sarà disponibile sul mercato, grazie alla sollecitudine di filantropi come Bill Gates e di governanti come quelli che attualmente tengono in mano la vita pubblica delle nazioni.

    C’è un altro elemento, decisivo, da tener presente per avere un quadro esatto della situazione. Le conoscenze che l’élite ha accumulato, e che si tramanda da moltissimo tempo, in parte elaborate da uomini che lavoravano e lavorano al suo servizio, non necessariamente rendendosi conto del loro ruolo, in parte attinte da ricercatori indipendenti ma rimaste sconosciute ai più per la ragione sopra accennata, restano gelosamente custodite al suo interno e non ne escono per alcun motivo. Non devono uscire, perché l’élite intende ogni conoscenza come mezzo e strumento per acquisire, consolidare e amplire il proprio potere a livello mondiale. Ad essa non importa nulla del progresso del conoscere, se con tale espressione s’intende un conoscere che possa andare a beneficio di tutti. Al contrario, l’élite ha un concetto radicalmente privatistico del sapere: essa lo vede come una proprietà da difendere con il segreto più rigoroso, affinché non posano beneficiarne altri. E ciò vale anche quando si tratta di un sapere, come quello medico, che potrebbe salvare moltissime vite, applicato alla terapia di svariate malattie: ciò per l’élite non significa nulla, poiché essa non sa cosa sia pensare nell’ottica di un beneficio generale. Il solo beneficio che si attende dal conoscere, così come da ogni altro aspetto dell’esistenza, è quello che torna a suo vantaggio. Questo accade perché i membri dell’élite si vedono come la vera umanità, anche se si tratta di poche centinaia di persone; e quindi se parlano in pubblico del bene comune, lo fanno sempre mentendo e con una precisa riserva mentale: tutto ciò che essi dicono in proposito ha un significato reale, per loro, solamente all’interno della propria cerchia. Gli altri, propriamente parlando, non sono uomini, ma sotto-uomini, o meglio ancora cose: strumenti parlanti del sistema produttivo, come diceva il romano Varrone per definire gli schiavi dei latifondi. Di conseguenza, la loro vita non vale nulla: sono così tanti che si possono sempre sostituire. Anzi, l’élite è giunta da molto tempo alla conclusione che l’umanità è troppo numerosa; non ha bisogno di sette miliardi e mezzo di schiavi, gliene bastano assai meno. Per questo sta studiando vari sistemi per provocare una drastica riduzione della popolazione mondiale, mediante malattie, guerre, crisi economiche, e possibilmente anche mediante ”vaccini” che in realtà fungerebbero da veicolo di nuovi virus. A ciò poi si aggiunge lo zelo con cui l’élite, per mezzo delle fondazioni “umanitarie” e “filantropiche” che agiscono nei Paesi più poveri del Sud della Terra, diffonde le tecniche contraccettive e la pratica della sterilizzazione. È più che lecito pensare che anche l’enorme incentivo accordato al “modello” omosessuale, nonché alle cosiddette famiglie arcobaleno, grazie al controllo pressoché totale dei mass-media, specie il cinema e la televisione, rientri in questa strategia mirante ad abbattere la crescita demografica e a ridurre, nel più breve tempo possibile, la popolazione mondiale in maniera molto significativa. Secondo i calcoli di quei signori, che i loro “esperti” non si danno nemmeno la briga di tenere segreti, ma che pubblicano sui giornali a grande tiratura e sulle stesse riviste scientifiche da loro controllate, la “giusta” popolazione mondiale non dovrebbe eccedere il mezzo miliardo d’individui, un miliardo al massimo. È per questo che da alcuni anni le suddette fondazioni e molte università, anch’esse finanziate dall’élite, parlano continuamente di sostenibilità e cercano d’inculcare l’idea che siamo troppi, che la terra è sovrappopolata e sovraffaticata, che il suo sfruttamento è eccessivo e distruttivo, e così via; guarda caso, non si parla mai, o quasi mai, di una diversa distribuzione delle risorse o di un più equo accesso ai mercati da parte delle popolazioni. Recentemente, a questa grancassa mediatica si è aggiunta anche la Chiesa cattolica, che per bocca di molti vescovi e cardinali, e specialmente del cosiddetto papa Francesco, non si stanca di ripetere tali concetti, con la sua caratteristica brutalità e rozzezza: Non dovete fare tanti figli come i conigli, ha detto una volta, rivolgendosi ai cattolici del Terzo Mondo e strappando pure qualche sorriso da parte dei suoi adulatori per il linguaggio franco e un po’ ardito. Peraltro ha aggiunto un nuovo concetto (nuovo per i cattolici, s’intende): che la terra è nostra Madre, con la lettera maiuscola, dunque un essere vivente, o meglio una divinità; e infatti è stato introdotto perfino il culto di questa Grande Madre sotto le sembianze della Pachamama. Il tutto con l’effetto quasi surreale di deviare la fede dei cattolici dalla vera dottrina in direzione di un culto panteistico di sapore New Age, mescolato con svariati elementi sincretistici, attinti alle diverse religioni: divenute, dopo il Concilio Vaticano II, tutte belle e buone o, quantomeno, tutte oneste e rispettabili, e tutte capaci di condurre, con un po’ di buona volontà, alla verità e alla salvezza.

    Vediamo ora un po’ più da vicino in che modo le conoscenze specialistiche, in gran parte detenute segretamente dall’élite, servono ai fini dei loro detentori. Né si obietti che sarebbe impossibile, specialmente nel mondo contemporaneo caratterizzato dalla globalizzazione e quindi dalla fulminea circolazione delle idee, tenere riservate importanti conoscenze scientifiche, tecniche, ecc. Si ricordi, infatti, che la globalizzazione è essa stessa parte della strategia di quei signori; che essi detengono tutti i mezzi d’informazione e controllano tutte le istituzioni scientifiche; che loro possiedono i capitali necessari per alimentare e indirizzare la ricerca scientifica e anche per pagare il silenzio dei ricercatori. Un tipico esempio è stata la falsa pandemia da Covid-19, nella quale essi sono riusciti a imporre il proprio volere e a neutralizzare le poche voci discordi di pur autorevoli medici e scienziati: la stragrande maggioranza dei medici si è attenuta ai protocolli, ha proceduto con terapie inefficaci o sbagliate, ha imposto assurde misure di protezione e isolamento e infine ha firmato certificati di morte truccati, mettendo sul conto di quel virus migliaia di decessi dovuti a tumori, diabete, infarto, ecc. E tutto ciò è accaduto sotto i nostri occhi, non nel “buio” medioevo. La cosa funziona anche in senso negativo: una medicina che funziona “troppo” bene non è desiderabile, perché l’èlite ha bisogno che la gente si ammali e resti malata. Questo concetto aiuta a comprendere la campagna terroristica scatenata contro i pochi medici interessati ad approfondire la Nuova Medicina Germanica del dottor Hamer e, prima ancora contro il dottor Hamer stesso. La conoscenza delle cinque leggi biologiche di Hamer è stata interdetta non perché esse siano sbagliate, anzi l’élite ne ha fatto tesoro, ma perché la sua diffusione contrasta coi suoi interessi.

    Dunque. Le conoscenze di ordine finanziario, le più importanti, hanno reso l’élite padrona della finanza mondiale. Quei signori possiedono tre quarti della ricchezza del pianeta non perché sono dei bravi imprenditori, ma perché hanno informazioni precise e riservate sui meccanismi più sottili della grande finanza. Le conoscenze di ordine economico li mettono in grado, loro che non hanno mai fatto realmente impresa, di dominare, asservire ed espellere dal mercato i veri imprenditori, sostituendoli con uomini di paglia ad essi devoti. Quelle di ordine informatico permettono all’élite di controllare il vasto mondo delle statistiche, ad esempio falsificando i dati di una pandemia o manipolando sondaggi e risultati elettorali. Quelle di tipo fisico, chimico e biologico le assicurano il controllo della produzione industriale, della biogenetica e della bioingegneria. Quelle di tipo psicologico e sociologico le permettono di creare dei modelli teorici che poi applicano alla realtà, sempre al fine di tenere la gente in uno stato di perpetua ipnosi, accettando tranquillamente delle scelte, da parte dei politici, che sono palesemente contrarie ai veri interessi dei popoli. Quelle di tipo medico permettono all’élite di avere il controllo sulla salute della gente e negli ultimi anni, con la tecnica dei microchip collegati ai vaccini, di esercitare un dominio diretto e capillare, sia fisico che mentale. Per fare un esempio, in Cina è già in fase operativa un programma di controllo della popolazione scolastica mediante l’applicazione di un cerchiello di metallo alla testa di ogni alunno: grazie a dei sensori di neuroni, esso rileva l’attività cerebrale di ciascuno e segnala immediatamente all’insegnante, mediante lo schermo del computer, se qualcuno si è distratto e non sta seguendo la lezione, il che ovviamente viene segnalato alle famiglie e implica una valutazione negativa da parte dell’autorità scolastica. Non c’è alcuna ragione per cui un tale sistema, che, ripetiamo, è già attivo e perfettamente funzionante, non possa essere trasferito in ogni ambito della società, a cominciare dalle fabbriche, e, un po’ ala volta, anche alla vita privata, con l’obbligo d’indossare il dispositivo a casa propria. Quando ciò accadrà, e probabilmente sta già accadendo, il sogno perseguito da lungo tempo dall’élite di un controllo totale della mente degli uomini (si pensi al Pantopticon di Jeremy Bentham) sarà stato pienamente realizzato. Si tenga anche presente che molte applicazioni del dominio tecnico-sanitario sono già attive a nostra insaputa. Per fare un semplice esempio, quando entrate in un ospedale o in un supermercato non vi accorgete che un dispositivo, situato sopra la porta d’ingresso, ha rilevato la vostra temperatura corporea, per accertare che non abbiate la febbre, nel qual caso scatterebbe un segnale d’allarme (e pazienza se avete due linee di febbre per una comunissima influenza: il tampone anti-Covid non ve lo leva nessuno). E che dire delle sostanze chimiche inserite nei cibi e nelle bevande che ingeriamo quotidianamente? Quanti casi di sterilità o di tumori sono ascrivibili ad esse? Ricordiamo l’ossessione dell’élite per la questione demografica...
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    di Francesco Lamendola - 18/10/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Siamo profondamente persuasi che la crisi in corso non è semplicemente un’emergenza sanitaria e che essa non passerà senza aver introdotto una mutazione radicale a livello non solo culturale, ma antropologico: una vera e propria mutazione dell’essere umano. La situazione in cui attualmente si trova la gran parte dell’umanità, almeno nel mondo occidentale, è paragonabile in tutto e per tutto a un’ipnosi di massa; o meglio è una vera e propria ipnosi di massa, non si limita ad assomigliarle. Dell’ipnosi possiede tutte le caratteristiche, e in particolare quella fondamentale: la neutralizzazione del centro direttivo della coscienza e della volontà e la conseguente espropriazione della facoltà decisionale a favore di un soggetto esterno, libero di manipolare a piacere gli atti e i comportamenti di colui che è ipnotizzato. La condizione di centinaia di milioni di persone che vivono da mesi nel terrore di una pandemia inesistente, creata a tavolino sfruttando un virus esistente, sì, ma non così letale come è stato descritto; e che accettano le più dure, sgradevoli e umilianti restrizioni e limitazioni personali, comprese quelle che comportano il fallimento della propria attività lavorativa, perché ritengono esservi realmente uno stato di pericolo tale da giustificarle, è di fatto una ipnosi collettiva di proporzioni mai viste, e di durata potenzialmente illimitata. Ne avevamo già parlato un paio d’anni fa, dunque assai prima che si diffondesse l’isterismo da Covid-19 (vedi l’articolo: Uscire dall’ipnosi, rompere il sortilegio, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 21/10/18), ma gli sviluppi di questi ultimi mesi ci indicono a tornare sull’argomento con rinnovata urgenza.

    Il noto giurista Gustavo Zagrebelsky, fra gli altri, ha affermato che chi accusa il governo di aver conculcato la Costituzione e imposto al popolo italiano un vero e proprio regime dittatoriale è completamente in errore, perché le circostanze eccezionali di una pandemia rendono necessarie delle limitazioni volte a tutelare la salute e la vita della popolazione, fermo restando che si tratta di provvedimenti temporanei: e questo, secondo lui, farebbe la differenza fra una vera dittatura e il nostro governo attuale. Ma a ciò rispondiamo: primo, che la pandemia non c’è e quindi siamo in presenza di un’emergenza pretestuosa, creata proprio per giustificare provvedimenti eccezionali; secondo, che non esiste la benché minima garanzia che il governo, avendo visto quanto sia facile maneggiare uno strumento così potente come i decreti della presidenza del consiglio, e conscio della propria intrinseca debolezza, non possa né voglia dilatare la presunta emergenza a tempo indefinito, tenendo l’intera popolazione in uno stato di terrore permanente al preciso scopo di prolungare la propria durata che invece, se si tornasse alla normalità costituzionale e quindi all’appuntamento elettorale, sarebbe destinata a concludersi. E se le cose stanno così, allora è evidente che le stesse forze che hanno creato la pandemia e hanno alimentato artificialmente il terrore – forze che vanno ben oltre i singoli governi e uomini politici – hanno pure l’interesse a mantenere la popolazione mondiale in uno stato d’ipnosi permanente, sfruttando il fatto che tale ipnosi già esiste, anche se per anni non ce n’eravamo accorti perché non si era verificata la situazione clamorosa ed eccezionale che ne portasse in luce tutte le implicazioni e le conseguenze, che ora sono sotto gli occhi di tutti.

    Perciò, per capire cosa si possa fare in questa situazione, è necessario sapere esattamene cos’è l’ipnosi. A tale scopo riportiamo la definizione data nel quarto volume degli Elementi di filosofia, dedicato alla Psicologia, dal padre lazzarista Guido Berghin-Rosé (1920-2010), uno di quei sacerdoti, professori, formatori e catechisti che hanno infuso nei seminari cattolici, prima del nefasto influsso del Concilio Vaticano II, un ultimo soffio possente di chiarezza concettuale, di calore spirituale e di saggezza educativa e che oggi fanno rimpiangere più che mai l’assenza di studiosi e formatori cattolici di pari spessore, profondità e valore (Torino, Marietti Editori, 1954, pp. 356-357):



    È detto ipnosi uno “STATO DI SONNO ARTIFICIALE IN CUI IL SOGGETTO RIMANE COMPLETAMENTE IN BALIA DELLE SUGGESTIONI DI UN OPERATORE”.

    L’ipnosi si ottiene con mezzi vari: rumori violenti o monotoni, fissazione di oggetti luminosi, pressione delle mani su varie parti del corpo, ecc., accompagnati dall’abbandono alla volontà dell’ipnotizzante, questi mezzi variano leggermente da individuo a individuo ma sono ben fissi e determinati. Dopo lunga abitudine può bastare anche il semplice comando dell’operatore. Effetti analoghi oggi si ottengono con prodotti chimici.

    Il soggetto può passare per varie fasi di sonno, che sono soprattutto: letargia, catalessi, SONNAMBULISMO IPNOTICO. Quest’ultimo è quello che realizza la definizione data sopra, in cui cioè si verifica il fenomeno più caratteristico di questo sonno anormale che è la completa o quasi completa suggestionabilità del soggetto da parte dell’operatore.

    “Si dice al soggetto di dormire ed egli dorme, di svegliarsi e si sveglia, di vedere un uccello immaginario, di accarezzarlo, di sentirlo cantare e lo vede, lo accarezza, lo sente, di non vedere ciò che ha davanti agli occhi e non lo vede, di fare un atto e lo fa, di dimenticare e dimentica, di ricordare e ricorda, ecc.” (Baudin).

    La suggestione dello stato di ipnosi ha influsso anche sullo stato di veglia e soprattutto nel far compiere, per spinta quasi invincibile e senza sapere perché, ciò che fu comandato in stato di sonno. Sembra che questa suggestionabilità non abbia limiti se non in quelle azioni troppo ripugnanti con la vita normale del soggetto, sulle quali si viene ad operare una specie di censura spontanea. In questo stato si hanno pure altri fenomeni importanti come iperestesia (soprattutto del tatto e della vista), trasposizione dei sensi, sdoppiamento della personalità, ecc.

    Oggi è universalmente ammesso che questo stato sia DOVUTO A CAUSE PURAMENTE NATURALI; infatti si può provocare a volontà con mezzi fissi ed ha caratteristiche costanti. Il fatto che il soggetto si addormenta con l’attenzione fissa nell’operatore, spiega come questo rimanga in comunicazione con lui e possa introdurre delle suggestioni; la disposizione di abbandono del soggetto stesso prospetta una spiegazione del fatto che queste suggestioni ottengono “il libero uso degli automatismi sia psicologici che fisiologici dell’ipnotizzato”.

    L’ipnosi È PERICOLOSA, MA PUÒ PURE ESSERE UTILE. Moralmente il suo uso è da giudicarsi come quello di un medicamento pericoloso.



    Dopo aver ben riflettuto, parola per parola, su questa pagina di don Berghin-Rosé, la cosa migliore ci sembra partire dalla fine: l’utilità, possibile, e la pericolosità, certa, di questa tecnica psicologica. Il motivo per cui il buon padre la considera pericolosa (che non significa cattiva, ma semplicemente da usare con molta cautela, come si fa con un farmaco potente, e quindi potenzialmente tossico) risiede nella stessa radice da cui prende l’avvio: ossia da una volontà estranea che si sovrappone interamente alla volontà del soggetto, e sia pure con buone intenzioni, per rimuovere dalla sua coscienza certi fatti o certi eventi e per introdurvene di nuovi, a scopo di guarigione. E lasciamo agli psicanalisti freudiani e junghiani l’idea che possa servire per riportare a galla vicende passate, rimosse dalla censura del Super-io, onde farle riemergere e liberare l’inconscio da una pressione eccessiva (se l’inconscio è davvero tale, perché mai la coscienza dovrebbe soffrire dei suoi conflitti irrisolti?). In pratica si tratta di un’operazione rischiosa perché tutto dipende dalla volontà dell’ipnotizzatore, e nulla da quella dell’ipnotizzato: vale a dire che il secondo è un manichino nelle mani del primo. Certo, si può fare l’analogia con la somministrazione di un siero anestetico affinché l’organismo del paziente possa tollerare il dolore di un intervento chirurgico. A ciò rispondiamo che appunto l’esempio dell’anestesia mostra quanto sia rischioso il ricorso a tale pratica, benché essa venga ormai largamente praticata per la sua indubbia utilità: quante sono le vittime dell’anestesia, alle quali nessuno dà risalto, per un tacito patto del silenzio? E che si tratti realmente di qualcosa di pericoloso e non di ordinaria routine lo prova il fatto che è prevista una visita anestesiologica prima dell’operazione, proprio per individuare eventuali patologie del paziente che potrebbero rendere fatale l’anestesia stessa. Sospendere la vita cosciente di una persona non è cosa da poco: sia che lo si faccia sul piano clinico, con l’uso di sostanze chimiche, sia che lo si faccia sul piano psicologico, con l’impiego di “semplici” tecniche mentali (visualizzazione di forme colorate in movimento uniforme, musica rilassante e parole pronunciate con voce decisa ma suadente). Come abbiamo già osservato, in tutt’altro ambito, parlando delle dichiarazioni di Zagrebelsky a proposito dei decreti d’emergenza del presidente del Consiglio: chi ci assicura che la situazione eccezionale non si prolungherà indefinitamente? Se ciò dovesse accadere, cioè se l’ipnotizzatore mantenesse costantemente l’ipnotizzato in uno stato ipnotico a bassa frequenza, tale da non impedirgli di espletare le ordinarie attività sociali e lavorative, costui si troverebbe a vivere in una condizione di vera e propria servitù psichica, e senza nemmeno rendersene conto. Ebbene: tale sembra essere oggi lo stato delle masse, tenute in una condizione d’ipnosi permanente mediante una serie di pressioni esercitate su di loro dai mass-media, anche a mezzo di messaggi subliminali, e da tutto uno stile di vita che le espone fatalmente a subire l’influsso capillare, martellante, incessante, di un potere occulto, senza averne coscienza e perciò offrendosi volonterosamente a un tale influsso. Si pensi, per fare solo un esempio, a un megaconcerto rock, ove le onde sonore a bassa frequenza creano una cappa ossessionante sulla psiche del pubblico, distruggendo ogni senso critico, per non parlare dei messaggi, espliciti o impliciti, contenuti nei testi delle canzoni. Ma si può dire che la maggior parte degli uomini d’oggi, per il tipo di esistenza che conducono, sono esposti quasi ventiquattro ore al giorno all’influsso di energie negative (consumo accanito di tabacco e superalcolici; dieta carica di tossine, squilibrata e nociva per il fegato; abitudine di sentire musica a bassa frequenza a tutte le ore, anche studiando o guidando l’automobile; frenesia del consumismo e ansia da prestazione, ecc.), producendo adrenalina e alimentando ulteriormente la nube tossica che li avvolgono, nello stesso tempo in cui disperdono preziose energie fisiche, mentali e nervose, disarmando sempre più il proprio organismo davanti agi attacchi degli agenti esterni.

    In un simile contesto generale, che vede la maggior parte delle persone ormai incapaci di riposare nella maniera giusta, di godere il silenzio e l’armonia, di saper fare a meno – sia pure per qualche ora al giorno – del telefonino, del computer, della televisione, nonché di apprezzare il piacere di un po’ di solitudine e di raccoglimento, l’ipnosi di massa, studiata e applicata sapientemente dal potere oligarchico mediante gli strumenti ora descritti, è la materializzazione del peggiore incubo che uno scrittore del genere horror possa concepire: la sottomissione volontaria di molti milioni d’individui al potere affinché esso faccia di loro tutto ciò che vuole. E il potere ne profitta senza scrupoli: vuole terrorizzare la gente e ci riesce; vuole far credere che è in corso una sorta di pestilenza universale, e ci riesce; che l’unica soluzione è mettersi nelle mani dei “salvatori”, cioè di quei plurimiliardari, come Bill Gates, che sono anche i maggiori responsabili della creazione di virus incontrollabili e di vaccini dalle finalità più che dubbie, e ci riesce senza incontrare opposizione. L’ipnosi di massa in cui stiamo vivendo come in un brutto sogno a occhi aperti è la dimostrazione migliore del fatto che l’ipnosi è una pratica alquanto pericolosa, perché toglie ogni possibilità di difesa a colui che la subisce, e dà il massimo potere a colui che la esercita, facendone il dio e il giudice supremo della situazione. Dunque, il grande pericolo dell’ipnosi è che colui che la subisce non se ne accorge neppure (anche se vi si è sottoposto volontariamente) e, una volta che vi è entrato, non ha alcuna possibilità di uscirne, se non altro appunto perché non sa d’essere ipnotizzato. Perciò, parlando dell’ipnosi di massa in cui ci troviamo, la gente non sa di essere sotto ipnosi, perché chi lo sa, significa che non lo è, e quindi riesce a vedere le cose dall’esterno, con sguardo imparziale. Ora, il problema è far capire a chi è sotto ipnosi che si deve svegliare: se a dargliene l’ordine non è lo stesso che l’ha ipnotizzato, ogni sforzo di chiunque altro sarà inutile, perché la sua voce non verrà riconosciuta. Nel nostro caso, la voce che ha ipnotizzato la massa è essenzialmente quella della televisione: se l’ordine di risvegliarsi non viene da lei, la gente non si risveglierà. Tentare di ragionare, di argomentare in maniera razionale con le persone che si trovano in stato d’ipnosi è un vano, patetico sforzo: è come parlar loro in una lingua sconosciuta. Che fare, allora? La prima cosa è evitare di farsi ipnotizzare: il che viene agevolato dal tenersi alla larga dagli strumenti e dai modi di vita dell’ipnosi, e prendere coscienza di chi sta usando la strategia dell’ipnosi sui popoli, e a quali scopi. La seconda è pregare e confidare in Dio, chiedendogli il miracolo di far destare i dormienti…
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    di Francesco Lamendola - 14/10/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Una volta si diceva: cadono le maschere e si vede l‘altro per quello che è; oggi invece bisognerebbe dire: si alzano le mascherine a coprire il viso, ora possiamo vedere realmente chi abbiamo di fronte. Strano ma vero: la rivelazione della reale natura dell’altro ci viene non dal suo disvelamento, ma dal suo nascondimento. In questo momento, per avere l’esatta misura di chi ci sta davanti, del suo spessore intellettuale, morale, spirituale, basta un semplice colpo d’occhio. Se sta guidando l’automobile, da solo, e indossa la mascherina; se sta pedalando in bicicletta e indossa la mascherina; se sta passeggiando nel parco o lungo una strada di campagna, e indossa la mascherina, allora sappiamo esattamente chi è: un servo volontario di questo sistema tecnocratico inumano, dunque un essere post-umano, che ha dato il cervello all’ammasso e la cui anima è in via di estinzione. Si può perdere l’anima (in senso figurato, s’intende: perché l’anima immortale è un dono di Dio e nulla la può distruggere) come si perde la massa muscolare dopo un lungo periodo d’immobilità, o la memoria, dopo un evento traumatico che ha cancellato i ricordi. Il mondo oggi è pieno di uomini, o post-uomini, che non hanno più anima, così come hanno rinunciato ad avere (non ad usare: a ciò avevano rinunciato da un pezzo) un’intelligenza. E il problema è che vivere in mezzo a questa post-umanità decerebrata e de-animizzata, pronta a spiare e denunciare chiunque non si attenga scrupolosamente alle norme pseudo sanitarie stabilite dalle più varie istituzioni, dal governo alle regioni, dai sindaci ai dirigenti scolastici, dalle direzioni sanitarie degli ospedali ai medici della mutua, ai dentisti, ai proprietari dei grandi magazzini, alle Ferrovie dello stato, alle compagnie di navigazione aerea, ecc., risulta terribilmente faticoso per chi conserva ancora la propria umanità, perché si somma a tutti gli altri disagi e alle altre sofferenze imposti dall’alto, ed esaspera il senso di frustrazione, sconforto e solitudine.

    Una ragazza quattordicenne, figlia di nostri amici, che frequenta la prima superiore, a scuola ha avuto un minuscolo, insignificante incidente e già chiamarlo incidente è esagerato, ma nella nostra lingua non c’è una parola simile dal significato più debole: le è andata di traverso la saliva. Ciò le ha provocato, ovviamente, un eccesso di tosse. Ma tossire, di questi tempi, è pericoloso: specialmente in un luogo pubblico; figuriamoci a scuola, in classe. Il professore l’ha subito condotta nella “stanza del Covid” per misurarle la temperatura corporea: non sia mai che quella tosse sia il segnale del contagio in arrivo. La ragazza ha chiesto che la temperatura le venisse misurata sul polso, conscia del fatto che la misurazione sulla fronte, sparata con la “pistola” a raggi laser, non fa proprio benissimo alla salute (visto che stiamo parlando di tutela della salute): richiesta respinta; la scuola ha le sue regole e tutti vi si devono attenere. Fatalità ha voluto, vuoi perché la poverina si era un po’ emozionata, vuoi perché nell’età adolescenziale è normale avere qualche linea in più che nell’età adulta, che la temperatura risultasse esattamente di 37°. Cosa dice il protocollo in questi casi? Che bisogna reiterare la prova. Intanto, però, nel dubbio di una prognosi infausta, che hanno fatto quei solerti tutori della salute dei nostri figli? Hanno prontamente telefonato a casa, informando la madre della cosa e invitando a venire a riprendersi la ragazza. Cinque minuti dopo, nuova misurazione: stavolta la temperatura ha messo giudizio, i gradi sono appena 36,3. Frattanto arriva la mamma, giustamente preoccupata, la quale chiede che la misurazione venga rifatta ora, in sua presenza. «Ah, non serve, signora: tutto bene; l’abbiamo appena misurata, non ha febbre». Fine del discorso, allora? Niente affatto. Cosa dice il protocollo? Che, in casi sospetti, i ragazzi devono comunque essere riaccompagnati a casa dai loro genitori, ed eventualmente ripresentarsi alle lezioni il giorno dopo, si capisce se si era trattato d’un falso allarme. Il giorno dopo, invece, i nostri amici hanno tenuto la figlia a casa, non perché le fosse salita la febbre, ma per misura precauzionale verso i possibili danni causati da quel manicomio che ancora chiamiamo scuola. Il terzo giorno, tornata in classe, e fornite dai genitori le più ampie rassicurazioni sul suo stato di salute, la ragazza ha ricevuto accoglienze addirittura festose: il dirigente in persona l’ha voluta salutare, rallegrandosi davanti a tutti con aria untuosa e felice, addirittura scordandosi per un momento, nell’enfasi paternalistica, le necessarie distanze di scurezza, e congratulandosi per lo scampato pericolo (?) e per il felice rientro all’ovile della pecorella già quasi data per dispersa.

    Ci siamo dilungati su questo piccolo episodio di ordinaria follia, non perché sia particolarmente serio o drammatico, ma perché è un buon esempio del clima d’impazzimento quotidiano, di surreale contraffazione della realtà, in cui è piombata la nostra società attanagliata dalla paura, ma che dico paura, dal terrore del contagio da Covid-19: un terrore debitamente alimentato e pompato ogni santo giorno dai maggiori quotidiani e da tutti i telegiornali, nessuno dei quali, da otto mesi a questa parte, ha tralasciato per una sola volta di “aprire” coi tremendi e inarrestabili progressi della (cosiddetta) pandemia. Episodi come quello ora riferito, comunque, capitano tutti i giorni e non solo a studentesse di 14 anni, ma anche a bambini delle elementari o dell’asilo: e non occorre essere genitori ultraprotettivi o educatori ultrasensibili per predire che il trauma quotidiano inflitto da simili episodi, non solo a chi li subisce in prima persona, ma all’intera scolaresca che vi assiste, è destinato a lasciare il segno nel corso del tempo. In altre parole, stiamo insegnando ai bambini e agli adolescenti ad andare a scuola per diffidare di se stessi e degli altri, per stare continuamente in sospetto, armarsi di diffidenza ed egoismo, rifiutare qualsiasi oggetto venga offerto dai compagni, evitare come la peste il gioco o lo stare insieme, avere terrore del gruppo e dei giochi di squadra, ed essere pronti a denunciare il vicino al primo starnuto o colpo di tosse, per poi assistere trionfanti al suo isolamento e al suo respingimento a casa o, forse, in qualche ospedale. Il che significa preparare una futura generazione di adulti ipocondriaci, isterici, malfidenti, nevrotici e potenzialmente schizofrenici: una faccia è quella che si deve mostrare in pubblico, coi relativi comportanti ammessi e non ammessi, e un’altra è quella che si coltiva in privato, dove – speriamo – ci si rende conto dell’assurdità del mondo costruito dalla dittatura dei Buoni e dei Giusti e dell’artificiosità, per non dire della crudeltà, delle nuove relazioni sociali, o meglio antisociali, da essi concepite ed imposte al popolo bue. E già che stiamo parlando di scuola, diciamo ancora qualcosa. Sappiamo che vi sono insegnanti di ginnastica, pardon, di educazione fisica, che fanno correre i ragazzi con la mascherina e sorvegliano attentamente che nessuno se la abbassi sotto il naso, per intervenire e sgridare severamente gli eventuali trasgressori; che danno loro stessi il “buon” esempio presentandosi in classe con la mascherina alta fino alla radice del naso e per di più incollata al viso mediante pezzi di nastro adesivo. Insegnanti che pure hanno studiato, e fanno studiare ai loro alunni, le norme essenziali dell’igiene e della salute scolastica e che perciò dovrebbero sapere quanto bene faccia correre respirando la propria anidride carbonica: e che tuttavia non hanno il minimo scrupolo di coscienza, non avvertono alcuno iato fra ciò che insegnano e pretendono da un ragazzo, e ciò che sanno essere giusto e vero. Simili, in questo, a tante migliaia di medici, di giornalisti, di magistrati, di tutori dell’ordine, i quali sanno benissimo di stare agendo in perfetta divergenza dagli scopi professionali della categoria a cui appartengono e dai valori che hanno giurato di difendere (la salute e la vita dei pazienti; la verità dell’informazione; la giustizia e il diritto; la difesa dei cittadini onesti), eppure obbediscono ai protocolli, alle direttive superiori, agli ordini che ricevono, giustificandosi col non poter fare altrimenti.

    Ancora due parole sulla scuola, quale specchio della società impazzita di questi ultimi mesi. Se qualcuno crede che i professori siano impazziti da oggi, con la presunta pandemia di Covid-19, sbaglia di grosso: o non ha mai lavorato nel mondo della scuola, o non ha figli, o vive sulle nuvole. La verità è che da non pochi anni – difficile dire esattamente da quando, non c’è una data precisa: c’è, tuttavia, un terminus post quem, l’esiziale 1968 – i professori, nella larga maggioranza progressisti e di sinistra per ragioni sociologiche e culturali che altre volte abbiamo affrontato e cercato di spiegare, hanno iniziato a volgere le spalle alla realtà e a inculcare nei ragazzi le loro teorie, presentate come se fossero la pura e sacrosanta verità. E dunque basta col noioso Aristotele e col bigotto san Tommaso d’Aquino; basta con il banale realismo, specie quello di matrice tomista; basta col leggere la Divina Commedia o i Promessi sposi in un’ottica cristiana, tenendo conto del fatto che i loro autori erano cattolici convinti; basta, soprattutto, col presentare Dio, la Patria e la Famiglia come realtà fondamentali, sulle quali si è sempre basata ogni società umana, così come ogni progresso civile. Al contrario: sì alla negazione della Patria, alla colpevolizzazione della Famiglia (a meno che sia una contro-famiglia arcobaleno), alla rimozione perfino del ricordo della fede in Dio. Sì alla visone di un mondo in continuo progresso, che non va giudicato per quel che è, ma per quel che dovrà essere domani, quando la marcia del Progresso si sarà felicemente realizzata; sì alle migrazioni, all’aborto, al divorzio, all’eutanasia, alle quote rosa; alle paralimpiadi messe sullo stesso piano delle olimpiadi; al 110 e lode alla tesi dello studente affetto dalla sindrome di Down perché “si è impegnato tanto”; alla propaganda terroristica sul femminicidio perché il maschio è in se stesso malvagio; al disprezzo della storia e della civiltà occidentale perché l’uomo bianco è un mostro di egoismo e crudeltà. Sì ai diversi di ogni genere, alle religioni dell’intolleranza in nome della tolleranza, sì alle moschee laddove i cristiani, in Arabia Saudita, non possono pregare neanche chiusi in casa; sì a Charlie Hebdo che offende in maniera sacrilega il credo religioso altrui (tranne quello dei fratelli maggiori, ovviamente), siamo tutti Charlie Hebdo, come no; sì all’utero in affitto, perché è segno di libertà, però sanzioni e massimo disprezzo per i maschi brutali che pagano le donne in cambio di sesso. Sì ai pellegrinaggi ad Auschwitz, al Diario di Anna Frank o a Tu passerai per il camino come libri di lettura in classe, ma no a parlare della tragedia del popolo palestinese, perché sarebbe flagrante antisemitismo; sì alla totale demonizzazione del fascismo, ma no a quella del comunismo, che ha fatto molti più morti, più crudeltà, più genocidi; e soprattutto silenzio sulle foibe e sulle atrocità partigiane del 25 aprile 1945 e dintorni, con la crocefissione di prigionieri fascisti e lo stupro e l’uccisione di bambine tredicenni, colpevoli di aver composto un tema in lode di Mussolini. Insomma piena, costante, sistematica falsificazione della realtà; doppia morale sui fatti della storia recente; capovolgimento del ruolo dei carnefici e delle vittime; silenzio su ciò che non garba e amplificazione plateale di ciò che conviene.

    Tutto questo potrebbe essere già abbastanza; ma c’è dell’altro, purtroppo, e di peggio. Quel che dobbiamo dire sulla scuola come cinghia di trasmissione del potere e del pensiero mainstream non sarebbe completo se tacessimo l’aspetto più recente e sconcertante dell’indottrinamento di stato che i giovani subiscono da parte dei professori di sinistra, con l’avallo del ministero della pubblica istruzione che, da decenni, ha sposato quella ideologia e si è prefisso di tirar su una generazione di perfetti progressisti, stile Boldrini o Fiano, così come il fascismo voleva tirar su una generazione di perfetti fascisti sul modello di Starace. Infatti, da qualche anno i professori non si limitano a insegnare la filosofia, la storia, la letteratura, secondo il loro rigido credo progressista, che prevede, ad esempio, di dedicare almeno una ventina di lezioni a Marx e non più d’un paio a san Tommaso d’Aquino; ora pretendono di riscrivere anche le materie ‘neutre’, il latino e il greco, per esempio, secondo le loro categorie disancorate dal principio di realtà, per introdurre i giovani nel beato mondo progressista, dove la banale realtà ordinaria viene sostituita dall’emozionante realtà virtuale, o realtà 2. In quel mondo, se vostro figlio traduce puellarum con l’espressione “delle ragazze”, può accadere che il professore glielo segni come errore, perché avrebbe dovuto tradurre ”della ragazza”. E se voi dite a vostro figlio di chiedere al professore da quando puellarum è diventato genitivo singolare anziché plurale, quello gli risponderà che ciò dipende dal contesto, da lui non tenuto nel debito conto. Insomma non è più vera la verità, ma è vero quel che pare a Tizio, Caio o Sempronio “in base al contesto”. E questo è solo un esempio fra mille che potremmo fare. Che dire davanti a tanta idiozia e soprattutto a un così superlativo grado di arroganza? Ogni discorso è impossibile, evidentemente. Ora, vi starete forse chiedendo che c’entri tutto ciò con le mascherine e la rivelazione della reale natura dell’altro. C’entra, eccome. Lo stesso professore di ginnastica che sa quanto faccia male respirare la propria anidride carbonica, eppure porta i ragazzi a correre e li obbliga a coprire naso e bocca con la mascherina; lo stesso professore il quale sa che si può tossire senza aver contratto alcun virus, o che avere 37° di temperatura corporea non significa nulla, però allerta i genitori e li fa venire a scuola per riprendersi il loro figlio; ebbene lo stesso, proprio lo stesso, pretende che la giusta traduzione di puellarum sia “della ragazza”, e che l’immigrazione selvaggia sia la cosa più bella e giusta del mondo. Delinquenza, degrado, paura, ne sarebbero le conseguenze? Giammai: questa è la becera propaganda dei populisti. Abbasso la realtà, evviva l’ideologia (idiota).
  12. .
    di Francesco Lamendola - 02/10/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    PRIMA SCENA. Una matita sfugge dalle mani del bambino, cade sul piano del banco e rotola oltre l’orlo, finendo a terra. Il bambino che siede nel banco della fila più arretrata se la vede quasi davanti, e istintivamente si china a raccoglierla; quindi, in un gesto di naturale gentilezza, la allunga verso il suo proprietario, che si affretta a riprenderla. Tutto questo movimento non è però sfuggito all’occhio di falco della maestra, la quale si è auto-investita della missione di vigilare sulla sicurezza della classe, e riprende con severità il trasgressore del nuovo codice di comportamento, poi apre il suo quaderno e segna una crocetta accanto al nome del secondo bambino. Quando le crocette saranno arrivate a tre, ella redigerà personalmente una nota scritta di biasimo, diretta ai genitori di quel bambino. Motivo: il piccolo non si attiene alle disposizioni sanitarie vigenti, che pure sono state più volte spiegate; non rispetta il distanziamento sociale; è distratto e svogliato nell’indossare la mascherina. Insomma, si dimostra un cattivo soggetto, egoista e asociale: lo si vede anche dal gesto come quello accaduto stamattina, di prendere con le sue mani la matita di un compagno e poi passargliela, come se nulla fosse: un gesto che non è di cortesia, ma di gravissima irresponsabilità e incoscienza. Si vede che è poco sensibile o che i suoi genitori trascurano il loro dovere d’informarlo su come si ci comporta quando si è fuori.

    SECONDA SCENA. I fedeli sono seduti disciplinatamente nei banchi, a debita distanza reciproca, rispettando le indicazioni rappresentate dai tondini rossi con la scritta: “Siediti qui”. Stanno ascoltando il sacerdote, che tiene la sua omelia indossando la mascherina che lascia scoperti solo gli occhi, il che dà un tocco surreale all’intera scena. A un tratto la bambina di tre o quattro anni, che indossa anche lei la mascherina, come tutti gli altri, si accorge che il nonno, forse per distrazione, forse per poter respirare meglio, ha lasciato scivolare la propria mascherina al di sotto del naso, per cui gli copre solo la bocca. Allora, con voce tonante, come fanno talvolta i bambini quando si sentono investiti di una mansione importante, e ci tengono a far sapere a tutti che la stanno svolgendo con la massima serietà, si mette a rimproverarlo, fra l’indignato e lo scandalizzato, scandendo queste parole: Nonno! Tirati su la mascherina! Copriti bene anche il naso oltre alla bocca! Poi si guarda attorno, trionfante, tutta fiera d’aver ristabilito l’ordine in una situazione si sommo disordine e forse di estremo pericolo, evidentemente nei termini in cui è stata addestrata dai discorsi che le sono stati fatto in casa, dai genitori. Il povero vecchio, colto in flagrante e smascherato (è proprio il caso di dirlo), arrossisce violentemente e si affretta ad obbedire, sotto gli sguardi poco benevoli dell’intera assemblea.

    TERZA SCENA.

    Un uomo di mezza età sta viaggiando a bordo di un treno locale. È stanco e si è semi-appisolato sul sedile; a causa del caldo, si è abbassato la mascherina quanto basta per poter respirare tenendo libero il naso. Ma una giovane donna, stando sul sedile dal lato opposto del corridoio, non apprezza quel comportamento disinibito e apostrofa il compagno occasionale di viaggio, ingiungendogli di rimettersi subito la mascherina. È alterata e fin da subito mostra dei modi estremamente aggressivi. Lui non si affretta a obbedire, vuoi perché frastornato dall’insolita situazione, vuoi perché gli sembra di aver passato l’età in cui una tizia qualsiasi, neanche fosse il sergente del tempo della naia, oltretutto assai più giovane di lui, possa venire a dargli ordini come si fa con l’ultimo dei sottoposti. Il battibecco va avanti un bel po’, anche se a dire il vero la voce che risuona per tutto il vagone è quella di lei, mentre quella di lui non si ode neppure, e quindi non si sa che cosa le risponda. Sta di fatto che la donna diviene sempre più furiosa e a un certo punto, facendo l’atto d’alzarsi e scagliarsi fisicamente contro l’avversario, minaccia apertamente di spaccare la faccia a quell’uomo, se non si deciderà a mettersi immediatamente quella c… di mascherina. Arrivate le cose a questo punto, colui o colei che ha ripreso la scena col telefonino, e l’ha postata in rete, si beffa della nostra curiosità di sapere come vada a finire, e interrompe il “servizio”.

    Che cosa credete che siano questi: dei brani tratti da qualche romanzo distopico o dalla sceneggiatura di un film di fantascienza? Niente affatto: è la fedele rappresentazione della realtà quotidiana, in questi giorni di pandemia da Covid-19: pandemia da isterismo d’italioti terrorizzati, sia ben chiaro, più che da virus; sono solo tre degli innumerevoli esempi di ordinaria follia, enumerando i quali si potrebbero ormai riempire le pagine di parecchie enciclopedie. Non sappiamo come la pensiate voi; quanto a noi, quelli che ci hanno maggiormente colpito sono i primi due episodi, e il primo più di tutti: perché hanno come protagonisti dei bambini. Vogliamo dire che tutti e tre rappresentano una situazione molto triste, perché mostrano il grado d’impazzimento cui stiamo giungendo sotto la spinta del terrore indotto a bella posta dai mass-media asserviti al regime invisibile, ma onnipotente, dell’oligarchia finanziaria mondiale; ma finché a impazzire sono gli adulti, resta ancora la speranza che le prossime generazioni possano riportare la società in carreggiata. Se invece si fa in modo che ad impazzire, a restar traumatizzati, o, peggio ancora, a subire una ferita incancellabile al livello dell’affettività e del più elementare senso di giustizia, sono i bambini, allora è proprio finita. Perché quella ferita, quei traumi, resteranno, e oltretutto niente fa pensare che verranno medicati e corretti nei prossimi anni; e lavorando nel subconscio, un poco alla volta, e sommandosi con altre simili esperienze, che andando avanti le cose di questo passo certamente non mancheranno, faranno sì che gli adulti di domani, la cui infanzia è stata segnata da esperienze di tal genere, saranno una generazione di ipocondriaci, di anafettivi, di nevrotici, di egoisti, di opportunisti quale mai si era vista prima. Questo sarà l’inevitabile risultato di aver insegnato ai bambini che giocare fra loro a contatto di gomito, o anche solo scambiarsi una matita in classe, è qualcosa di brutto e di pericoloso, da evitarsi assolutamente; che dimenticare d’indossare la mascherina, o tenerla bassa sotto il naso, equivale a esporre se stessi e il prossimo a chissà quali tremendi, mortali pericoli; che abbracciare i nonni o lasciarsi fare una carezza da loro, e naturalmente anche accettare una caramella o una fetta di dolce, sono altrettante sconsideratezze e micidiali imprudenze; che insomma bisogna stare lontani e distaccati gli uni dagli altri; e se si va coi genitori al ristorante, bisogna entrare indossando la mascherina, poi, una volta seduti, la si può togliere onde introdurre il cibo in bocca, ma poi, finito il pranzo, bisogna rimettersela ancor prima di essersi alzati, per riattraversare il locale portandola sempre sul viso, a coprire debitamente naso e bocca. Il tutto per un pericolo che viene descritto come terribile, invisibile e onnipresente, e che, stando ai giornali e ai telegiornali, sta falciando migliaia, anzi milioni di vittime in ogni parte del mondo: anche se tutto ciò non è assolutamente vero, e le morti dovute al Covid-19 non superano, in buona sostanza, la normale mortalità da influenza che colpisce le persone anziane; semmai sono milioni le morti dovute all’interruzione di altre terapie, per aver concentrato tutta l’attenzione sanitaria sulla presunta pandemia. Inoltre si sta recando una tremenda mortificazione all’intelligenza e al senso critico dei bambini, offrendo loro lo spettacolo del mondo degli adulti che cade nel panico più totale di fronte a un nemico inesistente. Infatti nemmeno i giornali e i telegiornali pagati dall’oligarchia finanziaria sono in grado di esibire un solo caso di bambini gravemente ammalati, e meno che meno morti, a causa del Covid-19: il che dimostra che la chiusura delle scuole nei mesi primaverili è stata perfettamente inutile e che le attuali precauzioni di tipo maniacale, mascherine, banchi con le rotelle, isolamento dei bambini con due linee di febbre, sono altrettanto incongrue e irrazionali.

    Pertanto stiamo insegnando ai nostri bambini che agire da pazzi è la cosa più naturale del mondo, purché qualcuno, dalle alte sfere, ne dia l’ordine e prescriva i comportamenti da tenere e quelli da evitare. Tutto questo sta distruggendo il senso critico dei bambini e li sta abituando a obbedire a qualsiasi ingiunzione, fosse pure la più assurda e, un domani, Dio non voglia, la più crudele e immorale. Così come crudele e immorale, fin da ora, è stato l’aver condannato migliaia di vecchi a morire in ospedale tutti soli, senza il conforto delle persone care, senza un volto amico ad assisterli, e averne poi spedito i cadaveri al crematorio, senza chiedere il permesso alle famiglie e anzi negando ai congiunti la possibilità di organizzare un decente funerale, ma facendo loro recapitare, in un vasetto, le ceneri del caro estinto, così, d’autorità, mostrando un grado di arroganza e di brutalità che forse nemmeno il regime hitleriano avrebbe osato concepire. I bambini ci guardano; ci guardano sempre, ci hanno sempre guardati; e anche se pare che non ci ascoltino, in realtà stanno immagazzinando i nostri insegnamenti e l’esempio concreto dei nostri comportamenti, e tutte queste esperienze formano la base sulla quale costruiranno la loro crescita e la loro vita futura. Ma che accadrà quando verranno al pettine i nodi di una serie di idee sbagliate e di comportamenti assurdi che noi stiamo trasmettendo loro, oltretutto conditi con una bella dose d’ipocrisia? I bambini, infatti, istintivamente, quasi inconsciamente, percepiscono se gli adulti parlano con convinzione e se agiscono in maniera coerente, oppure se si limitano a recitare una parte, più o meno sincera, più o meno falsa. Ed è evidente che moltissimi adulti insegnano ai bambini a fare certe cose, a rispettare certi comportamenti, non perché ci credano e non perché sentano spontaneamente la necessità di adottarli loro stessi, ma perché così si deve fare, e perciò bisogna auto convincersi che così è anche giusto. In tal modo si insegna loro il servilismo: a obbedire agli ordini e a far sì che tali ordini sembrino una libera scelta individuale. Nell’altro caso, quello cioè di un bambino che abbia la fortuna di avere dei genitori non ancora impazziti di terrore, o una maestra non ancora impazzita di terrore, o un parroco non ancora impazzito di terrore, caso certo assai più fortunato, resta il fatto che quegli adulti gli dovranno insegnare la dissimulazione: cioè a rispettare le norme pur sapendo che sono balorde, insulse e immorali, e tuttavia a rispettarle, per quieto vivere e amor di pace. Questo è il male minore che si possa fare a un bambino, in questo momento e in questa situazione; ma è pur sempre un male. Dopo decenni di pedagogia libertaria, di educazione non repressiva, di tante belle chiacchiere sul diritto dei bambini a crescere liberi da obblighi e costrizioni, li stiamo ora sottoponendo a una pressione psicologica, e anche materiale, semplicemente pazzesca; e tutto quel che possiamo fare per difenderli dal mondo impazzito degli adulti è insegnar loro a obbedire, ma sapendo che si tratta di salvare le apparenze per non incorrere nelle sanzioni, e per il resto a considerare tutto ciò come un’assurda montatura, quale realmente è. E quindi, se all’ingresso di un supermercato un inserviente pretende che ci laviamo le mani col disinfettante, dobbiamo farlo, e obbligare anche i nostri bambini a farlo; se entriamo in una chiesa, per quanto ampia e semivuota, dobbiamo indossare la mascherina, e obbligare anche loro a far lo stesso; se andiamo in banca, dobbiamo sottoporci, all’ingresso, al rito della misurazione della temperatura, e far sì che anche i nostri bambini vi si sottomettano; se infine li dobbiamo accompagnare dal dentista, dovremo indossare le soprascarpe di cellophane, e farle calzare anche a loro, accettando tutte queste umiliazioni come qualcosa di normale. Ciò non resta senza effetti nella mente e nella coscienza dei bambini: qualcosa in loro, non la parte strettamente razionale, ma qualcosa d’intuitivo e di più profondo, percepisce che si tratta di forzature innaturali, di abusi e umiliazioni che vengono quotidianamente inflitti ai loro genitori, così come a tutte le altre persone: e si abituano a vivere dissimulando, come appestati che debbano tener nascosta la loro malattia, per non essere denunciati al tribunale della sanità e prelevati a forza dai monatti.

    Concludendo. Dovremmo insegnare ai bambini a essere coraggiosi, e invece li stiamo terrorizzando. Dovremmo insegnar loro a essere sinceri, e invece li stiamo abituando a convivere colla menzogna. Dovremmo insegnar loro il piacere della socialità, e invece li stiamo rendendo dei solitari, degli asociali e degli scontrosi. Dovremmo insegnar loro la capacità di collaborare generosamente con gli altri, e invece li stiamo rendendo dei diffidenti e degli egoisti che pensano solo a se stessi. In breve, stiamo operando su di loro una vera e propria contro-educazione, che sovverte e capovolge tutti i principi sui quali dovrebbe fondarsi una vera azione educativa. Ma di che ci si dovrebbe stupire, poi? Viviamo da tempo in un modo alla rovescia: dove l’economia è una contro-economia, la scienza è una contro-scienza, la chiesa è una contro-chiesa, e così via di seguito. La verità è che da anni, da decenni, eravamo impazziti sotto l’effetto congiunto del buonismo idiota di matrice catto-comunista e del consumismo becero di matrice supercapitalista: ma la nostra pazzia era rimasta, per così dire, allo stato latente, come suole accadere finché le condizioni esteriori di esistenza procedono sui tranquilli binari di sempre. Ma poi è arrivata la pretesa pandemia da Covid-19, o per meglio dire, i signori oligarchi hanno deciso di farla arrivare: e allora ciò ch’era latente si è manifestato con forza, e la nostra pazzia è si è rivelata in tutta la sua portata devastante. Inutile dire che si tratta d’una pazzia lungamente coltivata e, al presente, pilotata con cura, per un preciso scopo.
  13. .
    di Francesco Lamendola - 20/09/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Antivedere: vedere avanti nel tempo, prevedere, presagire (Treccani). Come si spiega che alcune persone vedono, per così dire, gli sviluppi futuri di situazioni attuali che sono ancora appena agli esordi, o addirittura non si sono ancora manifestate, pur essendoci già le condizioni perché si manifestino? Siamo abituati a pensare che il pensare sia una funzione autonoma e originaria delle menti individuali; ma siamo proprio sicuri che sia così?

    In natura vi sono dei fenomeni che hanno smentiscono questa interpretazione: nei quali, cioè, la vista si spinge più lontano nello spazio fisico e persino nello spazio-tempo soggettivo. Nel campo dei fenomeni atmosferici, ad esempio, noi sappiamo che, al verificarsi di particolari circostanze locali, è possibile spingere lo sguardo molto più in là di quanto lo permetterebbero le normali leggi della fisica. Di fatto, esiste una precisa letteratura scientifica la quale attesta come, qualche volta, dei testimoni sono riusciti a vedere oggetti che si trovavano a centinaia di chilometri di distanza, e, in alcuni casi, perfino a vedere il disco del Sole dopo che questo era tramontato – o, almeno, dopo che avrebbe dovuto essere tramontato, e quindi non più osservabile da quella posizione. Si tratta di episodi eccezionali, però assolutamente certi, che si spiegano con le leggi della rifrazione ottica allorquando si verificano forti differenze di temperatura fra l’aria degli strati più bassi dell’atmosfera e quella degli strati superiori.

    Citiamo dal saggio del climatologo Louis Auberger, membro della prima spedizione meteorologica navigante al mondo e grande studioso delle rotte aeree atlantiche, Atmosfera e meteore (titolo originale: Athmosphère et météores, Parigi, Éditions Fayard, 1964; traduzione di Gildo Dalla Cort, Modena, Edizioni Paoline, 1968, pp. 118-120):



    Come abbiamo visto parlando del miraggio, la rifrazione può essere talvolta molto differente dal normale. Può avvenire che la temperatura dell’aria vicino al suolo sia relativamente elevata e diminuisca rapidamente con l’altezza: allora l’indice di rifrazione aumenta man mano che si sale. In questo caso, la portata visuale è diminuita.

    Ma il più delle volte la temperatura dell’aria vicino al suolo è relativamente bassa e l’indice di rifrazione diminuisce rapidamente allontanandosi dal suolo. Allora la portata visuale è aumentata, e stando a una buona altezza, l’orizzonte appare rialzato: in pianura, la Terra sembra incavata “a catino”, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, poiché la Terra è rotonda “come una palla”.

    Come esempio di visibilità lontana si può citare il fatto che rende possibile la visibilità particolareggiata della costa francese, da Calais a Dieppe, dalla costa inglese a circa 120 chilometri. Per lo stesso fenomeno fu possibile scoprire le montagne dell’Alaska, dalla nave “Explorer”, a 610 chilometri di distanza, mentre normalmente non sono più visibili a 280 chilometri. È soprattutto notevole il fatto verificatosi a bordo della nave inglese “Balranald” al largo del Capo, il 10 aprile 1927: in questa circostanza apparve un secondo Sole, rosso, 12 minuti dopo il tramonto teorico e 7 minuti dopo un primo tramonto. In quel preciso momento il bordo inferiore del secondo Sole rosso era ad un grado e mezzo sopra l’orizzonte, corrispondente ad una distanza di visibilità sul mare di circa 1.000 chilometri.



    Ebbene, ci sembra possibile, anzi ragionevole, ipotizzare una spiegazione del genere anche per ciò che riguarda la dimensione intellettuale. Le singole menti non creano dal nulla le idee, non le “inventano”: le colgono, le afferrano, come una radio ricevente afferra le onde elettromagnetiche provenienti da una fonte esterna, sia essa terrestre o anche, eventualmente, spaziale. Bisognerebbe andarci piano prima di definire “creatori” gli esseri umani, quando si parla di opere del pensiero o di opere artistiche (specialmente queste ultime vengono ad essi attribuite talmente in esclusiva, che sovente si parla appunto di “creazioni artistiche”): perché gli uomini, propriamente parlando, non creano nulla, assolutamente nulla. Uno solo è il Creatore; tutte le creature, uomo compreso, non fanno altro che rimodellare e riorganizzare dei materiali che già esistevano prima di loro, dando loro nuove forme e nuove finalità. E ci spingiamo così in là da affermare che le opere dell’uomo sono tanto più riuscite e tanto più eccellenti, quanto più si ispirano e si uniformano all’intenzione originaria del Creatore, la quale è intimamente buona e sommamente gratuita, cioè del tutto disinteressata; e, viceversa, tanto più imperfette e malriuscite, quanto più se ne allontanano, sia che ciò avvenga intenzionalmente o no. Poiché la cultura moderna ha di fatto scartato l’ipotesi “Dio”, bisogna pensare che le opere degli uomini non hanno il fine esplicito di contraddire la sua santa Volontà, semmai quello di magnificare e glorificare se stessi, oltre ad assicurar loro il massimo della soddisfazione personale e dell’utilità pratica, specie di tipo economico. In altre parole, quasi tutto ciò che l’uomo moderno opera, lo fa in vista di un profitto: non, si badi, in vista di ottenere ciò che gli occorre per vivere, ma per strappare dei vantaggi che vanno molto, ma molto al di là dei quanti gli è necessario, e che spesso sono tali che non potrebbe goderne effettivamente in tutto il corso della sua vita, se pure lo volesse. Tale ad esempio è la ricchezza spropositata, quasi inimmaginabile di certi banchieri, i quali non riuscirebbero a spenderla neppure se si costruissero decine di ville fatte letteralmente d’oro. Evidentemente ciò che li muove, ed è il caso estremo di una tendenza che è comunque tipica dell’uomo moderno in quanto tale, non è una motivazione di carattere razionale, ma una spinta assolutamente irrazionale che proviene dall’ipertrofia dell’ego. Non conta il risultato in se stesso, ma la smania di accumulare sempre di più, di sentirsi sempre più potenti, sempre più liberi da qualsiasi bisogno: e non si accorgono di essere divenuti schiavi del proprio bisogno compulsivo, nevrotico, e in ultima analisi auto-distruttivo, di avere sempre di più per sentirsi sempre di più. Non di essere, ma di sentirsi (e, naturalmente di apparire, cosa più importante di tutte:) perché la categoria dell’essere è positiva e oggettiva, mentre la febbre che li divora è soggettiva e insaziabile, si sottrae a qualunque controllo e ignora qualsiasi limite: è la febbre di sentirsi ricchi, potenti, felici, ecc. Anche se Paperon de’ Paperoni, alla fine, si riduce, come Mazzarò della novella verghiana La roba, a nutrirsi di pochi bocconi di cibo e a tirare avanti con gli abiti e le scarpe usati e più volte rammendati, per non intaccare neanche di pochi spiccioli il suo favoloso patrimonio, che tutti gli invidiano, ma del quale egli si è autoescluso, condannandosi a non goderne effettivamente.

    Dunque, la genesi delle idee. Se esse non vengono create dagli uomini, nel senso specifico della parola, ma solamente utilizzate, allora ne deriva la logica conseguenza che esse non appartengono ad alcuno, che non esiste un vero diritto alla proprietà delle idee, con buona pace di quanti si affrettano a pretendere ed imporre legalmente i diritti d’autore su di esse, domandando risarcimenti finanziari a quanti si permettono di utilizzarle senza pagar loro il copyright. Attenzione: non stiamo facendo l’apologia del comunismo intellettuale; per quanto restiamo convinti che il comunismo una base seria ce l’abbia, e cioè il diritto al libero accesso ai beni essenziali per la vita, prima di tutti l’acqua, che non può e non deve essere privatizzata, perché questo metterebbe popoli interi alla mercé dei soliti speculatori finanziari. Nel caso delle idee, non si tratta di comunismo nel senso marxista della parola, perché sarebbe velleitario e demagogico affermare che tutte le idee sono di tutti gli uomini; quel che sosteniamo, piuttosto, è che tutte le idee appartengono a tutti gli uomini di buona volontà, i quali le sanno recepire, le sanno apprezzare, le sanno sviluppare e arricchire, le sanno divulgare. In questo senso, e solo in questo senso, sì, siamo comunisti: non possiamo né potremo mai adattarci all’idea che un George Soros, un Bill Gates o un Mark Zuckerberg possano acquistare il copyright da qualche ricercatore indipendente e poi, in condizioni di monopolio, imporlo a loro volta sull’uso e la trasmissione delle idee. Anche se è evidente che le condizioni a ciò necessarie esistono, eccome: in particolare esiste una classe di nerds, piccoli intellettuali ambiziosi e frustrati – in verità, più tecnici informatici che intellettuali - asociali, narcisisti, apolidi, sostanzialmente autistici, che però coltivano illimitati sogni di gloria e di rivalsa sociale, e che non vedono l’ora di poter vendere a qualche multinazionale il risultato dei loro studi e delle loro ricerche, per ricavarne quattro soldi e un briciolo di notorietà. (Per chi non lo sapesse, secondo il dizionario della Hoepli il nerd è un tipo umano, specialmente giovane, poco portato per la mondanità, la socializzazione e lo sport, che trova soddisfazione e riscatto negli studi, specie nell’informatica).

    Naturalmente, la domanda che sorge spontanea, di fronte alla teoria su esposta circa l’origine delle idee, è la seguente: se le idee non nascono nelle menti finite, le quali si limitano a captarle; se non sono un loro prodotto, allora chi ne è l’autore? Chi pensa le idee che poi vengono afferrate e pensate dalla mente degli esseri umani? È chiaro che la risposta, non solo per un credente, ma anche per qualsiasi persona razionale, date le premesse, non può essere che una: Dio. Chiunque possieda una sia pur minima infarinatura di metafisica sa che ogni fenomeno, ogni movimento, ogni mutazione dello stato di cose esistente, presuppone una causa; e che, se non si vuol risalire all’infinito, bisogna ammettere che ogni causa ha a sua volta un’altra causa, e così via, fino alla Causa Prima, origine e motore di tutto ciò che esiste, di tutto ciò che si muove, di tutto ciò che muta. Inoltre, chi ha qualche nozione di esoterismo teosofico, sa che verso la fine del XIX secolo venne elaborata e divulgata una teoria, in effetti molto più antica, secondo la quale tutto ciò che esiste, tutto ciò che accade, tutto ciò che viene detto, pensato, sognato, agito, non scompare nel nulla, ma viene per così dire “registrato” in una sorta d’immenso archivio cosmico o memoria cosmica, di natura eterica, denominato con la parola sanscrita Akasha; e che pertanto esiste la possibilità, almeno a livello teorico, che qualche mente abbia la possibilità di accedervi e trovarvi qualsiasi cosa sia esistita, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo. L’Akasha sarebbe il famoso quinto elemento, o quintessenza, oltre i quattro tradizionali (terra, acqua, aria e fuoco), immateriale e paragonabile a una luce astrale. Nonostante le apparenze, questa teoria esoterica si può interpretare, fino a un certo punto, in senso perfettamente cristiano, come aveva visto il filosofo George Berkeley. Se le menti finite ricevono le idee, queste sono presenti, tutte quante, nella mente infinita di Dio, la quale contempla tutto ciò che esiste, è esistito ed esisterà, non solo nella sfera fisica ma anche nelle dimensioni sottili, eteriche appunto. La mente umana non può affatto contemplare la Mente divina – qui il divario con la teosofia è incolmabile – con un atto della sua volontà, perché la differenza fra creature e Creatore è ontologica e pone una distanza incommensurabile fra loro. Però le menti umane possono ricevere da Dio ciò che Egli mette a loro disposizione, sempre per un fine ottimo; e alcune di esse, ad esempio le anime sante, per uno speciale privilegio, potrebbero antivedere ciò che resta celato alle altre. Ma perché Dio dovrebbe concedere un tale privilegio? La risposta è scontata: per il bene degli uomini stessi…
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    di Francesco Lamendola - 13/09/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Che ci piaccia o non ci piaccia – e a te, caro lettore, se stai leggendo queste righe, quasi certamente non piace – siamo stati scaraventati tutti quanti nelle meraviglie, si fa per dire, del Mondo Nuovo. Prima con i cosiddetti attentati dell’11 settembre 2001 (e, nel caso dell’Italia, con l’appendice del Ponte Morandi: Genova, 14 agosto 2018), poi, e definitivamente, con la proclamazione della pandemia da Covid-19 da parte dell’O.M.S., l’11 marzo del 2020, una data che rimarrà per aver segnato un prima e un dopo nella storia contemporanea. E in questo Mondo Nuovo tutti i processi della globalizzazione, già di per sé estremamente veloci, sono ulteriormente accelerati, e continuano ad accelerare sempre di più, freneticamente, al punto che c’è da dubitare della possibilità, per la mente e per l’organismo umano, di poter tenere ancora per molto un ritmo così indiavolato, che né l’una né l’altro sono in alcun modo preparati a sostenere. Il rischio concreto, e tutt’altro che ipotetico, è letteralmente quello d’impazzire, di finire esauriti, disfatti, depressi, distrutti e ricoverati, volenti o nolenti, in qualche casa di cura psichiatrica, o ridotti simili a dei vegetali dall’uso e dall’abuso di psicofarmaci, assunti nel disperato tentativo di tenere a bada i mostri scatenati dell’insonnia, dell’ansia, dell’angoscia, del malessere esistenziale, spinto fino al limite del desiderio di autodistruzione. È dell’altro giorno la notizia che una donna, una maestra d’asilo, si è suicidata, a Roma, gettandosi dalla finestra di casa, perché era ossessionata dal terrore di aver contratto il Covid-19, terrore peraltro ingiustificato: e questa morte, crediamo - e Dio sa se vorremmo sbagliarci completamente, e se non preferiremmo essere sbugiardati dai fatti – temiamo che sia solo la prima, o meglio la prima di cui la stampa ha parlato, di una lunga serie, perché gli effetti peggiori di uno stato depressivo possono manifestarsi anche a distanza di mesi o anni dall’evento o dall’esperienza traumatici che hanno provocato lo squilibrio e il malessere. Avevamo parlato di queste cose, diversi anni fa, ossia molto prima della presente emergenza sanitaria, esaminando il cosiddetto shock del futuro, dovuto a una tale accelerazione dei processi della modernità da risultare insostenibile per molte categorie di persone; e più recentemente, in un altro articolo, abbiamo indicato la risposta spirituale con la quale si può fare fronte a una situazione così sconvolgente e fuori controllo. Ora vogliamo scendere su un terreno più concreto e dare alcuni consigli pratici per la sopravvivenza nel Mondo Nuovo, consci che moltissime persone, anche nella cerchia delle nostre amicizie e conoscenze, soffrono terribilmente per il fatto di sentirsi proiettate in una dimensione che non riconoscono come propria, anzi, che trovano assolutamente intollerabile, e nella quale pertanto si dibattono come pesci presi nella rete o, se si preferisce la similitudine, come esuli in patria, travagliati dall’amarezza e dalla frustrazione di non trovar più alcuna corrispondenza fra sé, il proprio sentire, e quello degli altri. È come se ciascuno fosse isolato nel proprio piccolo inferno privato, che ha le pareti di cristallo per vedere l’esterno, ma non ha porte né finestre per comunicare col mondo.

    Dunque, consigli pratici per la sopravvivenza.

    CONSIGLIO NUMERO UNO: eliminare completamente, se possibile, la televisione; se no, ridurla drasticamente a poche ore la settimana, magari per vedere qualche buon film o qualche innocuo sceneggiato sentimentale; ma evitare come la peste i telegiornali, tagliare la pubblicità (come?, girando canale o togliendo l’audio, in modo da lasciarla scorrere senza più il pungiglione che cattura involontariamente l’attenzione, finché riprende il vostro programma), evitare nel modo più assoluto i reality, trasmissioni come Uomini e donne, Forum, o giochi come Deal with it, o altri come Striscia la notizia, oppure Non ho l’età, e soprattutto immondizia come Il grande fratello. Se si indulge a guardare quotidianamente anche uno solo di tali programmi, l’esito è assicurato: un incretinimento irreparabile, una crescita ipertrofica dell’ego e perciò del narcisismo, e, come se non bastasse, la distruzione progressiva del buon gusto, della buona educazione, del senso della dignità personale, del pudore, della giusta e naturale riservatezza. «Eh, via – obietterà qualcuno – tutto ciò non è esagerato? Vada per i telegiornali, notoriamente bugiardi e allarmistici; ma che male può fare guardare uno di quei programmi? D’accordo, non saranno particolarmente intelligenti, e forse neanche tanto raffinati, questo lo si può concedere; ma davvero possono provocare dei danni così gravi dal punto di vista pedagogico?». La risposta è sì: sicuramente sì; sono veleno per l’anima allo stato puro. Fanno più danni programmi di quel tipo, specie nei giovami, ma anche negli adulti e negli anziani, che non una esplicita predicazione di contro-valori, come si fa in certi ambienti esoterici e massonici; fanno più danni proprio perché l’intelligenza s’intorpidisce, la coscienza si rilassa e non esercita più alcuna vigilanza, e il messaggio deleterio, aberrante, cialtrone o distruttivo, trova il modo d’insinuarsi in noi, nella nostra mente, nel nostro immaginario, senza che ce ne rendiamo conto. È come una forma d’ipnosi. Sta di fatto che basta uscire per la strada, entrare in un bar, in un centro commerciale, in una scuola, in una sala giochi, e si vedono gli effetti della dipendenza televisiva: la gente di tutte le età mostra sempre meno uno spessore proprio, una sostanza interiore, una personalità, e sempre più si appiattisce su modelli di abbigliamento, di look, di atteggiamenti standardizzati e intercambiabili: stesso taglio di capelli, stessi tatuaggi, stessi pantaloni o gonne o maglie o cappelli o scarpe, stessi occhiali da sole, stesse borse firmate: una omologazione assoluta che tradisce una caduta verticale del gusto personale e un uniformarsi acritico ai modelli comportamentali proposti/imposti dal mezzo televisivo. E non ci si venga a dire che questo è un giudicare superficialmente, e che magari quelle persone possiedono una grande interiorità; insomma che noi pretendiamo di salire in cattedra e dare la pagella al prossimo, senza sapere nulla di lui: sono discorsi di una insulsaggine totale. Se milioni di persone si assomigliano sempre più nel modo di vestire, di acconciarsi, di tatuarsi, ecc., e se si uniformano ai modelli proposti dalla pubblicità, dalla televisione, dai social, fino a cancellare ogni segno della propria personalità pur di aderire al cento per cento al personaggio visto sullo schermo, non ci si venga poi a dire che quella è solo l’apparenza e che la sostanza potrebbe essere del tutto diversa. Sono loro che si mettono l’uniforme, proprio come tanti soldatini: e se lo fanno, è per apparire proprio a quel modo, e non lasciar vedere com’erano prima; questo significa che la loro scelta è quella di annullare se stessi e calarsi in uno stampo universale, uguale per tutti gli altri, peraltro con la ridicola pretesa, sbandierata a parole, di essere speciali, unici, autentici, ecc. ecc. Dunque, sono i fatti a mostrare quel che essi sono diventati e non siamo noi che vogliamo giudicarli. Noi non facciamo altro che prendere atto di come sono, o meglio di come vogliono apparire, nonché del fatto che, per essi, apparire è la cosa più importante, così importante da giustificare anche la rimozione e il nascondimento del proprio essere personale. E la loro intenzione si è attuata così bene, è così ben riuscita, che viene da domandarsi se, al termine di un’operazione mimetica tanto minuziosa, di un mascheramento e un nascondimento così radicali, il loro vero io esista ancora o non sia scomparso del tutto, sepolto sotto strati e strati di apparenze studiate e calcolate.

    CONSIGLIO NUMERO DUE: via dalla pazza folla. La folla, lo notavano fin dall’inizio i pionieri della sociologia, come Gustave Le Bon, è una brutta bestia: non è per niente intelligente, in compenso è dominata dagli istinti primordiali, e chi entra a farne parte, depone i panni dell’uomo civile e razionale e torna ad essere un selvaggio; inoltre cessa di essere un individuo e si annulla nella psiche collettiva che lo può trascinare ovunque, sino a commettere le azioni più abominevoli. Se ci si abitua a stare nella folla anche quando se ne potrebbe fare a meno, ad esempio nel proprio tempo libero, si contraggono tutti i vizi di un’umanità debole, suggestionabile, capricciosa e imprevedibile, insomma amorale, e si abdica al proprio statuto ontologico di persone, per regredire a pecore belanti nel gregge. E non solo bisogna andar via dalla folla; bisogna coltivare poche ma buone amicizie, e, se no, imparare a stare da soli. La solitudine è brutta solo se viene subita come un destino indesiderato; ma se è il prezzo che si paga per liberarsi dai condizionamenti della folla e per riappropriarsi, attraverso il silenzio, della propria interiorità, allora è non solo utile, ma necessaria.

    CONSIGLIO NUMERO TRE: fate le cose con calma; cercate di abolire la fretta, i ritmi convulsi. Sono un pretesto per non occuparvi mai realmente di voi e rimandare alle calende greche un bell’esame di coscienza su voi stessi e la vostra vita. Per quanto ve lo consentono il lavoro e le altre necessità della vita pratica, imponetevi la virtù della lentezza: in compenso fate bene quello che state facendo, di qualunque cosa si tratti. Invece di telefonare, scrivete una lettera; invece di prendere l’ascensore, salite le scale a piedi; invece di buttar via la camicia strappata, provate a rammendarla; invece di guardare la tv, leggete un buon libro, preferibilmente un classico. Abituatevi a non dipendere totalmente dalla tecnologia, a tenere spento il cellulare, a lasciare la macchina in garage quando potreste andare a piedi. Ascoltate il silenzio, cercate di ritemprarvi nella natura. Respirate l’odore della terra, della resina, della pioggia. Andate a letto quando è ora di dormire e alzatevi molto presto il mattino. Ritrovate un ritmo di vita il più possibile naturale. Se siete fumatori, smettete; se vi piace il caffè, limitatevi a un paio al giorno; se amate i cibi soffritti, cambiate dieta, eliminate i grassi, riscoprite la frutta e la verdura. Mangiate con moderazione e masticate lentamente. Le prime ore del mattino sono le migliori: potete fare più lavoro in esse, con risultati più soddisfacenti, che in tutto il resto della giornata. Tenete la schiena dritta, non ingobbitevi, anche per evitare i dolori cervicali. Vi ricordate ancora come si fa a respirare? A respirare profondamente, riempiendo d’aria al massimo i polmoni. Esercitatevi. Oltre che sul piano fisico, avrete un giovamento anche a livello interiore: sentirete un benefico senso di rilassamento, di calma e padronanza di voi stessi.

    CONSIGLIO NUMERO QUATTRO: dedicate del tempo alla preghiera, se siete credenti; se no, alla meditazione. Non i ritagli, non gli avanzi del vostro tempo: a Dio si offrono i fiori più belli. Pregate quando la vostra anima ne ha bisogno, perché senza l’aiuto di Dio non potete far nulla. La preghiera non è un di più, un lusso: è il sale quotidiano della vita; niente preghiera, niente vita soprannaturale. È come se chiudeste Dio fuori della porta. Ma una vita senza Dio è una pallida ombra della vita vera. Chi prega è capace di fare cose eccezionali; chi non prega stenta perfino a svolgere le mansioni quotidiane indispensabili. Sì, lo so: ci sono, voi dite, persone che non pregano, eppure fanno un sacco di cose e hanno molte soddisfazioni. Ma voi che ne sapete? Non sapete nulla. Non sapete né se davvero non pregano; né, posto che non lo facciano, se la loro vita è piena di successi. Questo è quel che si vede dal di fuori; ma è possibile che la loro vita sia, in realtà, un inferno. Un inferno coi soldi e il successo; ma pur sempre l’inferno. Forse quelle persone meditano il suicidio e invidiano proprio voi, con la vostra vita normale, coi vostri semplici affetti.

    CONSIGLIO NUMERO CINQUE: abituatevi a fare a meno delle cose superflue; liberatevi dalle catene del consumismo. Siete circondati da cose inutili e non fate altro che desiderarne sempre di nuove. Però, se ci pensate bene, vi accorgerete che non vi servono. E la stessa cosa vale per le relazioni umane, specialmente sessuali: credete di non poter fare a meno di aver sempre qualcuno lì, a vostra disposizione; ma è solo perché siete rimasti puerili. L’adulto sa bastare a se stesso. Se ama, è perché ha molto da dare e non perché brama di ricevere: è un ricco, non un medicante.

    CONSIGLIO NUMERO SEI: riflettete bene prima di assumere un impegno; ma una volta che lo avete assunto, andate sino in fondo, a costo di qualunque sacrificio. Siate di parola, innanzi tutto con voi stessi. Come possono gli altri prendervi sul serio, se voi per primi non avete fede in voi stessi?

    CONSIGLIO NUMERO SETTE: imparate ad ascoltare e a parlar poco. Se parlate sempre voi, non imparerete nulla, anche se aveste la fortuna di avere Aristotele come compagno di serate al bar.

    CONSIGLIO NUMERO OTTO: imparate a guardarvi intorno. Sapreste descrivere la casa in cui abitate, la via in cui si trova la vostra casa? Sapete che tipo di alberi fiancheggiano il viale? Avete notato se quest’anno, a marzo, sono tornate le rondini; e avete fatto caso se la sera cantano i grilli? Sapete di che colore ha gli occhi vostra moglie? Siete capaci d’inventare delle storie per i vostri bambini? Ricordate il giorno della Prima Comunione o l’emozione di quando vi siete sposati? E se ora vi sentite spenti, annoiati, frustrati, credete sia colpa del mondo che congiura per farvi dispetto?

    CONSIGLIO NUMERO NOVE: Reagite alla tristezza e allo scoraggiamento; conservate l’ingenuità e il candore di quando eravate piccoli. Se il mondo in cui vivete ha perso ogni incanto, allora siete già morti: dei morti asintomatici. Evitate come la peste le persone eternamente negative: sono invidiose della vostra possibile felicità. La tristezza è male, perché offusca lo splendore del creato.

    CONSIGLIO NUMERO DIECI: Cercate la bellezza. Anche nei luoghi e nelle situazioni peggiori, cercatela e la troverete, magari nascosta in un angolo. La bellezza è gioia dell’anima e inno alla vita.

    E adesso buona fortuna: che Dio sia con voi, accompagni i vostri passi e benedica il vostro cammino.
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    di Francesco Lamendola - 06/09/2020

    Fonte: Accademia nuova Italia

    In Australia una madre di famiglia, oltretutto incinta, viene arrestata in casa, sotto gli occhi del convivente e dei figli traumatizzati, e portata via dai poliziotti, in manette, le mani dietro la schiena, come una pericolosa criminale, per aver espresso sui social la sua contrarietà alle misure restrittive adottate dal governo e invitato la gente a protestare contro la presunta emergenza sanitaria: ciò è bastato ad assicurarle un trattamento da delinquente.

    Migliaia di famiglie, in Italia, sono state private dei loro figli, a causa di una congiura pianificata fra gli assistenti sociali, gli esperti di psicologia che collaborano coi servizi sociali, gli assessori alla salute di numerosi comuni, e i giudici per l’infanzia chiamati a decidere sulla revoca della potestà genitoriale, falsificando i dati reali sulla base di una precisa ideologia nemica della famiglia naturale e abusando della disponibilità del pubblico denaro, a vantaggio di soggetti affidatari legati a quegli ambienti da rapporti ideologici e/o di amicizia privata.

    In Svezia si registrano migliaia di stupri di donne da parte dei numerosissimi immigrati islamici, ma la questione all’ordine del giorno è la presunta emergenza climatica e ambientale, questione sollevata da una quindicenne affetta da una sindrome semi-autistica che un giorno alla settimana, sobillata e accompagnata dalla madre ambiziosa e venale, ha inscenato una serie di proteste davanti al Parlamento, subito riprese dalla stampa internazionale, che l’hanno resa tanto famosa da essere ricevuta con tutti gli onori dai vertici dell’Unione Europea e citata dal sedicente papa Bergoglio quale fulgido esempio di generosità e coscienza civile, mentre qualche zelante arcivescovo si è spinto fino a paragonarla alle grandi sante e addirittura a Gesù Cristo.

    In Francia bruciano le chiese: non da ieri, ma da anni; bruciano a decine, ma finché non è toccata al simbolo stesso della storia cristiana della Francia, la basilica di Notre-Dame a Parigi, la stampa ne ha parlato pochissimo, così come ha parlato pochissimo degli innumerevoli atti di vandalismo, blasfemia, sacrilegio che accadono quasi ogni giorno; anche il prete sgozzato sull’altare al momento dell’elevazione Eucaristica, è stato dimenticato in fretta: ma che accadrebbe se ad essere bruciate o vandalizzate fossero le sinagoghe o le moschee? Di cristianofobia nessuno parla. Intanto all’ordine del giorno ci sono gli inasprimenti delle pene contro l’islamofobia, l’antisemitismo e l’omofobia, e il Parlamento francese cerca di approvare una legge che consente l’aborto, in certi casi, fra cui il “disagio plico-sociale”, anche al nono mese di gravidanza.

    Negli Stati Uniti è praticamente in atto una guerra civile fra due schieramenti che fanno capo a due movimenti, uno, conosciutissimo, Blacke Lives Matter, presentato dai media di tutto il mondo in una luce senz’altro positiva, l’altro, QAnon, poco conosciuto e presentato come formato da deliranti complottisti, razzisti e antisemiti: il primo avverso al presidente Trump e ispirato dal Partito Democratico e dal Deep State, grande finanza, mass-media e magistratura in testa; il secondo schierato a difesa di Trump, e richiedente, fra le altre cose, che non sia insabbiata l’inchiesta sulla presunta rete di satanisti e pedofili facente capo all’entourage dei Clinton, nota come Pizza-gate, così come in Italia si sta insabbiando l’inchiesta Angeli e demoni su Bibbiano.

    A Berlino, il 29 agosto 2020 c’è stata un’immensa manifestazione pacifica contro le misure adottate da quel governo in materia di lockdown, peraltro infinitamente meno coercitive di quelle varate in Italia; ma per i giornali e le televisioni mainstream non è successo praticamente nulla, solo una insignificante protesta di “negazionisti” ed estremisti di destra, in pratica neonazisti, prontamente dispersa dalla polizia in quanto i manifestanti non si attenevano alle misure di sicurezza: mascherina e distanziamento sociale. Peccato che le immagini riprese dai telefonini cellulari e messe in onda sui social e su poche reti indipendenti mostrino un fiume di persone, che qualcuno ha valutato in quattro milioni. Poniamo che non fossero quattro, ma due, o uno: si tratterebbe comunque di una delle più grandi manifestazioni di protesta della storia.

    Questi casi, e cento e cento altri che avremmo potuto ricordare, hanno una cosa in comune: tutti tradiscono l’esistenza di una strategia globale di ristrutturazione capitalistica e finanziaria, implicante nuove e inusitate forme di controllo e manipolazione dell’opinione pubblica, nonché la messa a punto di forme repressive sempre più sottili e sempre più mirate. Il che dimostra che i Padroni Universali sono perfettamente consapevoli che il livello di allarme, di contro-informazione e di malcontento sta salendo, e, ben lungi dal lasciarsi cogliere impreparati da eventuali moti di protesta, sono certi di poterli sviare, annacquare, riassorbire mediante tecniche quanto mai raffinate, così come sinora hanno fatto con il voto elettorale. Che si tratti di nascondere ai cittadini la realtà dei fatti mediante una pseudo informazione totalmente manipolata, come neppure Orwell avrebbe saputo immaginare, oppure di intimidire la gente eseguendo arresti esemplari perfino su pacifiche casalinghe incinte; o di far capire all’opinione pubblica che, nella cura dei figli, prima viene lo Stato e poi, forse, la famiglia naturale (come ha detto apertamente, del resto, il governatore dell’Emilia, Bonaccini); o, ancora, di chiudere un occhio, e anche tutti e due, davanti alla campagna di odio e violenze anticristiane che dai Paesi del Sud del mondo è giunta nel cuore dell’Europa, agitando nello stesso tempo lo spauracchio d’improbabili ritorni del nazismo o di fantasiose discriminazioni contro le minoranze sessuali, il copione è lo stesso. Assistiamo perciò a tre fenomeni concomitanti e sincronizzati:1) una ristrutturazione economica, sociale, politica e sanitaria complessiva, volta a trasformare centinaia di milioni di persone in sudditi sottomessi e forzatamene obbedienti, disposti a lavorare per qualunque salario e a subire qualunque tipo di limitazione alle libertà e ai diritti fondamentali; 2) un salto di qualità nella manipolazione sistematica delle notizie da parte dei grandi mezzi d’informazione, tutti ormai controllati dallo stesso potere e solidali nell’escludere qualsiasi evento risulti difforme da ciò che vogliono i padroni della Narrazione Ufficiale; 3) una stretta repressiva attuata con la complicità diretta della magistratura e la tacita connivenza degli organismi di sorveglianza istituzionali, per non parlare dei sindacati e delle associazioni dei consumatori, un tempo così potenti da esser capaci di paralizzare la vita di uno stato nel giro di poche, ma oggi totalmente assenti dalla scena, mentre i governi prendono d’imperio decisioni esiziali tanto per i commercianti che per i consumatori.

    Il giro di vite, naturalmente, parte dai social. Il Potere sa benissimo che ormai la gente si è disaffezionata dai mass-media che esso controlla: i giornali quasi non li legge più, e la televisione, pur se continua a guardarla per pigrizia, sa che non va creduta interamente. Un numero crescente di persone, per cercare di tenersi informata, frequenta la rete e si affida ad alcune radio ove ancora è possibile udire una diversa narrazione dei fatti: ed è su queste ultime fonti di vera informazione che si sta esercitando la pressione, sempre più forte, del Potere. Può darsi che la maggioranza della gente non lo sappia nemmeno (ed è proprio questo il problema: l’assenza di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica), ma oggi è sufficiente una parola, un aggettivo, una mimica del viso, e subito può scattare una censura da Youtube e, a seguire, una denuncia alla magistratura. L’accusa che viene imputata a quanti si adoperano per la libertà d’informazione è sempre la stessa: incitamento all’odio. È commovente sapere che i Padroni del Discorso sono così sensibili e attenti alla tutela dei buoni sentimenti e che vigilano 24 ore su 24 affinché il più terribile di tutti, l’odio, non prevalga e non avveleni le menti degli utenti. Per ottenere un tale risultato, esso si avvale della volonterosa e gratuita collaborazione di uno stuolo di zelanti custodi del Politicamente Corretto, i quali arrivano ad iscriversi a certi canali informatici, e a passare in rassegna tutti i commenti dei lettori, al solo ed unico scopo di trovare quella tale parola, quel tale aggettivo, quella tale mimica facciale, che permettano loro di fare una segnalazione all’autorità e ottenere la censura preventiva di quel testo o quel servizio. Infatti Youtube, o qualsiasi altra piattaforma web, non verifica la fondatezza della segnalazione, se non in un secondo momento: in un primo tempo procede a rimuovere senz’altro il materiale segnalato e accusato di odio verso i clandestini, o verso gli omosessuali, o verso gli ebrei, ecc. ecc. Il che significa che il Potere non ha neanche bisogno di far sorvegliare la rete: c’è già chi ci pensa, spontaneamente e col massimo impegno; un po’ come i vicini di casa si sogno occupati, durante i mesi della clausura ordinata dal governo, di segnalare a polizia e carabinieri i comportamenti non conformi ai decreti.

    La grande novità della strategia per il dominio e la manipolazione globale è il ricorso sistematico e totalizzante, spinto fino alle estreme conseguenze, del terrore permanente. Con l’11 settembre del 2011 i Padroni Universali hanno varato ufficialmente quella stagione, all’insegna del terrorismo di matrice islamica; ora, col 2020, hanno individuato nella pandemia virale uno strumento di terrore più efficace perché invisibile, impalpabile, e la cui effettiva pericolosità può essere stabilita solo dai tecnici e dagli specialisti, quindi non dalle persone comuni. Al limite, non occorre nemmeno che la pandemia ci sia realmente: è sufficiente che un certo numero di esperti e specialisti lo affermi, e tutti i mass-media lo confermino e lo ingigantiscano, e il risultato sarà lo stesso. È, in sostanza, un attacco contro la ragione e contro il buon senso: la realtà non è più quella che si vede e che può essere constatata e valutata da chiunque; no: la realtà è divenuta un’entità misteriosa, inafferrabile, che solo pochissimi sono capaci di vedere e valutare correttamente, per cui è necessario che tutto il resto della popolazione si fidi e si adegui alle loro decisioni. Piccolo dettaglio: quei tecnici e quegli specialisti sono, tutti o quasi tutti, in patente conflitto d’interessi per il fatto che già lavorano per le multinazionali farmaceutiche oppure occupano posti di altissima responsabilità all’interno dei rispettivi sistemi sanitari pubblici, e in certi casi stanno già lavorando - guarda un po’ che combinazione, e com’è piccolo il mondo – alla realizzazione del vaccino per quella malattia, neanche si fossero aspettati quel che poi è accaduto. Quando si dice che le vie della divina Provvidenza sono infinite e incomprensibili allo sguardo del comune mortale. È chiaro che per inventarsi una pandemia, o anche solo per esagerarla quanto basta a ottenere lo scopo, ossia il terrore fra la popolazione, è necessario manipolare spregiudicatamente i dati, cominciando dal numero dei contagiati e dei deceduti, e soprattutto giocando sulla confusione, largamente diffusa fra la gente ma assolutamente inconcepibile per un vero biologo, fra ammalati e portatori sani. Ma questo non è certo un problema, quando si controlla tutta l’informazione e si può contare sulla collaborazione interessata di molti virologi ed epidemiologi e funzionari di istituiti sanitari nazionali e internazionali, fino all’O.M.S.

    Se la gente, fin dall’inizio, si fosse presa la briga di consultare i dati ufficiali, quelli pubblicati dall’I.S.T.A.T. e dall’Istituto Superiore della Sanità, anziché prendere per buoni quelli sparati ogni giorno dai giornalisti di regime, ottenuti mescolando arbitrariamente e tendenziosamente quei dati, ad esempio calcolando come morti di Covid-19 anche degli ottuagenari che erano già morenti per altre gravi patologie, oppure facendo credere che i portatori asintomatici sono equiparabili ai malati, senza dubbio avrebbe modo di capire quale perfido gigantesco inganno venga ordito a loro danno da chi ha i mezzi per fare una cosa del genere. E se la smettesse di dare ascolto a personalità pubbliche come Mario Draghi, il quale vorrebbe fare il tampone a tutta la popolazione, o a giornalisti come David Parenzo, che chiede a gran voce, in ogni occasione possibile, la vaccinazione antinfluenzale di massa, e ciò se non altro perché i risultati del tampone sono erronei nell’80% dei casi, mentre la protezione offerta dal vaccino è inferiore al 50%, ma anche perché entrambe le pratiche, in diversa maniera, danneggiano il sistema immunitario e perciò favoriscono, e non limitano, la diffusione dei virus, forse si troverebbe in una posizione migliore per fare delle scelte e decidere cosa sia meglio. Fermo restando che la salvaguardia della propria salute è e resta una faccenda del tutto personale e che qualsiasi trattamento sanitario non autorizzato esplicitamente dal cittadino si qualifica come una gravissima violazione dei diritti fondamentali operata dallo Stato e dalle pubbliche autorità. Da quando lo Stato è così interessato a tutelare la salute della gente? E da quando si riserva di decidere, scavalcando la volontà dei cittadini e, nel caso dei minori, quella dei loro genitori, ciò che è giusto fare in presenza di un pericolo, peraltro non dimostrato e sul quale esistono molti e fondati dubbi? È lo stesso Stato che concorda l’acquisto di milioni di vaccini da quel Bill Gates che ha già causato 500.000 casi di poliomielite fra i bambini dell’India, a causa dei suoi farmaci e dei suoi vaccini, e che è fortemente sospettato di aver avuto parte nella diffusione del Covid-19, visto che da anni stava lavorando al modello teorico di una pandemia mondiale del tutto simile a quella diffusa tra la fine del 2019 e i primi mesi del ‘20? Ed è lo stesso Stato che si adopera con tanta efficacia a travisare, minimizzare e rimuovere notizie come quella della grandiosa manifestazione di Berlino della fine di agosto? In tal caso, preghiamo Dio che ce la mandi buona…
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