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Posts written by Tursiops

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    Il coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) è un mammifero roditore della famiglia dei Leporidi, originario della penisola Iberica e diffuso nell’Africa settentrionale e nell’Europa centro-meridionale. E’ lungo circa 50 cm e pesa circa 1-2 Kg. Presenta una colorazione del corpo grigio-giallastra sulla parte superiore mentre la parte inferiore e la coda risultano bianche.
    Questo piccolo lagomorfe ricorda sia la lepre che il coniglio domestico ma le principali differenze riguardano:
    – il capo: è breve, leggermente compresso e presenta un’ampia cavità cranica;
    – gli occhi: grandi, sporgenti e muniti di brevi palpebre;
    – le orecchie: ben sviluppate ma più piccole sia di quelle della lepre che del coniglio domestico.

    La selezione delle razze domestiche di coniglio ha influito sulle loro caratteristiche come avviene anche per le altre specie animali allevate dall’uomo.
    I conigli sono animali prolifici difatti le femmine entrano in calore ogni 2-3 settimane, la gravidanza dura circa 1 mese e le figliate sono costituite in media da 7-8 cuccioli. Questi nascono nudi e ciechi e dipendono completamente dalle cure parentali anche se il loro ritmo di crescita è molto rapido.
    I giovani conigli saranno in grado di riprodursi tra il quinto e l’ottavo mese anche se lo sviluppo completo si ha al compimento di un anno di vita.
    In base alle condizioni fisiche ed ambientali una femmina di coniglio selvatico può partorire mediamente 6 volte in un anno.
    A Buccinasco il coniglio selvatico presenta un buon areale di diffusione e durante le mie osservazioni ho potuto individuare alcune colonie principali. Queste ultime sono site in Spina Verde, vicino al cavo Belgioioso, nei pressi di via Salieri; nella zona del fontanile Battiloca e in diverse aree del Parco Agricolo Sud Milano tra cui i laghetti Pastorini e i campi di fronte al Lago Santa Maria.
    Considero il coniglio selvatico un simpatico abitante della nostra Pianura, sempre attento e pronto a scappare al minimo segnale di pericolo. Questa sua caratteristica unita alla perfetta mimetizzazione del suo mantello con l’ambiente, rende questo animale di difficile osservazione.
    Spesso però, durante le escursioni in campagna, siano esse a piedi o in bicicletta, gli occhi dei conigli ci scrutano nascosti tra i campi o dietro qualche cespuglio.

    Una patologia che affligge questi animali è la mixomatosi. Questa è una malattia virale altamente contagiosa, con elevata mortalità, che colpisce i conigli selvatici e domestici ma raramente la lepre. Il coniglio selvatico – o europeo – (Oryctolagus cuniculus) risulta essere la specie maggiormente interessata. Le specie americane invece (Sylvilagus sp. o minilepre) si ammalano con una frequenza minore.
    La mixomatosi può essere trasmessa sia direttamente mediante via respiratoria, lesioni o tramite l’accoppiamento, che indirettamente tramite alcuni vettori quali insetti e artropodi. Tra di essi si annoverano zanzare, pulci, zecche, acari, etc.
    Questa patologia fu segnalata per la prima volta nel 1896 in Sud America poi intorno al 1950 circa, sia in Australia che in Francia la malattia è stata diffusa deliberatamente al fine di diminuire la popolazione di conigli in quanto arrecavano problemi alla flora e all’agricoltura locale.
    All’inizio si ottennero dei risultati ma di breve durata in quanto il virus si attenuò e questo provocò il non raggiungimento dell’obiettivo fissato e la patologia si diffuse in tutta Europa divenendo endemica e decimando popolazioni selvatiche.

    Esistono due forme cliniche di questa malattia. La forma classica si manifesta solitamente in tarda estate e il coniglio colpito presenta lesioni nodulari, congiuntivite e rigonfiamenti cutanei; la mortalità è alta, la trasmissione avviene per vie indirette e la diagnosi risulta facile. La forma atipica o respiratoria invece si manifesta durante tutto l’anno e l’animale va incontro a congiuntivite spesso seguita poi da sintomi respiratori; si ha una maggior mortalità prenatale, la trasmissione avviene per vie dirette e la diagnosi risulta essere più difficile.
    A tutt’oggi non esistono cure per la mixomatosi; può essere però limitata adottando, soprattutto negli allevamenti, misure di prevenzione igienico-sanitaria specifiche come: disinfezioni regolari e frequenti, lotta ai vettori (mosche, zanzare), miglioramento delle condizioni ambientali in generale.
    In base alla legislazione vigente, che fa capo all’l’Ordinanza 8 settembre 1990 “Norme per la
    profilassi della malattia virale emorragica del coniglio”, la mixomatosi è una malattia a denuncia obbligatoria ed eventuali segnalazioni devono essere riportate alle autorità sanitarie che adotteranno gli adeguati provvedimenti.
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    L’oca cignoide (Cygnopsis cygnoides) è una specie avicola selvatica, originaria dell’Asia orientale che viene allevata principalmente a scopo ornamentale.
    Il suo nome si riferisce al portamento fiero ed elegante di questo palmipede che lo fa assomigliare ad un cigno, soprattutto se visto nuotare.
    Il piumaggio del corpo e’ grigio – bruno mentre il collo presenta una colorazione nocciola. Il ventre e’ chiaro con sfumature marroni.
    Il becco, robusto, e’ di colore nero e presenta una particolare protuberanza alla sua base.
    Fin dall’antichità l’uomo ha addomesticato e allevato le oche e questo ha comportato delle mutazioni rispetto alle specie selvatiche. Tali variazioni sono state selezionate dagli allevatori a seconda delle esigenze richieste.
    Passeggiando per i parchi nostrani, sarà capitato a molti di incontrare questi simpatici inquilini che io definisco “i guardiani del parco”.
    Qui di seguito sono elencate le principali razze di oche che si possono osservare nelle aree verdi del nostro territorio:

    – oca cignoide di razza cinese: si tratta della razza più comune presente a Buccinasco ed è quella descritta poco sopra. Può raggiungere i 5 kg di peso e presenta una protuberanza sul becco. Questa caratteristica, come la poca attitudine al volo e la posizione eretta della postura, sono i risultati di una selezione che dura da molto tempo. Si tratta di individuare nell’animale alcuni “difetti” che attraverso il tempo divengono “pregi” tipici e caratteristici in grado di rendere un esemplare bello e ricercato.

    – oca padovana: denominata anche “grigia di Padova”, può raggiungere i 7 kg di peso. La livrea è molto simile all’oca selvatica e si presenta quindi di un colore grigio – brunastro con sfumature bianche sul ventre. Il becco è giallo arancio. L’oca padovana presenta nella regione ventrale un doppio fanone che costituisce un deposito di grasso.
    – oca romagnola o italiana: si differenzia dalle atre per via della colorazione bianca della sua livrea e del becco arancione. Raggiunge i 5 kg di peso. Le zampe sono di colore rosso aranciato.

    A Spina Azzurra sono presenti attualmente due gruppi di oche per un totale di circa 20 esemplari.
    Qui è anche possibile notare un individuo con una colorazione caratteristica del becco. Quest’ultimo infatti risulta essere arancione ma con un’unghia terminale nera. Tale caratteristica si osserva solo negli individui meticci derivati dall’incrocio tra Anser anser e Cygnopsis cygnoides.
    Al fontanile Mortisia sono presenti attualmente 3 esemplari di oca cignoide che reclamano, con il loro verso rauco ma caratteristico, i loro spazi.
    Al fontanile Battiloca invece le oche cignoidi sono state vittime e protagoniste di alcune vicissitudini. Fino alla primavera del 2007, presso questo fontanile, vivevano pacificamente 5 esemplari di razza cinese. Prima dell’estate dello stesso anno, purtroppo, queste oche furono uccise. Questi uccelli, avendo una scarsa attitudine al volo sono molto vulnerabili in particolare alla predazione da parte di cani e altri animali ma non solo.
    Bisogna attendere l’estate del 2008 per poter rivedere nuovamente alcuni esemplari di oca cignoide cinese assieme ad alcuni individui di oca romagnola nuotare tra le acque del fontanile.
    Purtroppo però, solamente 2 settimane dopo che il Comune di Buccinasco aveva reintrodotto questi esemplari, sono scomparsi alcuni individui e attualmente ne sono rimasti solo 4.
    La presenza delle oche cignoidi e delle altre razze, oltre ad essere piacevole dal punto di vista ornamentale, allieta le passeggiate e riempie di vita gli spazi verdi di Buccinasco rendendo questi posti magici e unici.
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    Parchi e giardini: nomi ma soprattutto luoghi ben caratteristici dell’identità di Buccinasco. Tali zone costituiscono quello che viene definito “verde urbano”.

    Nel nostro Comune esistono varie tipologie di aree verdi ma spesso le funzioni che esse svolgono sono poco conosciute alla maggior parte di noi.

    Oltre ai parchi urbani e ai giardini privati è importante citare il verde stradale, le aiuole spartitraffico, le rotatorie, i viali ed i piazzali alberati, il verde sportivo, scolastico e di quartiere.

    Ognuna di queste tipologie di verde urbano svolge una o più determinate funzioni atte a migliorare le condizioni abitative dei residenti.

    Parchi. I parchi sono aree verdi di diversa estensione situati in zone urbane o suburbane atti a svolgere determinate funzioni. I principali parchi di Buccinasco sono: Spina Azzurra, Spina Verde, Mortisia, Scarlatti, Salieri, Passeggiata Rossini, Via Emilia, Robbiolo. Esistono anche altri parchi con particolari caratteristiche che si inseriscono in contesti tematici o paesaggistici. Alcuni esempi sono la via della Musica, il parco della poesia, il parco delle fate, il parco di Alice, il parco Morandi – Scirea. I parchi urbani spesso sono suddivisi in zone proprio a seconda della funzione che svolgono.

    Giardini. I giardini, nello specifico quelli residenziali, sono anche essi aree verdi ma a differenza dei parchi presentano dimensioni più contenute e sono privati. Nonostante ciò la loro progettazione deve riferirsi all’ambiente circostante.

    Esprimendosi con una metafora si possono assimilare i parchi a delle isole mentre i giardini a delle piccole oasi per piante, insetti e animali (soprattutto uccelli) dove la natura può trovare un ambiente più o meno adatto alla propria sopravvivenza.

    Diversi sono i ruoli e le funzioni cui adibiscono queste aree verdi e tra esse vi sono: la funzione estetica o architettonica che aiuta a migliorare il paesaggio urbano e rende più gradevole la permanenza in città. La funzione sociale, ricreativa o di svagonche rendono più vivibile la città sia per le famiglie (si pensi ad esempio agli spazi giochi per i bambini) che per gli appassionati di sport.

    La funzione igienica in termini di benessere psicologico e di rigenerazione umorale grazie al contatto con la natura.

    La funzione ecologica o ambientale contribuisce invece alla mitigazione degli effetti di degrado e degli impatti dovuti alla presenza di infrastrutture, di edifici e dalle attività umane. Le aree verdi concorrono a regolare il microclima cittadino e a diminuire la frammentazione degli habitat. Legata a questa funzione vi è anche quella protettiva in quanto il verde può rinforzare il territorio (argini, zone franose, ecc.) e svolgere il compito di barriera verso le intemperie e i rumori dovuti ai mezzi di trasporto.

    La funzione culturale e didattica che favorisce la conoscenza delle scienze naturali e dell’ambiente presso tutti i cittadini che usufruiscono di queste strutture. Il verde scolastico ad esempio è utile per permettere ai bambini di osservare i colori delle stagioni e soprattutto di stare a contatto con la natura imparando a comprenderla, viverla e rispettarla.

    La funzione più importante che svolgono le aree verdi urbane è soprattutto quella che vede al centro il contatto e il rapporto tra l’uomo e la natura. Un legame emozionante, indissolubile e vitale che grazie a questi spazi trova la sua celebrazione quotidiana. Parchi e giardini inoltre sono fondamentali per la tutela della biodiversità (in particolare quella urbana) e, di conseguenza, per il mantenimento dell’equilibrio e della salute del territorio, dei suoi abitanti e degli ambienti circostanti. I parchi appartengono sia a noi sia alla flora e alla fauna che ci vive. Sono i polmoni della nostra città ed è nostro dovere curarli con amore e rispetto.
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    Gli insetti sono una classe di organismi viventi, invertebrati, appartenenti al vastissimo phylum degli Artropodi. Le più antiche forme fossili ritrovate di insetti risalgono al periodo Devoniano ovvero a circa 400 milioni di anni fa.

    Sono ampiamente diffusi e ciò li ha portati ad interagire con la flora, la fauna e l’uomo. L’entomologia è la scienza che si occupa propriamente dello studio degli insetti, dalla loro biologia alla loro ecologia.

    Questi organismi presentano una cospicua varietà di forme e dimensioni e si possono riconoscere due gruppi di insetti in base ad una loro importante funzione ovvero la capacità di volare. Si hanno quindi insetti atterigoti (privi di ali) e pterigoti (provvisti di ali).

    Nel nostro Comune vivono moltissime varietà di artropodi: ragni o aracnidi, diversi coleotteri, lepidotteri, ditteri, libellule, damigelle, pulci d’acqua, farfalle, api, lucciole. Queste ultime costituiscono una presenza ormai costante sul nostro territorio, segno che l’ambiente in cui viviamo gode di ottima salute. Alcuni ordini di insetti, grazie alle loro particolari caratteristiche, vengono impiegati come indicatori ambientali.

    Tra le molteplici interazioni che questi animali ricoprono, ve ne sono due particolarmente interessanti.

    Il microcosmo e l’agricoltura. L’entomofauna che interagisce con l’ambiente rurale può comportare sia svantaggi (danni alle colture ad esempio) che benefici e questi ultimi sono più importanti e consistenti rispetto ai primi. Tra le varie funzioni che svolgono gli artropodi è d’obbligo citare l’impollinazione (chiamata entomofila) che permette a molte piante di riprodursi e diffondersi. Tali insetti, come le api, vengono definiti pronubi e, nella fattispecie, sono molto rinomate grazie al loro miele. Altri insetti invece, che vengono definiti ausiliari, sono impiegati nella così detta lotta biologica. Questa tecnica di difesa agraria sfrutta la capacità di predazione e/o parassitismo che determinati insetti svolgono nei confronti di specie fitofaghe, ovvero che si cibano di piante. Tra gli insetti utili si possono citare le coccinelle, i ditteri sirfidi (simili a bombi, vespe, ecc.), i crisopidi, i ragni e molti altri. Diversi insetti inoltre svolgono un ruolo molto importante nella decomposizione delle sostanze organiche morte e sono chiamati saprofagi.

    La presenza del microcosmo è di vitale importanza per la stabilità dell’equilibrio naturale e per il mantenimento della biodiversità.

    Il microcosmo e l’ambiente domestico. A molte persone sarà capitato di incontrare in casa qualche insetto. Tipici “inquilini” sono ad esempio i “pesciolini d’argento”, le coccinelle, i ragni, gli acari, le zanzare e alcuni miriapodi ma l’elenco può continuare. La maggior parte di noi però ignora che coccinelle, ragni e miriapodi ad esempio sono dei nostri perfetti alleati mentre altri artropodi come i tisanuri (pesciolini d’argento) o le cimici sono assolutamente innocui. Spesso è facile lasciarsi prendere dai pregiudizi e uccidere un piccolo insetto solo perché lo si reputa fastidioso, brutto o inutile. Se però proviamo a fermarci, ad osservare e conoscere meglio il mondo che ci circonda, anche quello più piccolo o “alieno” degli artropodi, impareremo che anche loro meritano il nostro rispetto. Quando si decide di allontanare un insetto è consigliabile racchiuderlo in un bicchiere, tapparne l’apertura con un pezzo di carta e liberarlo all’esterno. Un piccolo gesto di sensibilità e amore per la natura che oltre a salvare la vita di questi animali, ci aiuterà a superare fobie spesso infondate e a stare bene con noi stessi.
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    La Natura è l’insieme delle componenti viventi (fauna, flora, microrganismi), non viventi (acqua, rocce, terra, aria, etc.) e dei fenomeni e relazioni che intercorrono tra essi.

    Buccinasco è un Comune che per buona parte del suo territorio è perfettamente integrato in un contesto naturalistico vivo e a tratti ancora incontaminato. E’ nota ad esempio la presenza di popolazioni endemiche sia di animali che di piante. Proprio ad alcuni fontanili nostrani è stato conferito un alto valore di pregio a livello naturalistico.

    Progeco - Ambiente & Natura è un’associazione che opera sul territorio di Buccinasco, e non solo, e si occupa della tutela della biodiversità e degli habitat, ovvero dei vari ambienti e più in generale degli ecosistemi presenti sul nostro territorio.

    Di seguito vengono riportati alcuni tra i progetti e le attività che l’associazione svolge sul territorio e per le quali la cittadinanza è chiamata a partecipare e ad essere coinvolta. Ciò rappresenta anche un modo per esprimere, praticare e approfondire le proprie passioni, i propri studi e curiosità.

    Il Biowatching ovvero l’osservazione della diversità delle forme di vita presenti nei vari ambienti. Per praticare questa attività occorre conoscere le linee guida principali atte al rispetto della natura stessa e che si prefiggono lo scopo di lasciare intatte tutte le componenti biotiche in modo che anche altri possano a loro volta osservarle e conoscerle.

    Il Birdwatching è l’osservazione degli uccelli. Questi animali grazie alla loro eleganza, alla loro diffusione e adattabilità sono tra i soggetti più facili da vedere e riconoscere.

    L’Insectwatching consiste nel ricercare e osservare il microcosmo ovvero il mondo degli artropodi che merita molte attenzione perché proprio dagli insetti dipende la salute dell’ambiente e di conseguenza degli altri animali.

    Progeco, in base a queste attività e grazie a coloro che saranno interessati a parteciparvi, si prefigge lo scopo di redarre atlanti e checklist per monitorare lo stato di salute del nostro territorio, una sorta di “rete ecologica” che grazie alla passione dei cittadini e con il supporto delle tecnologie (internet, fotocamere e altri supporti multimediali) rappresenta un valido strumento per la salvaguardia della biodiversità, degli ecosistemi e di una loro più oculata gestione.

    Come abbiamo visto precedentemente, Buccinasco è un Comune ricco di avifauna e pertanto Progeco è interessata a creare un gruppo di Birdwatchers con lo scopo di studiare, avvistare e monitorare la presenza di ornitofauna sull’intero territorio comunale. Il birdwatching non ha solo una valenza ricreativa bensì anche scientifica.

    Oltre ad attività di monitoraggio è possibile partecipare a progetti di conservazione naturalistica atti alla valorizzazione ma soprattutto alla salvaguardia della natura stessa come risorsa per l’intero territorio. Escursioni esplorative e didattiche, collaborazioni con le scuole alla scoperta della natura che ci circonda sono solo alcuni degli obiettivi che Progeco mette a disposizione della cittadinanza.

    Per coloro che fossero interessati ad avere maggiori informazioni, a partecipare alle diverse attività e ad approfondire le diverse tematiche naturalistiche, è consultabile il sito web dell’associazione all’indirizzo http://progeconatura.com
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    In questi ultimi decenni si sta assistendo ad un’espansione delle attività antropiche più veloce rispetto alla capacità portante del territorio stesso. Case, fabbriche e aziende si stanno sempre più spingendo verso zone prima d’ora incontaminate dove ha trovato rifugio la fauna selvatica. Vedendo sempre più ristretto e modificato il proprio habitat, molti animali si sono adattati a vivere nel nuovo “ecosistema urbano” e ciò ha comportato anche la comparsa di problemi di convivenza tra uomo e animale.

    Spesso però questi problemi non sono causati dalla presenza della specie in quanto tale ma dalla propria densità in un determinato ambiente.

    Alcuni dei principali motivi per cui si possono creare problemi di convivenza sono da ricercare proprio nelle condizioni che la città offre come la disponibilità di cibo (rifiuti abbandonati), il clima mite d’inverno (l’inquinamento favorisce l’innalzamento delle temperature), la mancanza di adeguati predatori.

    Sono proprio le attività umane la principale causa degli squilibri ambientali e ciò avviene sia direttamente che indirettamente ad esempio l’agricoltura intensiva e gli allevamenti compromettono la varietà degli habitat e alterano la disponibilità di cibo, i ripopolamenti e l’attività venatoria contribuiscono in maniera forte al degrado dell’ambiente creando inquinamento ambientale, genetico e intaccando le fondamenta ecologiche della natura.

    Quali allora possono essere i metodi per fronteggiare queste problematiche? Ne esistono diversi che riguardano il mantenimento di una corretta igiene urbana, la prevenzione e la conservazione della natura in tutte le sue forme. Vorrei però porre l’attenzione su un metodo – ecologico – che sta avendo ottime prospettive su diverse specie animali: tale metodo è il controllo della fertilità tramite sterilizzazione.

    Esistono molti studi che dimostrano come questa tecnica possa essere utilizzata con successo proprio nel prevenire i danni causati dalla fauna selvatica in ambito urbano e sub-urbano.

    Il controllo della fertilità consiste nell’impiego di tecniche per limitare il proliferare di determinate specie animali, in particolare mammiferi e uccelli. Esistono tre strategie generali per eseguire ciò: la sterilizzazione chirurgica, la regolazione endocrina e l’immunocontraccezione. Mentre le ultime due tecniche sono oggetto di studi e ricerche, la sterilizzazione chirurgica invece viene già utilizzata con successo sugli animali domestici (cani, gatti e altri animali da compagnia) e in questi ultimi anni vede la sua applicazione anche alla fauna selvatica presente in parchi, oasi e zone urbane. Ancora oggi per limitare i danni della fauna si ricorre spesso ad una pratica eticamente inaccettabile e tecnicamente non risolutiva e anzi spesso fallimentare e peggiorativa, come l’abbattimento.

    Per comprendere meglio quale sia la corretta modalità di intervento sulle popolazioni animali occorre pensare a queste ultime come un albero ma soprattutto è molto importante sapere che tutta la natura (animali, piante, microrganismi, atomi e molecole) vive in equilibrio o tende a raggiungerlo se perturbata. Immaginiamo ora di avere di fronte a noi una pianta. Se tagliamo i rami laterali essa crescerà molto verso l’alto, viceversa se tagliamo la sua cima allora la mia pianta si svilupperà molto in larghezza, ai lati. Questo perché tutti gi esseri viventi sono entità dinamiche e tendono sempre a bilanciare il proprio equilibrio e quello dell’ambiente circostante.

    Prendiamo ora un esempio pratico: in un campo sono presenti degli animali che si cibano delle coltivazioni ivi presenti. Tali animali possono essere cinghiali, cervi, conigli, piccioni, etc. In natura qualunque popolazione è stabilizzata da fattori limitanti (quali competizioni, risorse trofiche, etc.) ma in campagna o in zone urbane questi fattori sono sconvolti e sbilanciati per cui, onde raggiungere l’equilibrio, l’animale in questione adotta delle risposte in conseguenza a quanto presente. Se vi è cibo in abbondanza allora si avrà un aumento del tasso di natalità. Per contrastare questa espansione l’abbattimento è la scelta sbagliata perché diminuendo il numero di individui (in modo indiscriminato) si va ulteriormente a destabilizzare la popolazione stessa e parimenti si rendono disponibili nuovamente alcune risorse alimentari. Ciò ha come conseguenza un ulteriore aumento del tasso di natalità fra gli individui rimasti e per di più si favorisce anche il tasso di immigrazione.

    Il controllo della fertilità invece consente di mantenere costante il numero di individui ma blocca il tasso di natalità. Siccome poi gli animali sono territoriali (tendono cioè a difendere i loro spazi vitali) si ha che anche il tasso di immigrazione viene di gran lunga ridimensionato, al pari della capacità portante intrinseca dell’ambiente.

    Se da una popolazione ipotetica di 10 animali tramite l’abbattimento, col tempo, se ne otterrà una di 100 individui con tutti i danni che ne conseguono; utilizzando la sterilizzazione, invece, da una popolazione di 10 animali se ne ottiene una di 50 con danni più contenuti che col tempo diminuiranno sempre più. Non è giusto che per colpa dell’uomo, delle creature innocenti paghino con la vita. Non bisogna intervenire contro natura ma secondo natura. Solo così sarà possibile una sempre miglior convivenza tra uomo, animali e ambiente, per il bene di tutti.
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    17/12/2020 - Da alcuni decenni la scienza viene utilizzata come strumento finanziario e politico, discostandosi sempre più dal suo vero obbiettivo: ampliare la conoscenza per migliorare le condizioni dell'umanità a tutela dell'ambiente che ci ospita.
    Sovente infatti si leggono e si sentono notizie pseudo-scientifiche proferite da fonti per nulla affidabili come giornali, tv, enti e istituzioni alle cui spalle si celano i magnati della finanza, della politica, del green new deal e di Big Pharma.
    L'opinione pubblica ormai si è crogiolata nella pigrizia intellettuale: si fermano alle parole del titolo, ai proclami di sedicenti esperti (di cosa poi?) rinunciando però alla costruzione di un proprio e fondamentale pensiero critico, abdicando inoltre a porsi dubbi e domande perchè ciò significa "sforarsi" di capire, ragionare, studiare, imparare e in ultima anali PENSARE LIBERAMENTE.
    E così è diventato facile per gli spin doctors della (dis)informazione - vale a dire quella dei media mainstream - manipolare e alterare la percezione degli eventi e delle informazioni appunto.
    Metabioevoluzione.science si prefigge, tra i vari obbiettivi, quello di insegnare e condividere con il pubblico i metodi e le vere informazioni che riguardano veramente il mondo che ci circonda. Un mondo splendido, in ottima salute ma che va comunque protetto dall'avidità e dall'ingordigia di uno sparuto gruppo di magnati che fanno leva sull'ignoranza della popolazione umana.
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    di Francesco Lamendola - 24/04/2021

    Fonte: Accademia nuova Italia

    L’aspetto più sconcertante della situazione attuale, determinata dalla falsa pandemia di Covid-19 e dalla pretestuosa emergenza sanitaria che si è attuata, sin dal principio, nelle forme di una vera e propria dittatura, ma col pretesto della difesa sanitaria, è il fatto che pochissime persone sono in grado, più che in qualsiasi altro momento della storia, di far fare tutto ciò che vogliono a un grandissimo numero di persone. In pratica, alcune centinanti d’individui sono riusciti a imporre la loro agenda alla quasi totalità della popolazione mondiale, con la sola significativa eccezione della Russia e di pochi altri Stati, che sono perciò nel mirino del Deep State e della Deep Church. Ma come è potuto accadere?

    Sapevamo già da tempo che i persuasori occulti, radio, televisione, cinema, sono in grado di influenzare ampiamente il nostro immaginario e di orientare le nostre scelte pratiche; così come sapevamo da tempo che la democrazia moderna, nella quale milioni di persone eleggono poche decine di rappresentanti con il patto teorico che essi, una volta insediati in parlamento, agiranno sempre e comunque nell’interesse del popolo, è solo una fragile finzione, per non dire una solenne ipocrisia. Tuttavia, confessiamolo sinceramente: ben pochi di noi avrebbero immaginato che il condizionamento mentale della gente fosse arrivato al punto in cui si manifesta oggi, sotto la pressione degli eventi messi in moto a partire dalla proclamazione della pandemia da parte dell’OMS (principale finanziatore: Bill Gates, lo stesso che vende i vaccini). Come non vedere che c’è una relazione di causa ed effetto fra la cosiddetta emergenza sanitaria e l’interesse delle grandi case farmaceutiche, produttrici dei cosiddetti vaccini (cosiddetti perché non danno immunità, e dunque non sono vaccini)? E come non trarre le debite conclusioni dal fatto, acclarato sin dall’inizio della cosiddetta emergenza, che lo stesso Bill Gates stesse conducendo da anni simulazioni per una prossima pandemia da Covid-19, e che di ciò parlassero apertamente i massimi esponenti della oligarchia finanziaria? E dal fatto che prima del marzo 2020 ci furono grossi e strani movimenti di capitale finanziario, vale a dire massicci investimenti in borsa dei suddetti oligarchi in fondi azionari che “scommettevano” su un imminente evento catastrofico, realizzando così, al momento giusto, dei profitti da capogiro?

    Ancora: come non vedere che la cremazione dei cadaveri, nella fase iniziale dell’emergenza, rendeva impossibile il riconoscimento della vera natura della malattia e delle sue manifestazioni, il che avrebbe consentito di salvare molte vite nel futuro immediato? O che nei protocolli sanitari c’era qualcosa di profondamente sbagliato, che determinava l’alto numero di decessi fra i pazienti che venivano sottoposti a respirazione artificiale mediante l’intubazione? Che è a dir poco sospetto il fatto che sia stata messo fuori legge un farmaco sperimentato, efficace ed estremamente economico, e che solo l’azione legale di alcuni medici onesti sia valsa a far revocare l’inaudito provvedimento? Che per tredici mesi le autorità, i giornali, i sedicenti esperti, nonché uno stuolo di opinionisti dalla dubbia autorevolezza, abbiano parlato sempre e solo di vaccini e mai delle cure, specialmente delle cure domestiche, e del regime di vita sano e naturale che concorre a preservare la buona salute e a far sviluppare gli anticorpi nell’organismo umano? E, per quel che riguarda i credenti, ma in effetti anche per i non credenti: non è insolito, non è strano, non è sospetto che il papa, invece di parlare delle cose spirituali, della salvezza dell’anima, della grazia di Dio, si sia concentrato sul presunto dovere morale di vaccinarsi (con vaccini ottenuti utilizzando anche linee cellulari di feti abortiti!), e abbia dato il “buon” esempio imponendo la vaccinazione ai dipendenti e ai residenti nella Città del Vaticano, a cominciare dalle Guardie svizzere?

    Ma andiamo con ordine. Logica e buon senso, abbiamo detto. Cominciamo dalla logica. La logica ci dice che devono esistere una consequenzialità e una corrispondenza tra il fatto A e il fatto B, prima che si possa andare in giro strillando ai quattro venti che il fatto B è la conseguenza del fatto A; e, per lo stesso motivo, che esistono argomenti razionali per mostrare che il fatto B non ha nulla a che vedere con il fatto A, per quanto il coro unanime dei mass-media, asserviti all’oligarchia finanziaria, dica e ripeta tutti i santi giorni qualcosa che va diametralmente contro il principio di identità e il principio di non contraddizione (A è A e A non è B). Il fatto B è la (presunta) pandemia, il fatto A è la mortalità effettiva registrata nella popolazione. Partiamo dall’assunto che morire si deve e che ogni anno la popolazione subisce gli effetti della mortalità naturale, legata soprattutto all’età e dunque particolarmente incisiva in un Paese, come l’Italia, ma ciò vale anche per gli altri Paesi dell’Europa occidentale, dove la popolazione media è di età decisamente avanzata. Ora, per capire se una pandemia è in atto oppure no, basta evidentemente confrontare i dati della mortalità degli anni scorsi con quelli del 2020. E cosa dicono i dati reali (non quelli snocciolati dai giornali venduti al potere, o dai telegiornali altrettanto venduti e inguardabili, ma quelli resi noti dalle agenzie ufficiali di statistica)? Che le persone decedute nel 2020 sono state in numero inferiore a quelle decedute nel 2019. E questo nonostante si sia fatto di tutto per gonfiare i dati sulla mortalità dovuta al Covid-19, certificando come deceduti a causa del Covid-19 dei pazienti che erano affetti da altre gravi patologie e che erano già in fase terminale quando furono ricoverati per il Covid-19. È chiaro che, se ci fosse una pandemia, il numero dei decessi del 2020 dovrebbe essere di molto superiore a quello degli anni precedenti: oltre alle morti “ordinarie”, ci dovrebbero essere quelle dovute al Covid-19, e i due dati, sommandosi, spiegherebbero l’impennata della curva nel diagramma della mortalità. Perciò, a rigore di logica, i casi sono due: o dal 2020, inspiegabilmente e repentinamente, nessuno muore più d’infarto, di tumore, di diabete e di altre patologie, compresa la normale influenza e la normale, conseguente polmonite, le quali ogni anno mietono, soprattutto fra le persone più anziane e indebolite, molte migliaia di vittime; oppure non c’è alcuna pandemia, e tutto quel che ci hanno raccontato in proposito è solo una gigantesca, vergognosa, criminale menzogna. Tertium non datur.

    Ma la logica, si dirà, è una cosa troppo sofisticata, e la maggior parte della gente non ne fa uso per le proprie necessità quotidiane. Noi crediamo che ciò sia falso e che la logica, sia pure a livello istintivo ed elementare, venga sempre utilizzata da tutti nel corso delle loro normali attività e delle normali situazioni della vita di ogni giorno. Tuttavia, per amore d’ipotesi, facciamo conto che sia così: che la gente comune non adoperi la logica, ma si fidi sempre e comunque di ciò che le viene detto. Ebbene, in tal caso rimane il buon senso. Il buon senso emerge dai dati ordinari forniti dall’esperienza e utilizza soprattutto il criterio di comparazione: se io so, per averla vista e sperimentata, che una certa cosa avviene in un certo modo, allora, qualora mi si presenti una cosa simile, mi aspetto che debba manifestarsi in maniera simile a quell’altra, cui somiglia. Questa non è logica, è buon senso: il sano e concreto buon senso dei nostri nonni. Non richiede ragionamenti complicati, ma solo un minimo di spirito d’osservazione e un minimo di capacità associativa: di saper associare, cioè, il fatto B al fatto A, avendo osservato che si presenta come simile a quello, e pertanto attendersi da esso gli stessi effetti, o degli effetti non molto diversi. Ora, noi sappiamo che i virus si trasmettono da organismo a organismo: perciò, se può essere comprensibile (purché si sia davvero in presenza di una pandemia) una certa prudenza nel contatto con gli altri, tale prudenza diventa inutile e assurda se si è da soli, in casa, o se si è da soli, in un bosco o in prato, a fare una passeggiata. Perciò, a buon senso, se qualcuno ci viene a dire che dovremmo andare a dormire indossando la mascherina; o se qualcuno pretende da noi che indossiamo la mascherina anche in un prato e in un bosco, lontani da ogni altro essere umano, evidentemente quel tale ci sta chiedendo di fare qualcosa di assurdo e totalmente gratuito. Questo è buon senso. Ora facciamo un altro esempio. Tutti sappiamo, per dolorosa esperienza, che le zanzare, d’estate, riescono a pungerci anche quando siamo vestiti: attraverso il tessuto dei calzini e perfino quello dei pantaloni di tela, per non parlare del pigiama o del lenzuolo, quando stiamo dormendo. E tutti sappiamo che un virus è infinitamente più piccolo di una zanzara. Pertanto, a lume di buon senso, se una zanzara è in grado di pungerci inserendo il suo stiletto boccale attraverso la materia di cui è fatto il calzino, o il pantalone, o il pigiama, o il lenzuolo, è pensabile che un virus non possa attraversare la materia di cui è fatta una mascherina, o anche due mascherine sovrapposte? Sarebbe come pensare che una mosca non sia in grado di passare attraverso le inferriate di una finestra, o anche di due, di tre finestre successive: ma certo che lo può. Il semplice buon senso, dunque, ci dice con estrema evidenza che la pretesa d’imporre a tutta la popolazione l’uso della mascherina, anche nei luoghi aperti e comunque ben aerati, è assurda e totalmente priva di efficacia quanto alla protezione contro il Covid-19. Viceversa, e sempre al lume del puro e semplice buon senso, anche un bambino arriva a comprendere che respirare la propria anidride carbonica per ore ed ore, tutto il giorno, magari anche mentre si è nell’abitacolo della propria automobile, da soli, significa recare un grave danno alla propria salute, rallentando l’ossigenazione del cervello e soprattutto indebolendo proprio le vie respiratorie che, in teoria, essendo le prime ad essere attaccate dai virus, sono appunto quelle che andrebbero in ogni modo rafforzate e rinvigorite. O no?

    Perciò, la vera domanda è questa: cosa spinge così tante persone a rifiutarsi di usare sia la logica, sia il buon senso, e a sottomettersi a procedure pseudo sanitarie che palesemente non hanno lo scopo di tutelare la nostra salute, nonché a credere ciecamente, in maniera fideistica, ad una narrazione dei fatti che è chiaramente truffaldina e menzognera? La prima considerazione da fare, per offrire una risposta convincente, è che la logica e il buon senso, benché fossero ancora presenti nella maggior parte delle persone, si erano però da tempo notevolmente indebolite, a causa di tutto il sistema di vita della modernità, che tende a ridurne al minimo l’esercizio, soprattutto a causa dell’uso scriteriato della tecnologia, in particolare della tecnologia informatica, e ciò a partire già dagli anni dell’infanzia. Esistevano quindi le condizioni perché si verificasse il corto circuito attuale: qualunque fisiologo o anche un semplice allenatore sportivo possono spiegarci che un organo, se non viene debitamente esercitato, finisce per perdere il proprio tono muscolare ed energetico, e quindi per atrofizzarsi. Poi bisogna fare ricorso al conformismo che sempre la società moderna coltiva con la massima assiduità, dietro i veli di un falso pluralismo e di una falsa tolleranza. La verità è che tutta la civiltà moderna si basa su un costante processo di omologazione e di soppressione delle identità e delle differenze, e quindi il cittadino moderno è un individuo che si trova ad essere sottoposto, anche inconsapevolmente, a una pressione incessante affinché si adegui e si conformi a ciò che pensano, dicono e fanno tutti gli altri, specialmente se si tratta di ciò che indicano o che suggeriscono i persuasori occulti. Gli anticorpi al conformismo sono stati lentamente logorati ed eliminati, uno dopo l’altro: sono scomparsi via via, nel corso degli ultimi cinquant’anni, tutte le agenzie educative e tutti i modelli di riferimento che erano stati in grado di tener desti la logica e il buon senso dei nostri nonni e, almeno in parte, dei nostri genitori. In compenso, siamo stati addormentati dalle dolci e rassicuranti sirene del politicamente corretto, secondo le quali potevamo stare tranquilli e dormire i nostri sonni beati, perché in democrazia non potrà mai succedere quel che successe ai nostro nonni, cioè di svegliarsi una mattina sotto un regime dittatoriale, ma che i rappresentanti del popolo, legalmente eletti, avrebbero vigilato affinché tutta la società fosse protetta e indirizzata alla ricerca del bene comune, e qualsiasi eventuale minaccia sarebbe stata vista e bloccata in tempo. Non abbiamo riflettuto abbastanza sul fatto che la dittatura e il totalitarismo possono essere espliciti, come nel caso dei regimi novecenteschi, ma anche impliciti e ben dissimulati; e che una presunta emergenza sanitaria avrebbe offerto precisamente le condizioni adatte ad attuare una forma sottile, ma spietata, di totalitarismo, catturando al tempo stesso il consenso della popolazione, come e perfino più di quanto potessero fare i totalitarismi espliciti del passato. Infatti, mentre in un regime totalitario classico, ad esempio quello hitleriano o quello staliniano, il consenso viene acquisito sia mediante una parte negativa (la paura) sia mediante un elemento positivo (l’amore e la fiducia nei confronti del capo), nel totalitarismo sanitario attuale vi è solo il fattore negativo, una paura incessantemente coltivata e portata fino all’esasperazione, e manca del tutto qualunque fattore positivo. Non ci sono dei capi politici da amare, al massimo ci sono degli amministratori pubblici dai quali si spera la salvezza mediante la sollecita distribuzione del miracoloso vaccino.

    Detto ciò, cosa resta per spiegare la generale abdicazione della logica e del buon senso? Nulla, se non il terrore che rende le persone irrazionali, e il conformismo, che le rende simili a un gregge di pecore. Pertanto la via d’uscita dall’attuale vicolo cieco è una ed una sola: tornare ad essere persone.
  9. .
    di Francesco Lamendola - 02/04/2021

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Stiamo assistendo a un attacco senza precedenti, di virulenza inaudita, contro la struttura logica del discorso. Mai si era vista una cosa simile: mai, neppure nelle epoche più oscure e barbariche della storia. Anche in mezzo alle invasioni, alle distruzioni, al crollo degli imperi, alla deportazione dei popoli vinti, mai si era verificato un attacco concentrico, organizzato, capillare, inesorabile contro ogni struttura di senso del parlare e del ragionare. Perfino mentre i vandali incendiavano le città e gli unni spianavano sotto gli zoccoli dei loro cavalli ogni traccia del vivere civile, gli scrittori seguitavano a scrivere, i filosofi a pensare, i sacerdoti a celebrare, i monaci a pregare, gli sposi a mettere al mondo dei figli. La ragione naturale era ridotta al silenzio, non oscurata; zittita, non distrutta. Dal fondo del buio carcere ove il re degli ostrogoti lo aveva fatto gettare in attesa dell’esecuzione capitale, Boezio scriveva il suo meraviglioso De consolathione philosophiae, che ancora oggi consola ed illumina con la forza del pensiero; e Rutilio Namaziano, tornando alle sue proprietà attraverso l’Italia devastata dai visigoti di Alarico, poteva ancora sciogliere il suo splendido e commovente inno alla gloria di Roma: Urbem fecisti, quod prius orbis erat. E secoli prima il greco Archimede, un attimo prima di essere ucciso dalla spada dei romani conquistatori di Siracusa, pare avesse esclamato, tutto immerso nei suoi studi di fisica e matematica: Noli, obsecro, istum disturbare, riferendosi al disegno geometrico che aveva appena tracciato. E san Benedetto da Norcia, mentre un mondo che si era creduto immortale franava nella polvere, ne ricostruiva un altro, fondato su altri presupposti, su un’altra visione della realtà e dei rapporti umani, su una diversa relazione con Dio, dettando ai suoi monaci l’aurea regola: ora et labora. Ed essi salvarono l’eredità della cultura antica, ricopiando pazientemente migliaia di manoscritti, e intanto prosciugavano paludi, bonificavano terreni incolti, disboscavano fitte foreste, mettevano a coltura le zolle affinché il suolo potesse nutrire coi suoi frutti una nuova generazione di uomini, lo sguardo rivolto in alto e in avanti, nonostante tutto.

    Oggi però questo non sembra più possibile, perché l’attacco non viene portato contro le cose o le persone, ma contro il pensiero razionale e contro i suoi stessi fondamenti, cioè contro la logica. Le case restano in piedi, e le città anche, per quanto sempre più solitarie e impoverite; ma qualcosa nella facoltà razionale della gente si è incrinato e forse si è spezzato per sempre. Oggi è impossibile fare un discorso razionale su qualunque tema fondamentale della vita sociale, perché al posto della razionalità si è imposto il sentimento della paura, e quando la gente è spaventata non ci sono più argomenti razionali che tengano.

    È inutile far notare che, secondo la comune definizione dei manuali scientifici, quella in corso non è una pandemia, ma una semplice epidemia d’influenza, come ce ne sono ogni anno (e quest’anno, infatti, nessuno parla più d’influenza: pare che esista solo il Covid-19).

    Inutile far notare che la mascherina sul viso, specialmente nei luoghi aperti, non ha alcun significato, semmai a lungo andare provoca gravi danni alla salute.

    Inutile far osservare che il numero totale dei decessi, nello scorso anno, è in linea con la mortalità degli anni immediatamente precedenti, a conferma del fatto che questa è una pandemia inesistente. Inutile evidenziare l’assurdità di proibire la frequenza alla santa Messa, ma non l‘accesso ai centri commerciali e ai supermercati; e l’immotivato e gravissimo danno economico provocato ad albergatori, ristoratori e baristi con la chiusura dei rispettivi locali o con le restrizioni illogiche, come la chiusura alle sei di sera, ma non a mezzogiorno.

    Inutile sottolineare la pazzia dei banchi scolastici a rotelle e l’inutile precauzione della didattica a distanza, quando è noto che nessun bambino è morto di Covid-19, anzi quasi nessuno ne è stato seriamente contagiato.

    Inutile dire che i tamponi servono solo a compilare false statistiche, dato che risultano inattendibili nell’ottanta o anche al novanta per cento dei casi, e quindi segnalano una quantità impressionante di falsi positivi.

    Inutile dire che non ha senso consigliare la mascherina anche in casa, anche di notte, quando non si è a contatto con persone estranee.

    Inutile chiedere come mai vengano registrati come morti per il Covid-19 una quantità di decessi ascrivibili a ben altre patologie, alle quali, da ultimo, si è aggiunto anche il Covid, così come negli anni scorsi l’influenza o la polmonite ”normali” segnavano la fine per un anziano dal quadro clinico seriamente compromesso, e nessuno però si sognava di scrivere sul certificato di morte che era deceduto per l’influenza, quando i medici sapevano bene che era deceduto di tumore, d’infarto o di diabete.

    Inutile far notare che un vaccino non può essere fabbricato e messo sul mercato nel giro di qualche mese, quando si sa che occorrono da cinque a dieci anni per verificarne le reazioni avverse. E ancor più inutile osservare che qualunque virus muta nel corso di qualche settimana o qualche mese, e perciò non esiste vaccino che possa immunizzare da un virus che non è più quello dello scorso anno (e che comunque non è mai stato isolato).

    Inutile parlare del fatto che i vaccini sono prodotti con linee cellulari di feti aborti e che Bergoglio e tutti i vescovi che incitano la gente a vaccinarsi, oltre a esorbitare dai limiti della loro funzione spirituale, stanno incitando a rendersi complici del peccato più grave che ci sia al mondo, la soppressione volontaria di nascituri, concepiti per denaro, al solo scopo di fornire materiale organico da utilizzare per conto delle multinazionali farmaceutiche.

    Inutile far notare quante persone muoiono o subiscono gravi danni dopo l’assunzione del vaccino; e quante sono morte perché, affette da altre patologie, hanno visto ritardate le cure a causa della precedenza assoluta data ai pazienti affetti dal Covid, con interi ospedali destinati unicamente ad essi, e coi reparti e le sale di terapie intensiva semivuoti, ma che i mass-media si ostinano a descrivere come strapieni e sull’orlo del collasso.

    Inutile, infine, domandare chi abbia deciso che il bene della salute oltrepassa qualsiasi altro, a cominciare dal sacrificio delle libertà costituzionali più elementari; e con quale diritti dei semplici decreti della presidenza del Consiglio si siano sovrapposti, cancellandole, alle leggi ordinarie; e perché il parlamento, in oltre un anno dall’inizio di questa situazione, non abbia mosso un dito né manifestato minimamente l’intenzione di sanare una simile contraddizione, legiferando in materia di emergenza sanitaria e stabilendo le proprietà cui un governo si deve attendere, nel rispetto della Costituzione e delle libertà fondamentali del cittadino.

    Tutto perfettamente inutile, perché nessun argomento razionale fa presa sulla stragrande maggioranza della gente. Il minimo che possa capitare a chi pone simili questioni è di sentirsi chiedere, ironicamente e con malcelato disprezzo, se sia un medico, o un virologo, per permettersi di dire ciò che dice: come se per usare il cervello e fare due più due, e avere il diritto di esprimere la propria opinione, fosse necessario possedere una laurea in medicina, in biologia o in chimica organica.

    E tuttavia a ben guardare non è solo sulla questione del Covid e della cosiddetta emergenza sanitaria e non è solo da un anno a questa parte che si assiste ad un crollo verticale del pensiero logico e all’imporsi di uno strapotere delle emozioni e dei sentimenti quali nuovi elementi decisivi per giudicare la realtà e prendere le decisioni. È da molto tempo, da anni, da decenni, che la struttura logica del discorso è stata mandata in pensione, e a farla da padrone è un discorso emotivo, soggettivo, irrazionale, logica conseguenza della distruzione deliberata e sistematica del concetto di verità in filosofia. Se non c’è più la verità, perché ciascuno è il soggetto della propria verità (Cartesio), non c’è più una cosa in sé da conoscere, ma solo una serie di fenomeni (Kant); e se non c’è la cosa in sé, non c’è più l’essere, ma solo l’apparire; non c’è più Dio, ma solo il mondo degli uomini; non ci sono più il bello e il bene, perché esse, verum, bonum et pulchrum convertuntur. Non c’è più vera scienza, perché scienza è l’indagine sulla natura diretta al fine razionale di conoscerla sempre meglio, non per violentarla e sovvertirla, violentando e sovvertendo la stessa umanità dell’uomo. Non c‘è più arte, né poesia, né musica, perché arte, poesia, musica, sono ricerca del bello mediante la composizione armoniosa, logica e razionale di linee, colori, immagini e accordi. Non c’è più religione, perché la religione si basa sulla relazione personale con Dio che scaturisce dalla ragione naturale e dalla Rivelazione, che non contraddice la ragione, ma la completa e la supera; e naturalmente non c’è più filosofia, perché il cuore della filosofia è il pensiero dell’essere, dunque la metafisica, mentre ora i cosiddetti filosofi altro non fanno che rovistare fra le ceneri spente del pensiero moderno che si è autocensurato ed auto-castrato, eliminando la metafisica e limitandosi al fenomeno. Rovistare e chiacchierare, rovistare e vaneggiare, rovistare e costruire castelli in aria, del tutto slegati dal mondo della realtà.

    Così, se voi state passeggiando per la campagna, sull’argine di un fiume, per fare un po’ di moto e respirare un po’ di aria buona, posto che abbiate la fortuna di non essere intercettati da una pattuglia della polizia urbana, interrogati e multati, è molto facile che vi accada di vedervi apostrofati da un signore qualsiasi che, come voi, se ne va solitario per i campi, ma indossando la mascherina tirata su fino alla radice del naso e quasi fino agli occhi, affinché facciate altrettanto o, se avete commesso l’imperdonabile sbadataggine di lasciarla scivolare sul mento, di affrettarvi a ritrovare il vostro senso di responsabilità. A quel punto, probabilmente la vostra tentazione immediata sarà quella di chiedere a quel signore perché mai, se lui è convinto che la mascherina protegga dal virus micidiale, il fatto che voi non la portate, dovrebbe costituire un pericolo per lui, o per qualsiasi altro: secondo logica, tutt’al più il rischio dovrebbe essere vostro, e solamente vostro. Ma è bene che superiate quella tentazione e rinunciate a ragionare: non c’è alcun ragionamento da fare con quel tipo di persone, perché sono venute meno le fondamenta dalla logica e del buon senso e qualsiasi discorso non potrebbe che svolgersi su un piano meramente emozionale, dove chi prova l’emozione più forte cioè la paura, avrà sempre ragione su chi prova l’emozione meno forte, cioè il dominio di una paura immotivata e irragionevole.

    Per la stessa ragione, se siete un insegnante e la vostra scuola ha deciso di attuare la didattica a distanza, ma non per gli alunni portatori di B.E.S. (Bisogni Educativi Speciali), i quali, poverini, devono pur socializzare, e quindi loro la lezione la fanno in presenza, però mica da soli, perché non sarebbe inclusivo, e quindi tre suoi compagni a turno devono far lezione con lui perché non si senta solo e”diverso” (e magari subire i suoi continui maltrattamenti, ad esempio nel caso che sia un ragazzino caratteriale), ebbene, rinunciate senz’altro alla tentazione di aprire una discussione col vostro dirigente scolastico. Non è importante come lui la pensi su tutte queste cose: l’inclusione, la didattica a distanza, i bisogni speciali; conta solo il fatto che non avrà alcuna voglia di prendersi una grana, e come (quasi) tutti i suoi colleghi non pensa affatto a ciò che è meglio per gli studenti, sia quelli con bisogni speciali (una volta si diceva: handicappati, o semplicemente alunni con problemi seri: oggi è proibitissimo), ma alla “soluzione” che potrà accontentare tutti, a dispetto della logica e del buon senso. E se non potrà accontentare tutti, come in questo caso (perché non è detto, anzi è improbabile che la cosa piaccia ai genitori dei tre alunni scelti a turno per far compagnia a quello con B.E.S.), pazienza: lui sceglierà sempre la soluzione che lo metta con le spalle coperte, nel clima giuridico e culturale oggi imperante: il politically correct, ove l’inclusione è il primo comandamento e la lotta alle discriminazioni il secondo (o viceversa).

    La situazione odierna è questa. Nessuno si prende la responsabilità di prendere le decisioni logiche e di buon senso, quelle che tornerebbero a vantaggio (un vantaggio reale e concreto, non un fumoso principio ideologico) del maggior numero possibile di persone. Al contrario, a costo di negare la logica e il buon senso e di fare torto a novantanove persone per agevolare, ingannevolmente e illusoriamente, la centesima, tutti si regolano secondo il codice, scritto e non scritto, del Pensiero Unico. Nel quale l’inclusione è un dogma a prescindere, e la tutela della salute un valore assoluto (anche se non si sa chi, quando e come lo abbia stabilito), di fronte al quale tutti gli altri diritti si devono inchinare, inginocchiare, stendere a terra e possibilmente scomparire. È il trionfo dei moralisti da strapazzo e dei tecnici che prendono decisioni irresponsabili, senza contraddittorio, né dover mai rendere conto del loro operato: come la case farmaceutiche che per legge non rispondono dei danni provocati dai vaccini. Insomma, è il trionfo dei burocrati, degli stupidi e dei troppo furbi...
  10. .
    di Francesco Lamendola - 25/02/2021

    Fonte: Accademia nuova Italia

    L’uomo contemporaneo, si dice – ed è vero – appare sempre più fragile, insicuro, titubante; si direbbe che o lui non sia stato fatto sulla misura della vita che deve affrontare, o che la vita non sia proporzionata alle sue risorse e alla sua capacità di affrontarla. Se sull’analisi siamo quasi tutti d’accordo – e sarebbe difficile negarlo, purché si possieda un minimo di spirito d’osservazione e di onestà intellettuale – non altrettanto si può dire per l’individuazione delle cause, che pure è un elemento essenziale per cercare eventuali soluzioni. Perché dunque l’uomo di oggi si è ridotto in questo stato, laddove i suoi genitori, i suoi nonni, i suoi bisnonni, non se la cavavano affatto così male, anzi pareva proprio che fossero stati colati nello stampo giusto, e nella misura giusta, per affrontare le difficoltà della vita, vincerle e superarle? Ebbene: a costo di apparire terribilmente ingenui e magari superficiali, e di dare una cocente delusioni a quanti si sarebbero aspettati una risposta assai più articolata e complessa, la nostra modesta opinione è che l’uomo contemporaneo sia così terribilmente fragile in primo luogo perché, invece di essere educato, da bambino, alla forza, alla responsabilità e al sacrificio, viene cullato nella debolezza, nell’indulgenza eccessiva e nella commiserazione degli adulti di fronte ad ogni più piccola contrarietà gli si presenti innanzi nel cammino della vita. E ciò è tanto più vero per il bambino di sesso maschile, poiché la donna, che sa di essere il sesso forte (e che un aspetto della sua forza consiste nel lasciar credere il contrario ai maschietti), fin da bambina comincia ad assumersi impegni e responsabilità; e sa pure che se le lacrimucce potranno suscitare l’altrui simpatia e risvegliare la tenerezza dei maschi, le altre femmine faranno solo finta di provare per lei tali sentimenti, e perciò sa di doversi rimboccare le maniche e mettercela tutta per risolvere le proprie difficoltà. Il maschietto, invece, sempre più colpevolizzato dalla dominante cultura femminista per il fatto di essere quello che è, e sempre più svirilizzato dal dilagare dell’elemento femminile in tutte le istituzioni educative, elemento che ha verso di lui l’approccio tipicamente materno delle maestre d’asilo, fosse pure nel triennio finale del liceo, rischia di non imparare se non troppo tardi, e comunque a un carissimo prezzo, che indulgere alle proprie debolezze e cercare simpatia, o per dir meglio, mendicare la commiserazione degli altri è una pessima strategia di vita e non lo aiuta ad andare lontano, anche se mamme, maestre, catechiste, zie, nonne e via dicendo, faranno di tutto per indurlo in tale errore e far sì che vi resti impaniato il più a lungo possibile. Inutile dire che anche la soppressione del servizio militare obbligatorio è andata in questa direzione: infatti, pur con tutti i suoi difetti l’anno di leva costituiva nondimeno una palestra di vita, indipendentemente da quel che si può pensare circa l’uso delle armi e l’efficienza reale di un esercito di leva, tanto numeroso quanto poco selezionato nei suoi quadri e nel suo elemento base, il soldato semplice.



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    Difficoltà e delusioni sono preziose: fanno crescere !



    Che i bambini e i giovani vadano abituati ad affrontare fatiche e insuccessi, e che sia giusto crescerli con la dolcezza e la comprensione, ma anche con un minimo di regole da rispettare e di affettuosa severità, questa è una cosa che i nostri nonni sapevano benissimo, e infatti avevano famiglie molto numerose, nelle quali i problemi principali non erano la depressione o il disadattamento. Non parliamo di duecento anni fa, ma di cinquanta o sessanta: e il risultato era che i bambini imparavano a ricacciare indietro le lacrime, a non perdere la testa davanti agli imprevisti, a non aspettarsi da altri la soluzione dei propri problemi, e perciò a dosare le loro forze, a valutare le situazioni con senso di responsabilità, a porsi obiettivi razionali, concreti e alla loro portata. Oggi, gran parte dei fallimenti e delle crisi esistenziali sono dovuti al fatto che le persone si pongono obiettivi troppo ambiziosi e mirano a conquistare delle mete senza possedere i talenti necessari per meritarsele, per cui le delusioni e gl’insuccessi sono praticamente inevitabili. Ciò si riscontra sia in ambito scolastico e lavorativo, sia in quello affettivo e sentimentale: si pretende troppo, si cerca di avere tutto, ma si è disposti a concedere poco, perché manca il senso della reciprocità e soprattutto della serietà degli impegni che vengono liberamene assunti. Manca il rispetto della parola data perché scarseggia il senso dell’onore. Si è fatto credere ai bambini che l’onore sia un concetto antiquato e superato, e che un individuo moderno può e anzi deve farne benissimo a meno; ma ovviamente non è vero. Senza senso dell’onore non si va da nessuna parte: e non solo non si conquista la stima e il rispetto degli altri, ma non si arriva nemmeno a meritarsi la propria. Assistiamo così allo spettacolo penoso di schiere di giovani, di futuri uomini e future donne, che dietro le apparenze dell’edonismo e del narcisismo coltivano un segreto auto-disprezzo, tanto più dannoso quanto più rimosso e seppellito nelle profondità della coscienza. Ma una persona che si disprezza è una persona che non si vuole bene; e una persona che non si vuole bene, per punirsi del fatto di esistere moltiplica gli errori e compie sistematicamente le scelte sbagliate, quelle che la porranno davanti a difficoltà sempre maggiori e alla lunga insormontabili. Davanti all’impossibilità di risolvere i propri problemi, quelle persone finiscono per arrendersi, per mendicare la pietà e la commiserazione altrui, oppure si gettano a capofitto in situazioni disperate, senza sbocchi, dalle quali usciranno con le ossa rotte e, quel che è peggio, avendo accumulato ulteriori dosi di auto-disprezzo per la propria inettitudine e la propria viltà.



    Oggi, gran parte dei fallimenti e delle crisi esistenziali sono dovuti al fatto che le persone si pongono obiettivi troppo ambiziosi e mirano a conquistare delle mete senza possedere i talenti necessari per meritarsele, per cui le delusioni e gl’insuccessi sono praticamente inevitabili!



    Prendiamo il caso di un ragazzo che sia stato lasciato dalla sua ragazza; se la cosa si ripete, magari diverse volte, egli comincia a pensare di non meritare nulla di buono dalla vita, e si accontenta di mettersi con le ragazze più facili e disponibili, anche se sempre più insignificanti e superficiali, le meno adatte per aiutarlo a ritrovare la propria autostima. Così, egli stesso si infligge la peggiore delle punizioni: rinunciando a corteggiare le ragazze di valore, che potrebbero farlo felice e aiutarlo a ritrovarsi, si sprecherà in rapporti sempre più frustranti, sempre più squilibrati e asimmetrici, molto probabilmente con delle ragazze che coltivano il suo stesso senso di fallimento e di scarsa autostima, magari ben nascosto dietro apparenze estroverse e persino sfacciate, e lo sfogano nei disturbi alimentari, come anoressia e bulimia, o nella fuga nelle sostanze stupefacenti, o nel sesso disordinato, utilizzato alla maniera di un anestetico, che toglie il dolore della vita e libera dalla fatica di pensare, decidere, scegliere. E quel che si è detto dei rapporti sentimentali, vale anche per tutti gli altri rapporti sociali, da quello tra genitori e figli a quello tra colleghi di lavoro e in particolare fra dipendenti e superiori, oppure fra imprenditori e clienti, o fra impiegati pubblici e utenti, o semplicemente fra vicini di casa e amici del bar. La verità è che nessuno può sottrarsi alla legge fondamentale della vita: che le difficoltà vanno assunte e superate, non fuggite, se si vuol crescere e maturare; ogni fuga infatti rende probabile, e quasi inevitabile, un’altra fuga, e poi un’altra, e così via; ogni fallimento che non sia stato metabolizzato, chiama un nuovo fallimento; e ogni umiliazione che non venga trasformata in un trampolino per più alte ambizioni e più nobili conquiste, è come se attirasse nuove umiliazioni, in una spirale senza fine. Nella vita non si può vincere sempre, ma bisogna imparare a perdere con dignità; non si può ottenere sempre quel che si desidera, e di regola ciò avviene quando non lo si è desiderato abbastanza e non si è avuto il coraggio di persistere, di lottare, di non dichiararsi vinti prima del tempo. Ed è chiaro che se gli adulti non trasmettono ai bambini questo approccio nei confronti della vita; se, al contrario, tendono a essere eccessivamente protettivi, tireranno su dei bambini insicuri, viziati, deboli e capricciosi: dei bambini che danno le cose per scontate e poi, quando vanno a sbattere contro il muro della realtà, si fanno male, e invece d’imparare la lezione, vanno a cercare una spalla amica sulla quale piangere. Senza sapere che le spalle amiche non si trovano ad ogni angolo di strada, i veri amici sono sempre pochi e le persone disinteressate anche più rare; sicché è molto probabile che chi li lascia piangere sulla propria spalla, si accinge a servirsi di loro per qualche suo fine. Fosse pure solamente il fine di brillare accanto a un amico debole e sfiduciato, in modo da apparire più attraenti e far salire con poca fatica le proprie quotazioni.



    Cercare la pietà altrui non risolve i problemi. Perchè oggi assistiamo allo spettacolo penoso di schiere di giovani, di futuri uomini e future donne, che dietro le apparenze dell’edonismo e del narcisismo coltivano solo un segreto auto-disprezzo?



    Da questo punto di vista, l’educazione contemporanea è tutta da riformare. Perfino l’effeminato Rousseau e l’ultra anarchico Tolstoj convenivano sul fatto che il bambino deve essere lasciato libero di sbagliare, purché poi si assuma le responsabilità e le conseguenze del proprio agire. Scrittori per la gioventù, come il Kipling di Capitani coraggiosi o il Jack London de Il lupo del mare, hanno espresso magnificamente questo stesso concetto: come il lavoro, la responsabilità, il sacrificio, possono trasformare il giovanotto più delicato e immaturo in un vero uomo, che sa cosa ci sta a fare nella vita e sa che la vita non è una passeggiata, né un picnic al chiaro di luna, ma una dura battaglia che va combattuta giorno per giorno, senza mai abbassare la guardia. Lo sapevano anche i preti e i catechisti di una volta, allorché si sforzavano di educare cristianamente la gioventù; e lo sapevano, naturalmente, i genitori di una volta, la cui visione della vita era pervasa di spirito cristiano. Ora che il cattivo esempio viene proprio dal clero e che un Bergoglio esercita le funzioni di vicario di Cristo non per combattere il peccato, ma per insegnare falsamente che il peccato non è tale e che Gesù perdona in anticipo, senza neppur bisogno di pentimento, è venuto meno un altro pilastro della sana educazione che, attraverso le famiglie di una volta, il lavoro di una volta, il risparmio di una volta, aveva fatto grande l’Italia e le aveva conquistato un posto di prima fila nel consesso delle nazioni.

    Un buon esempio della sana educazione dei bambini si trova nel romanzo di Archibald Joseph Cronin (conosciuto dal vasto pubblico per La Cittadella e per E le stelle stanno a guardare) Anni verdi, tipico romanzo di formazione, un po’ come David Copperfield di Dickens. Il protagonista, Robert Shannon, è un bambino di otto anni rimasto orfano; la nonna lo conduce a casa propria, dall’Irlanda alla Scozia, e qui egli, conosce, fra gli altri, il bisnonno, un omone strano, intelligente e pieno di vita, che dopo un inizio un po’ brusco si rivelerà il migliore amico per il piccolo orfano e un valido sostituto della perduta figura paterna (da: A. J. Cronin, Anni verdi; titolo originale: The Green Years, 1944: tradizione dall’inglese di Spina Vismara, Milano, Bompiani, 1947, p. 15):

    «Ah, sì. Bene, faremo qualche giretto, noi due, per vedere se l’aria della Scozia ci giova». Fece una pausa, intrattenendosi per la prima volta su se stesso. «Sono contento che tu abbia i capelli come i miei; il pepe dei Gow. Anche tua madre li aveva, povera ragazza».

    Io non potei più a lungo trattenere quella marea calda e, come al solito, scoppiai in lacrime. Dal giorno dei funerali di mia madre, la settimana prima, il sentire semplicemente nominare il suo nome produceva in me questo riflesso, incoraggiato dalla simpatia che sempre mi procacciava. Tuttavia in questa occasione non ricevetti né l’ampia carezza del petto della signora Chapman, né le condoglianze aromatizzate al tabacco da fiuto, che padre Shanley di san Domenico era solito riversare su di me. E subito la coscienza della disapprovazione di mio bisnonno mi comunicò un penoso senso di disagio; cercai di frenare le mie lacrime, fui preso da soffocazione e cominciai a tossire. Seguitai a tossire sempre di più finché fui costretto a reggermi il fianco. Fu uno degli attacchi più impressionanti che abbia mai avuto, e che ricordava i peggiori cui andava soggetto mio padre. Per dire la verità me ne sentivo alquanto orgoglioso, e quando finì guardai il nonno pieno di aspettazione.

    Ma egli non mi diede alcuna soddisfazione, e non pronunziò una sola parola. Invece, prese una piccola scatola dalla tasca del suo panciotto, ne premette il coperchio e ne estrasse una larga e piatta pasticca di menta piperina di quelle note col nome di “oldfellow”. Pensai per un momento che egli si accingesse ad offrirmela, ma con mia sorpresa e dolore non fu così; poiché se la mise tranquillamente in bocca. Quindi dichiarò con piglio severo:

    «Se c’è una cosa che non posso sopportare, è un bambino piagnucoloso. Roberto: mi sembra che tu abbia le lacrime in tasca. Devi cercare di tirarti su, ragazzo mio». Tolse la penna dall’orecchio, e sporse in fuori il torace. «Nella mia vita ho dovuto lottare con un mucchio di difficoltà. Credi che le avrei superate se mi fossi lasciato abbattere da esse?».



    La verità è che nessuno può sottrarsi alla legge fondamentale della vita: che le difficoltà vanno assunte e superate, non fuggite, se si vuol crescere e maturare !



    Straordinaria figura, quel bisnonno, di burbero benefico che non batte ciglio mentre il nipotino, orfano recente, piange come una fontana e si soffoca nella tosse; e che infine lo mette a posto con quelle poche, ruvide parole: Ragazzo mio, non mi piacciono i piagnucolosi. Vedi un po’ di tirarti su; e gli lascia intendere: Ci sono qua io a sostenerti. Non gli dice: Arrangiati, è un problema tuo; gli offre la sua guida virile, e intanto gli fa capire che cercare la pietà altrui non risolve i problemi. Quelli, bisogna guardarli in faccia. Fortunato chi da bambino ha avuto una figura adulta di quel tipo.

    Chi vuol bene ai bambini, chi ama i giovani, invece di commiserarli li sprona a lottare. E a maturare.
  11. .
    di Francesco Lamendola - 22/02/2021

    Fonte: Accademia nuova Italia

    La sostenibilità del tipo di vita e la coesione interna di una società dipendono anche, e soprattutto, dalla sincronizzazione, se così possiamo chiamarla, fra la capacità dell’individuo di assimilare gli elementi essenziali dell’ambiente in cui vive, sia sotto il profilo materiale che sotto quello intellettuale, spirituale e morale, e il ritmo con cui tale ambiente muta e si trasforma, sotto la spinta delle trasformazioni economiche, dei mutamenti psicologici e delle innovazioni tecnologiche e produttive. In altre parole, è necessario che vi sia un rapporto di compatibilità e reciproca tolleranza fra i tempi della vita individuale e i tempi del divenire sociale: se i primi sovrastano completamente i secondi, la società tende a rimanere pressoché ferma, cristallizzata nei medesimi sistemi di vita, come nel caso di una tribù di cacciatori e raccoglitori che non evolve, o evolve solo lentissimamente, restando in perenne equilibrio con l’ambiente fisico e le sue risorse; se, viceversa, i secondi sovrastano i primi, allora il singolo membro si sente schiacciato e di fatto viene sottoposto a tensioni e sollecitazioni d’ogni genere, sempre più forti e da ultimo insostenibili, finché egli prova un sentimento generale di estraneità, alienazione, smarrimento e totale inadeguatezza, a causa del fatto che nessuno degli strumenti di adattamento dei quali dispone sembra sufficiente a permettergli di restare al passo coi tempi. Ne abbiamo già parlato in diverse occasioni (cfr. spec. gli articoli Lo “shock” della modernità banco di prova del nuovo ordine mondiale, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 25/06/07 e La fretta e la complessità della nostra vita quotidiana alle origini del nostro “shock” da futuro, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 24/12/17); ne vogliamo riparlare adesso per evidenziare un aspetto specifico: la perdita di senso della realtà che una tale situazione implica necessariamente.

    Osservava a questo proposito Elisabeth Lukas, psicoterapeuta della scuola di Viktor Frankl, nel suo libro Prevenire le crisi (titolo originale: Psychologische Vorsorge, Freiburg, Herder Verlag, 1989; traduzione dal tedesco di Francesca Terranova, Assisi, Cittadella Editrice, pp. 38-39):



    Nella rappresentazione generale di un mondo divenuto malato, concentriamo nuovamente l’attenzione su un sintomo particolarmente rilevante. Si tratta dell’aumento del ritmo della vita, della velocità con la quale il tempo ci sfugge di mano. I futurologi definisco come “accelerazione del mutamento” questo fenomeno così fatale per lo sviluppo psichico. Se la nostra temporalità grava già molto sulla nostra esistenza – e dobbiamo ammettere che la nostra vita dura quel breve tratto in cui il non essere ancora si ribalta nel non essere più -, quel che noi chiamiamo presente e che vogliamo godere – allora l’accelerazione del mutamento, la velocissima irruzione del futuro in un presente che diventa sempre più breve, deve avere effetti catastrofici sulla condizione psichica dell’uomo. L’uomo non sarà più in grado di tenere il passo con una società che muta sempre più velocemente. Ha difficoltà di adattamento; si sentirà necessariamente antiquato e si vedrà come un essere biologicamente incompleto. Una marea di cambiamenti sempre nuovi, sempre diversi genera delusione, confusione, sgomento e disorientamento. Reso profondamente insicuro da un mondo a lui alieno, in cui non si sente più a suo agio, l’uomo scivola in un comportamento anomalo, nella nevrosi e nella depressione. Alvin Toffler, uno dei maggiori futurologi sociali, ha descritto con tutta una serie di dati, lucidi quanto impressionanti, questa complessa situazione in cui versa l’uomo del nostro tempo. La nevrotizzazione avanzata della società moderna ha già prodotto le sue peculiari tipologie umane e sociali, che non dovrebbero essere più minimizzate come fossero aberrazioni stravaganti o espressioni involontariamente comiche ed estrose ma ancora degne d’amore, frutto del “laissez-faire” di democrazie liberali: comunità di fede psichedeliche la cui finalità è la strage, contro-università di folli, fanatici inseguitori di un mondo migliore, baghwanismo, associazioni per lo scambio dei partner, sottocultura dei seguaci di sette e via dicendo.

    Sono un esercito gli psicopatici e i nevrotici adulti nati dal grembo di una società decadente. Si impongono sempre più sulla scena, frutto patologico dell’incapacità di tollerare un’epoca frenetica in cui la caducità, fin troppo precipitosa, è vissuta in modo sempre più doloroso. I rapporti col mondo materiale e ideale vengono accorciati senza sosta. È nata la società usa-e-getta. Ma non vengono gettate solo le cose, gli oggetti di consumo, vengono gettati anche gli animali che improvvisamente sono di peso, i rapporti umani che non ci servono più, i legami con i luoghi che ci hanno tediato, le organizzazioni e le istituzioni che riteniamo superflue e infine quelle idee, quelle concezioni che potrebbero tormentare troppo la coscienza. Arnold Gehlen ritiene che la perdita di senso della realtà e dell’esperienza, e il fatto che l’uomo di oggi esperimenti tutto soltanto di seconda mano, secondo una legge psicologica siano la causa della sua insaziabile avidità. Ma questa sete di vivere evidentemente aumentata non è in particolare anche condizionata dall’accelerazione del mutamento che abbiamo sottolineato qui, con le sue conseguenze negative? Un atteggiamento edonistico nei confronti della vita come risposta alle aporie del nostro tempo, quasi una rimozione di quei bisogni esistenziali che non si vogliono riconoscere?



    La situazione nella quale ci troviamo è esattamente quella descritta in questo brano; ma c’è un fatto nuovo: la cosiddetta pandemia da Coronavirus e il Great Reset. Vale a dire che i poteri mondialisti hanno trovato la maniera di moltiplicare in modo esponenziale la velocità del cambiamento e, al tempo stesso, di annunciare pubblicamente che tale è l’agenda prevista per l’umanità, che tutto ciò è cosa buona e necessaria e che viene fatto con le migliori intenzioni, sia per migliorare la tutela del bene primario della salute e/o della vita, sia per rendere l’esistenza futura sempre più protetta, più organizzata, più compatibile con le necessità della salvaguardia ambientale e dei valori climatici del pianeta. E la cosa straordinaria è che la maggioranza dell’opinione pubblica ha risposto con un atteggiamento di consenso, o quantomeno di accettazione, a un programma così inaudito, il quale prevede e annuncia:

    1) l’imposizione di protocolli sanitari che modificano l’approccio medico e limitano al massimo la libertà del personale sanitario pubblico di agire secondo scienza e coscienza;

    2) drastiche limitazioni o sospensioni delle libertà costituzionali garantite dalla legge;

    3) l’impiego delle forze dell’ordine per reprimere ogni dissenso e per sanzionare civilmente o penalmente qualsiasi infrazione ai comportamenti stabiliti, volta per volta, da decreti d’eccezione che si sovrappongono, annullandolo, al dettato costituzionale;

    4) un radicale mutamento nelle condizioni di vita, sia in termini lavorativi, sia economici, sia d’impresa, sia di godimento della proprietà privata;

    5) la vaccinazione obbligatoria o semi-obbligatoria e il rilascio di un passaporto sanitario dal quale dipenderà l’esercizio di ogni attività pubblica;

    6) la cosiddetta didattica a distanza per l’istruzione e i corsi di studi di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola primaria o dell’infanzia;

    7) la prassi di considerare elemento secondario e trascurabile la consultazione popolare tramite elezioni politiche e amministrative, e la sua sostituzione con governi nominati d’autorità dal capo dello Stato e “suggeriti” dai poteri mondialisti stessi;

    8) il completo allineamento della Chiesa cattolica a tale svolta e un processo accelerato d’incontro e graduale fusione dei diversi culti e delle diverse religioni in un’unica religione mondiale, o meglio mondialista, direttamente ispirata dal grande potere finanziario (vedi il prossimo evento di Astana, nel Kazakistan);

    9) una sorta di compensazione/risarcimento per le perdute libertà politiche, sindacali, costituzionali mediante un incremento dei diritti relativi alla sfera sessuale, compreso il prossimo sdoganamento della pedofilia, all’aborto (esteso fino all’ottavo mese di gravidanza), all’eutanasia, nonché il cambio di sesso, l’utero in affitto, la fecondazione eterologa, l’utilizzo massiccio delle cellule staminali dei feti abortiti, specie nella fabbricazione di medicinali e vaccini;

    10) la soppressione di ogni tipo d’informazione e comunicazione che non siano sottoposti al controllo e alla censura del potere, attraverso la criminalizzazione di qualunque dissenso.

    Ora, il punto è che il Nuovo Ordine Mondiale, così concepito, sia per i punti che lo qualificano, sia per la tempistica estremamente rapida che ne caratterizza l’attuazione, fa letteralmente a pugni con la capacità della psiche e dell’organismo umano di reggerne l’urto, e inevitabilmente provocherà un collasso generale sia a livello mentale che a livello fisiologico. Vedremo la gente impazzire, anzi la stiamo già vedendo; e vedremo impazzire le comunità intere, i caseggiati, i quartieri, i paesi e le città: il tutto senza che a nessuno, beninteso nel recinto della cultura dominante e del potere politico così instaurato,venga in mente di risalire alle vere cause del fenomeno, ma anzi cogliendo l’occasione per inasprire i protocolli sanitari e per moltiplicare le azioni repressive, compreso il trattamento sanitario obbligatorio per coloro che pretendono di opporsi (versione aggiornata e corretta della vecchia psichiatria sovietica usata per mettere a tacere le voci dissidenti). Ci sarà, anzi c’è già, un aumento esponenziale di ogni sorta di disturbi e patologie connessi a questa brusca accelerazione dello shock da futuro, aggravata dall’uso spregiudicato del fattore determinante che ha reso possibile tale accelerazione, vale a dire la propagazione intenzionale, deliberata, dello strumento del terrore mediatico, mirante a destrutturare la personalità del soggetto umano e a ridurlo ad un povero essere tremante e gemente per la paura del contagio e di subire una morte imminente e quanto mai dolorosa.

    I Padroni Universali sanno benissimo queste cose: sanno che il ritmo del cambiamento è insostenibile per la popolazione mondiale e sanno che disturbi del sonno e del comportamento, ansia, depressione, suicidi, scoppi di rabbia improvvisa, aumenteranno e stanno già aumentando in misura incontrollabile; lo sanno, e tuttavia vanno avanti per la loro strada, senza la minima esitazione, anzi cercando di forzare sempre di più il processo. Al tempo stesso, mentre si affrettano a raccogliere i frutti pratici della loro strategia, ad esempio acquistando vastissimi terreni agricoli, come nel caso di Bill Gates, che è divenuto il più grande proprietario terriero degli Stati Uniti, moltiplicano i gesti di apparente filantropismo, regalano vaccini per i bambini poveri del Terzo e Quarto Mondo, creano fondazioni a tutela del clima e dell’ambiente, sponsorizzano personaggi “buoni” creati ad hoc come Greta Thunberg, si dicono fautori di una green economy, una economia verde, e così riescono a ingannare le masse teledipendenti e a presentarsi nelle vesti rassicuranti di benefattori dell’umanità. Quel che colpisce non è il loro cinismo o la loro amoralità, ma la collaborazione fattiva che ricevono dai livelli intermedi e subordinati della catena di comando: politici, scienziati, direttori sanitari, amministratori pubblici, docenti universitari, magistrati, insegnanti, tutori dell’ordine, cittadini privati, tutti o quasi tutti paiono obbedire volonterosamente al meccanismo spietato che sta portando la società al collasso economico e sociale e alla distruzione dell’equilibrio psichico. Perché lo facciano, sarà un interessante campo di ricerca per gli studiosi del futuro, i quali dovranno spiegare come e perché le società umane all’inizio del terzo millennio abbiano deciso d’imboccare la strada del suicidio collettivo, organizzato, programmato, pianificato, senza mai guardare in faccia la realtà vera e seguitando ad auto-convincersi della bontà di quel che stavano facendo, proprio mentre piantavano gli ultimi chiodi sulla loro stessa bara. Forse lo fanno per servilismo verso il potere e per trarne vantaggi personali; forse per conformismo intellettuale; forse per pura e semplice stupidità. Ma una cosa è certa: stanno marciando in direzione opposta all’istinto di conservazione. E quando una società va contro l’istinto di conservazione, succede quel che succede a un individuo che si trovi nella medesima condizione: si predispone alla propria fine. La natura non sa che farsene di coloro che hanno perso la voglia di vivere: se hanno deciso di auto-eliminarsi, spalanca loro le porte affinché escano di scena. Resta la domanda: come è stato possibile tutto questo? E come se ne può uscire, posto che ciò sia ancora possibile? Partiamo dalla seconda domanda. Certamente è possibile, fino all’ultimo istante, perché l’uomo non è un animale, possiede intelligenza e volontà, possiede valori, e grazie ad essi può sempre invertire – teoricamente – la propria direzione di marcia, se si rende conto che conduce al suicidio. Ecco il punto: ma se ne rende conto? E torniamo alla prima domanda: crediamo che tutto ciò sia stato possibile per una quantità di fattori, sui quali ne spicca uno: la graduale perdita di senso della realtà. Da tempo avevamo smesso di vivere nella realtà vera e ci eravamo trasferiti in una realtà virtuale creata dalla tecnologia. E quando si perde il senso della realtà, c’è un prezzo da pagare: la realtà si vendica di chi la disprezza.
  12. .
    di Francesco Lamendola - 20/02/2021

    Fonte: Francesco Lamendola

    Da qualche anno i mass-media parlano spesso e volentieri di complottismo e complottisti, sempre e immancabilmente con un taglio fra il derisorio e il compassionevole; è significativo il fatto che, invece, non si abbassino mai a parlare di complotti, sia pure in chiave dubitativa. Evidentemente per i giornalisti e i pennivendoli della stampa e delle televisioni dominanti non ha alcuna importanza sapere e chiarire, nell’interesse della verità e a beneficio del pubblico, se complotti ce ne sono per davvero; anzi, danno semplicemente per scontato che non ce ne siano affatto e che non ce ne siano mai stati; a loro basta puntare il dito contro quei poveri psicopatici che, vaneggiando, vedono complotti dietro ogni angolo di strada e costruiscono deliranti castelli nella loro immaginazione malata. Fanno cioè il lavoro per cui sono pagati dai loro padroni, e lo fanno con un tale zelo, con una tale convinzione, che probabilmente finiscono per auto-convincersi di essere veramente al servizio della verità e della buona informazione, e di svolgere una funzione sociale utilissima: quella di smascherare i ciarlatani e i maniaci e di sgombrare il campo dalle loro folli opinioni, un po’ come i loro maestri e padri nobili, i savants e i philosophes parigini del 1700, smascheravano le imposture del clero e sfatavano le dannose superstizioni di origine medievale. Dunque, si sentono i paladini della civiltà e del progresso. E chi non si sente un po’ sapiente, un po’ filosofo, oggi, quando una laurea non si nega più a nessuno, mentre la modestia è decisamente l’ultima delle virtù, anzi è considerata senz’altro un difetto?

    Tuttavia c’è una sorpresa in serbo per il pubblico, convinto che il complottismo di cui parlano con tanto spasso e con tanta frivolezza i nostri beneamati mass-media sia un fenomeno relativamente recente, un po’ come la mania dei dischi volanti o la moda del channeling o la diffusione delle sette tipo Scientology. Come sanno solamente i pochi che si sono seriamente dedicati all’argomento, il complottismo è, al contrario, un fenomeno antico, e i suoi padri nobili sono tanto antichi quanto i savants e i philosophes, patroni ideali del moderno giornalismo progressista e illuminato, vale a dire che si collocano tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX. E già questo è un fatto che dà motivo di pensare, come se fra i due fenomeni esistesse una connessione: i due fenomeni, vogliamo dire, della massoneria (perché tutto l’illuminismo è una creazione della massoneria) e del complottismo, vale a dire la corrente di pensiero e d’informazione indipendente – oggi si direbbe: di contro-informazione - che denuncia il complotto mondiale ordito sapientemente dalla massoneria e dall’illuminismo ai danni dell’ordine sociale, dei poteri costituiti e di ogni forma di tradizione, a cominciare dalla religione cristiana, e particolarmente cattolica. L’abbiamo detta grossa: ci eravamo proposti di giungere a questa conclusione attraverso una serie di passaggi argomentati, invece l’abbiamo anticipata. Poco male, a quella conclusione bisognerà arrivare comunque; ed anche al corollario che il grande complotto – oggi si chiama, con espressione più alla moda, Great Reset o Nuovo Ordine Mondiale – non è una faccenda del passato, che un tempo c’è stata e ora non c’è più. Niente affatto: oggi il complotto massonico è giunto alle battute finali, e se ne parla poco, o non se ne parla affatto, per la semplice ragione che si è già sostanzialmente attuato, e quindi la cultura dominante, che è una sua creatura, fa in modo che non se ne parli affatto, onde evitare di metter le pulci nell’orecchio ai bravi cittadini. Perché allarmare inutilmente le pecorelle destinate ad essere tosate? Tanto, ormai è quasi fatta: è più saggio lasciarle brucare e ruminare tranquille sui verdi pascoli. Sarebbe una vera ironia se dovessero svegliarsi proprio ora, e rompere l’ipnosi che le tiene rinchiuse in una sorta di bolla artificiale.

    Ora, fra i primi che hanno denunciato l’esistenza di un complotto massonico per il dominio globale, troviamo tre interessanti e tutt’altro che sprovveduti personaggi: il fisico e matematico scozzese John Robison (1739-1805), il gesuita francese Augustin Barruel (1741-1820) e il geografo americano Jedidiah Morse (1761-1826). Vediamo brevemente in che modo essi diedero l’allarme. Per farlo, citeremo un saggio di George Johnson, giornalista scientifico del New York Times, intitolato Sulle tracce degli Illuminati. Un giornalista alla ricerca della “cospirazione che governa il mondo”, contenuto nel libro I segreti di Angeli e Demoni, a cura di Dan Burstein e Arne de Keijzer, scritto a corredo dell’omonimo romanzo di Dan Brown, il noto autore del Codice Da Vinci (titolo originale: Secrets of Angels & Demons, 2004; tr. it. Fabbri Editori, 2005, pp. 122-123, 124):



    (…) il 9 maggio 1798 il reverendo Jedidiah Morse, leader di spicco dei potenti Congregazionalisti del New England (nonché padre di Samuel F. B. Morse, inventore del telegrafo) dal pulpito della chiesa bostoniana di New North denunciò il pericolo di un complotto segreto, mirante a distruggere la cristianità e a rovesciare l’appena costituito governo degli Stati Uniti. La religione sarebbe stata rimpiazzata dall’ateismo, la fede in Dio da quella della ragione umana. Questa forza sediziosa, dichiarò, si chiamava Ordine degli Illuminato. Nascosti nell’interno delle logge massoniche (una società segreta avvolta a spirale all’interno di un’altra), i cospiratori stavano aspettando il momento propizio per colpire. A suscitare i sospetti del reverendo era stato un libro appena pubblicato e divenuto, all’epoca, un best-seller, proprio come il thriller di Dan Brown oggi. S’intitolava, nello stile alquanto prolisso dei tempi, “Proofs of a Conspiracy Against All the Religions and Governments of Europe, Carried on in the Secret Meetings of Freemasons, Illuminati and Reading Societies” (Prove di una cospirazione contro tutte le religioni e i governi d’Europa, ordita nel corso delle riunioni segrete dei Frammassoni, degli Illuminati e delle Società di lettura) ed era stato scritto da John Robison, matematico e professore di Filosofia naturale presso l’Università di Edimburgo. Come si evinceva dal titolo, la sua impostazione non ricalcava quella di un’opera di fantasia, quanto piuttosto di relazione. Più avvezzo a occuparsi di argomenti scientifici (telescopi, magnetismo) per pubblicazioni come l’”Encyclopedia Britannica”, il suo autore di recente era rimasto scosso nell’udire che una società segreta chiamata Illuminati bavaresi si era infiltrata nelle logge massoniche d’oltralpe ed era responsabile di fomentare la sanguinosa Rivoluzione francese. Era, pertanto, giunto alla conclusione che, ben lungi dall’essere una rivolta popolare di connazionali oppressi, quest’ultima era stata manovrata dietro le quinte da tale gruppo di burattinai, cospiratori decisi a rovesciare la monarchia francese e la sua alleata, la Chiesa cattolica. Fatta cadere questa sacra alleanza, ovvero l’”ancien régime”, gli Illuminati stavano dilagando in tutta Europa e forse anche al di là dei suoi confini, con l’obiettivo finale di arrivare a dominare il mondo. Il reverendo Morse aveva acquistato la sua copia di “Proofs of a Conspiracy” in una libreria di Filadelfia. Sfogliandone le pagine con attenzione, apprese che il complotto era stato messo a punto circa due decenni prima in Baviera, un principato della Germania sudorientale, da un giovane professore ateo di nome Adam Weishaupt. Invasato dalle idee della filosofia illuminista (la superiorità della ragione sulla religione; l’uguaglianza di tutti gli uomini), l’Ordine degli Illuminati aveva cercati di rovesciare il governo bavarese. La rivoluzione, però, era fallita e il gruppo si era sciolto, o almeno così credevano le autorità locali. In realtà era sopravvissuto clandestinamente, diffondendosi come un’epidemia di influenza attraverso le logge massoniche d’Europa. Questo dicevano i fatti. Robison aderiva lui stesso ai Frammassoni, che considerava un innocuo diversivo, un’organizzazione sociale finalizzata a instillare le virtù della fratellanza e della carità. Rimase scioccato nell’udire cosa stava capitando nel Vecchio Continente; di recente, metteva in guardia, i tentacoli degli Illuminati si erano diramati all’interno di logge diffuse in Inghilterra, Scozia e perfino negli Stati Uniti. (…)

    Pressappoco all’epoca in cui veniva dato alle stampe il libro di Robison alcuni giornali locali cominciarono a pubblicare gli estratti di una serie di scritti di recente traduzione (“i vaneggiamenti di un pazzo”, come ebbe occasione di definirli Jefferson), attribuiti a un gesuita francese, l’abate Barruel, che faceva risalire le radici della congiura degli Illuminati ai Catari e ai Templari del medioevo. Nel giro di poco tempo i quattro volumi che componevano l’opera vennero tradotti in inglese. (La moglie del presidente Adams, Abigail, era del parere che valesse davvero la pena di leggerli e li consigliava agli amici).



    In verità, non che essere “i vaneggiamento di un pazzo”, come diceva Jefferson per ragioni politiche interessate (i democratici americani da lui guidati erano guardati con sospetto, negli anni della presidenza Adams, perché considerati dai federalisti come simpatizzanti di Napoleone, il quale a sua volta era visto come possibile regista di un’insurrezione interna filo-francese), i volumi che compongono la monumentale Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, pubblicati fra il 1797 e il 1799, e tradotti in tutte le maggiori lingue d’Europa, sono ricchi, ponderati, documentati e furono presi sul serio dalla cultura del tempo, per poi piombare nell’oblio in maniera un po’ sospetta. Sono il frutto di molti anni di ricerche e vicissitudini perché l’autore dovette spostarsi in vari luoghi, inseguito dalla rivoluzione che si estendeva a macchia d’olio prima in Francia e poi al di fuori di essa. L’autore era tutt’altro che un visionario: era un uomo colto, che aveva insegnato al Collegio Teresiano di Vienna, poi a Roma, e aveva avuto modo di raccogliere informazioni in vari paesi d’Europa; e ciò che venne a sapere degli Illuminati di Baviera, in particolare, rappresenta ancor oggi una fonte indispensabile per la conoscenza di quel movimento. La sua vera colpa, agli occhi di giornalisti e scrittori come il citato Johnson, è quella di essere sempre stato un convinto contro-rivoluzionario, che vedeva nell’illuminismo e nella massoneria non solo dei nemici nell’ordine ideologico, ma dei pericoli reali, in quanto strumenti d’una macchinazione a vastissimo raggio, il cui scopo ultimo era la sovversione della religione cattolica e dell’ordine costituito in Europa e nel mondo intero. Perciò i vari Johnson possono levarsi dalla faccia il loro sorrisetto ironico (chi legga l’intero saggio sopra citato vedrà quanto zelo egli dispieghi per mettere in una luce grottesca e ridicola ogni teoria della cospirazione massonica): la verità è che si sono avverate puntualmente tutte le cose che Barruel, Robison e Morse avevano denunciato, e dunque forse tanto pazzi non erano. Certo, si può sostenere che quelle cose si sono avverate per uno sviluppo naturale del pensiero e delle condizioni di vita, e non dietro l’impulso d’una regia occulta: questo naturalmente è lecito. Quel che non si può fare è liquidare come delirio ogni interpretazione storica che, invece, tenga conto della possibilità che una regia ci sia stata, dopotutto; e che se era di matrice occulta, è logico che non abbia lasciato dietro a sé che indizi più o meno ambigui, mai delle prove certe e incontrovertibili. Perciò, da un punto di vista metodologico generale, chiunque voglia studiare la storia moderna d’Europa, specie al livello delle idee e dei movimenti politici, dovrebbe innanzitutto chiedersi: è possibile che vi sia del vero nell’ipotesi che il “naturale” sviluppo dall’Ancien Régime alla rivoluzione, e dal cristianesimo al liberalismo laicista, e infine all’ateismo anticristiano che sta esplodendo ai nostri giorni, beninteso per chi lo sa vedere (e di cui l’incendio della basilica di Notre Dame è l’emblema spettacolare, mentre le leggi contrarie alla morale cristiana che continuamente vengono approvate nei parlamenti ne sono la strategia ordinaria) non sia poi del tutto naturale? Che dietro le sistematiche campagne di stampa, gli scandali orchestrati, nonché la nascita stessa o quanto meno il finanziamento occulto di certi movimenti e partiti politici, non solo nel XVIII e XIX secolo, ma anche dopo, nel XX e nel XXI, partano e siano coordinate da un unico centro direzionale, naturalmente segreto? Partiamo da un dato di fatto: le congiure, nella storia, esistono. Si pensi alla Congiura delle Polveri, nell’Inghilterra del re Giacomo I Stuart, peraltro sventata all’ultimo istante, secondo modalità che fanno pensare che qualcuno l’abbia ispirata, manovrata e infine se ne sia servito proprio per dare il colpo finale alla presenza cattolica in Gran Bretagna. Dunque, se sono esistite in passato, con tutto il loro strascico di zone d’ombra e inspiegabili coincidenze, come e quando avrebbero cessato di esistere? La storia degli ultimi tempi sarebbe meno favorevole alla strategia dei complotti? Al contrario, l’enorme sviluppo della tecnologia informatica, del potere dei mass-media, delle capacità dei servizi segreti, rendono verosimile l’idea che mai epoca della storia sia stata propizia a una tale strategia quanto la presente. Si pensi al fenomeno della globalizzazione, pienamente in atto e ammesso da tutti, e all’obiettivo del Nuovo Ordine Mondiale, ormai dichiarato con toni enfatici dalle classi dirigenti. Dunque se c’è la globalizzazione, si può immaginare che sia lasciata libera di svilupparsi secondo delle linee di tendenza spontanee? È verosimile che non vi sia una camera di compensazione o cabina di regia, che ne coordini strategie e finalità? E un’ultima domanda: chi è il vero complottista, ora: chi pone la questione o chi vuol seppellirla sotto il ridicolo?

    Altra coincidenza: a voler liquidare le teorie del complotto è chi potrebbe averne un preciso interesse.
  13. .
    di Francesco Lamendola - 16/02/2021

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Il Great Reset, il Grande Azzeramento, non è una manovra futura, per quanto imminente, ma pur sempre futura, mediante la quale i poteri globalisti si propongono di attuare il Nuovo Ordine Mondiale. Al contrario, è una manovra in gran parte già attuata, attuata nelle nostre menti e nei nostri modi di sentire, pensare e agire, condotta con tale abilità che la maggior parte di noi non se n’è praticamente accorta. Come quando si va dal dentista, e alla fine della seduta lui domanda: «Allora, le ho fatto male?», e il cliente risponde: «A dire la verità non ho sentito nulla: abbiamo già finito?». Merito dell’anestesia, direte voi; certo: ma anche, almeno un poco, dell’abilità di quel dentista. E quale è stata l’anestesia adoperata dai Padroni Universali per attuare nelle nostre menti e nei nostri modi di vivere il Great Reset? A parte il consumismo, beninteso per quelli che ancora se lo possono permettere, nessuna. Dunque la loro abilità è stata somma, perché senza anestesia sono riusciti a cambiare radicalmente, e in peggio, le nostre menti e il nostro modo di vivere. Come un dentista che lavora nella bocca dei pazienti senza adoperare l’anestesia; eppure neanche uno di loro se ne va dicendo: «Mi ha fatto male, da lui non torno più». Quasi un miracolo, sia chiaro un miracolo alla rovescia, perché i veri miracoli sono sempre migliorativi nella vita delle persone, e mai peggiorativi. Ma come è stato possibile? La tecnica adoperata dai Padroni Universali è stata quella della Finestra di Overton: facendo cambiare le cose un poco alla volta, con studiata lentezza, un passo dopo l’altro, ci hanno condotti là dove volevano, e hanno fatto sì che la maggioranza della popolazione non se ne sia resa conto; e anche la minoranza che se n’è accorta, è divenuta consapevole di quanto stava accadendo solo verso la fine dell’operazione, quando era già comunque troppo tardi per reagire.

    Ma facciamo un passo alla volta. Cos’è realmente il Great Reset? È un cambiamento radicale ottenuto con il consenso, o l’inconsapevolezza, della popolazione: un cambiamento che toglie alle persone tutti gli strumenti per condurre una vita indipendente, per comprendere la realtà oggettiva e per fare delle scelte secondo la propria coscienza e i propri valori, assumendo decisioni autonome. Per ottenere ciò, il potere finanziario mondiale ha una strada sola: distruggere la coscienza, distruggere i valori, distruggere tutte le fonti economiche, politiche, giuridiche e morali che rendono possibile una vita indipendente. Come dite? Che sono obiettivi barbarici, e che attuarli richiede la distruzione della nostra civiltà e la destrutturazione dell’uomo stesso in quanto uomo, per trasformarlo in un pupazzo telecomandato? Verissimo: ma quei signori sono realmente dei barbari, dei barbari con la B maiuscola; non hanno amore né rispetto per alcuno, tranne che per se stessi; e se dovessero far morire milioni di persone per avvicinarsi anche di pochissimo al loro obiettivo finale, lo faranno. Di nuovo stiamo commettendo l’errore psicologico di parlare al futuro, mentre dovremmo parlare al passato: lo hanno già fatto, e continuano a farlo. Per fare un esempio: quando chiesero alla signora Madeleine Allbright, rappresentante americana presso le Nazioni Unite durante la Prima guerra del Golfo, se fosse consapevole che quella guerra era costata la vita a mezzo milione di bambini iracheni, ella risposte senza scomporsi che quello era il prezzo da pagare per raggiungere l’obiettivo. E non c’è niente che i Padroni Universali non farebbero per creare le condizioni adatte all’attuazione dei loro piani strategici. Dare segretamente a Saddam Hussein semaforo verde per l’invasione del Kuwait e poi scatenare una guerra per ripristinare la giustizia violata, così come inventarsi l’esistenza di terribili armi chimiche di distruzione di massa: di volta in volta vengono fabbricati sempre nuovi pretesti, sempre nuove menzogne per rendere plausibile l’attuazione dei loro piani. Ma il Great Reset giunto nella fase attuale, che è quella terminale, non ha più bisogno, se non in caso eccezionali, di guerre e occupazioni militari: le nostre menti vengono condizionate e programmate direttamente, e il nostro organismo biologico viene controllato mediante “vaccini” e microchip che lo rendono un pieghevole strumento nelle mani di costoro. Noi siamo sempre in ritardo quando pensiamo a queste cose: come i generali della seconda guerra mondiale, i quali pensavano ancora alle strategie e alle tattiche della prima, non abbiamo capito che loro pensano in grande e che ci pensano da molto tempo prima di noi, proprio perché sono loro che vogliono attuare il Grande Azzeramento, mentre noi siamo la mandria da schiavizzare. In altre parole, noi ce ne stiamo tranquilli, pensando che la nostra vita resterà pur sempre quella di prima, anche se costretti a confrontarci con sempre nuove difficoltà: e la nostra sconfitta parte da qui, dal non aver capito che siamo già sotto attacco, che la terza guerra mondiale è cominciata da un pezzo e sta anzi finendo, e sta finendo con la nostra completa disfatta; e che essa non viene combattuta con le portaerei e le divisioni corazzate, ma con i giornali, le televisioni, i programmi scolastici (in particolare con l’introduzione dell’educazione sessuale secondo il modello UNESCO, basato sulla teoria gender), i protocolli sanitari e, da ultimo, col terrore permanente, Oggi è il terrore del Covid-19, domani sarà il terrore di qualcos’altro. Ma state tranquilli, che terrore ce ne sarà sempre, nel nostro futuro: i Padroni Universali hanno scoperto la semplice verità che non occorre bombardare e occupare fisicamente un territorio, quando basta terrorizzare al punto giusto la popolazione. E lo fanno, e seguiteranno a faro, senza più mollare la presa. Se qualcosa o qualcuno non gliela farà mollare. Loro, però, non si fermeranno mai: sono troppo vicini alla meta e troppo gonfi di orgoglio per i risultati già ottenuti; si sentono invincibili, onnipotenti, si sentono dio, e sono lontanissimi dall’idea di fermarsi, di accontentarsi di quanto già hanno ottenuto. Al contrario, vogliono ancora, vogliono tutto, e dopo i nostri beni e le nostre menti, vorranno le nostre anime: perché sono anche affamati di energia spirituale (per questo celebrano le messe nere e praticano la tortura e l’omicidio rituale dei bambini), ci considerano come fonti di energia spirituale da spremere, c’è in essi una malvagità metafisica che non si appaga mai di quanto già operato, ma che vuole spingere l’aculeo del demonio sempre più a fondo, fino a stravolgere completamente l’opera di Dio e la sua creatura prediletta, l’uomo. Perché questo è il loro vero e ultimo obiettivo, ammesso che per loro sia concepibile l’idea di un ultimo obiettivo.

    Noi siamo già cambiati: la Finestra di Overton ha funzionato, perché funziona sempre, è un metodo scientifico ben sperimentato e praticamente infallibile. Quanti di noi, dieci anni fa, avrebbero ritenuto possibile che si arrivasse all’istituto di un vero matrimonio fra due uomini o fra due donne, e di una legge che punisse chi si rifiuta di accettare la decisione soggettiva di una persona di essere considerata come appartenente all’altro sesso, solo perché così c’è scritto nei suoi documenti anagrafici? E quanti avrebbero creduto, solo due anni fa, che saremmo arrivati ad accettare di vivere chiusi in casa per dei mesi, trattati da criminali se ci azzardiamo a fare una passeggiata, e obbligati a indossare permanentemente una mascherina; che non avremmo più potuto vedere i nostri cari ricoverati all’ospedale, o in casa di riposo; e che saremmo stati obbligati a chiudere i nostri ristoranti, i nostri bar, a sospendere le nostre attività lavorative, peraltro seguitando a pagare le tasse e le bollette esattamente come prima: e che avremmo sostanzialmente accettato tutto questo in nome di un presunto stato di necessità? Strana necessità, visto che i dati ufficiali dicono che il numero complessivo dei decessi, nell’ultimo anno, è stato addirittura inferiore a quello degli anni scorsi: e allora, dov’è questa famigerata pandemia? Dove sono queste montagne di cadaveri, che giustifichino la barbarie della cremazione decisa d’autorità per evitare il diffondersi ulteriore del contagio? Se ci avessero detto, solamente un anno fa, che avremmo accettato queste cose; che avremmo accettato che nostro padre o nostra madre, deceduti in solitudine in ospedale, ci venissero restituiti dentro un vasetto contenente le loro ceneri, senza aver potuto celebrare per loro nemmeno un degno funerale, ci avremmo creduto? Eppure è accaduto e continua ad accadere; partiti, sindacati, istituzioni e perfino la chiesa si adeguano come un sol uomo; e poiché la stampa e le televisioni ripetono ogni giorno, senza un attimo di respiro, che c’è un pericolo gravissimo e che rischiamo di morire tutti, fra atroci sofferenze, anche se tale narrazione è palesemente in contrasto coi fatti e coi dati reali, noi ci abbiamo creduto e seguitiamo a crederci. E se ci avessero detto, cinque anni fa, che ai nostri bambini, all’asilo o in prima elementare, avrebbero insegnato che bisogna capire se si è contenti del proprio sesso, perché esiste la possibilità di cambiarlo, facendo un apposito trattamento ormonale e poi un “semplice” intervento chirurgico, noi cosa avremmo pensato? E ora sta accadendo, e non facciamo nulla. Siamo rassegnati; ma soprattutto siamo stati anestetizzati. Centinaia, migliaia di programmi televisivi e di film ci hanno abituati a vedere simili cose come normali e adeguate a una società civile e progredita. Inoltre, per una persona che ha fatto il servizio militare, che ha ricevuto il “vecchio” tipo di educazione, che ha fatto la prima Comunione anteriormente alla nuova Messa, è più facile accorgersi che qualcosa o qualcuno sta modificando intenzionalmente il nostro modo di pensare, e che siamo oggetto di una sottile manipolazione mentale; ma per un giovane la cosa è molto più difficile. Il suo orizzonte culturale e mentale è già quello del Great Reset, sia pure alla fase iniziale. Ma fra chi nasce quando la Finestra di Overton è ancora ai primi passi, e chi nasce quando è già nella fase finale, la differenza non è così grande come si potrebbe credere. È una differenza di velocità, di tempi, non di sostanza. Si è già comunque sul piano inclinato che porta al relativismo assoluto, cioè alla distruzione di tutti i valori, di tutte le certezze, di tutte le tradizioni.

    L’unica maniera di contrastare la sua azione sarebbe quella d’interrompere il circuito malefico di cui si avvale; ma come fare? Tale circuito comprende le televisioni, la stampa, il cinema, tutto ciò che forma il nostro immaginario: in pratica noi viviamo già immersi nel Truman Show, solo che non lo sappiamo e, guardando il film omonimo, pensiamo che si tratti di una cosa impossibile, che non può accadere, o che semmai riguarda un lontano futuro. Non ci rendiamo conto che i nostri pensieri e perfino le nostre emozioni non sono più nostri, ma che sono stati programmati in noi da qualcun altro, e che noi ci limitiamo a rispondere all’impulso proveniente dall’esterno, come il cane di Pavlov, il quale inizia a secernere la saliva credendo di aver fame, solamente perché lo squillo del campanello gli preannuncia l’arrivo imminente della sua razione di cibo. In effetti, la maniera di arrestare l’opera malefica della Finestra di Overton esiste, ed è anche estremamente facile: rifiutarsi di utilizzare la tecnologia mediante la quale essa crea in noi un mondo immaginario e ci condiziona a nostra insaputa. Incredibile dictu, una persona, anche un giovane, può fare benissimo a meno di WhatsApp: si vive lo stesso, non si muore; eppure provate a dire al collega d’ufficio che vi siete dis-iscritti: spalancherà la bocca e cercherà di capire se state scherzando o se siete impazziti. Quanti infatti sono disposti a farlo? Quanti ne vedono la necessità? Quanti sono disposti non solo a fare il “sacrificio” di non guardare più la televisione, di non leggere più i giornali, di servirsi in modo sobrio del computer, di non andar più al cinema o guardare comunque i film a grande distribuzione, che sono quelli realmente pericolosi, perché direttamente studiati e finanziati dalla strategia globalista? Senza contare che ormai la maggior parte della popolazione è formata da persone nate nel pieno di questo clima culturale; quelli che hanno visto e conosciuto l’altro modo di vivere, basato sui valori tradizionali, sul lavoro, sul risparmio, sul senso della famiglia (formata da uomo, donna e bambini), della patria e della religione, cioè gli anziani, sono una minoranza; e come se non bastasse, sono imprigionati nella bolla di terrore sanitario come e più degli altri, dunque preoccupati della propria sicurezza e distaccati da tutto il resto. In altre parole, si è interrotta la trasmissione generazionale: i giovani crescono come in una terra di nessuno, senza radici, senza identità, senza senso di appartenenza. Diventare da maschi, femmine, o viceversa; andare a vivere e a lavorare nel Paese X o Y; passare dal cristianesimo all’islamismo, o al buddismo, o all’ateismo radicale, tutte queste cose sono ormai considerate come assolutamente normali da moltissimi giovani; pensare diversamente è visto come una forma sorpassata di romanticismo. Tra le forme sorpassate di romanticismo c’è quella di legarsi per sempre a una persona dell’altro sesso, avere dei bambini e occuparsi con amore della loro educazione e della loro crescita: la vita offre ben altro che queste misere ambizioni! O almeno così sembra. Come si può uscire da questo vicolo cieco? L’abbiamo già detto; in teoria è facilissimo, poco più di un click. Si tratta di spegnere la tecnologia malefica, di fare a meno di tutto ciò che ci sta rubando l’intelligenza e l’anima. Il problema è trovare la motivazione necessaria: ed è un problema spirituale, non materiale. Non ci sono ragioni materiali per operare in se stessi un così radicale cambiamento di vita; o meglio ci sono, ma è difficile capirlo. È difficile capire che ci guadagnerebbe anche la salute del nostro organismo fisico, per non parlare della psiche. E allora? Noi siamo certi che la sola, vera motivazione si trova nella Buona Novella di Gesù Cristo. Tutte le altre novelle hanno un fondo limaccioso, se non maligno. Provare per credere.
  14. .
    di Francesco Lamendola - 23/01/2021

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Siamo entrati nella fase decisiva del Great Reset, della strategia di radicale riassetto dell’ordine mondiale sfruttando il terrore creato ad arte, e la conseguente pretestuosa, eccessiva e criminale emergenza sanitaria per il Covid-19. È desolante lo spettacolo offerto dalle nostre città dopo quasi un anno di politica di distruzione della vita sociale, commerciale, produttiva, educativa, sanitaria, psichica e morale. Le strade sono vuote, i locali pubblici chiusi, la gente si aggira furtiva con la mascherina, gli uffici sono semideserti perché ci si può recare solo su appuntamento, e tutto ciò che non è strettamente necessario viene posticipato alle calende greche. I cinesi, intanto, e purtroppo non è una leggenda metropolitana, si stanno comprando tutto: non solo rilevano le attività commerciali chiuse per fallimento, ma acquistano, pagandoli in moneta sonante, interi palazzi, interi caseggiati. Per ogni bar che chiude, per ogni albergo o ristorante che fallisce, ci sono famiglie che non sanno come sbarcare il lunario. Lo Stato ha ordinato loro di chiudere e così ne ha decretato la morte, senza assisterli in alcun modo e senza alleggerire neppure le tasse sugli immobili o sullo smaltimento dei rifiuti.

    La Repubblica Italiana, afferma la Costituzione, è fondata sul lavoro: ma qui il lavoro viene ammazzato dal governo, e intanto nessuno fiata: né la magistratura, né i sindacati, né i partiti d’opposizione (ma dov’è l’opposizione? qualcuno per caso l’ha vista?), né le associazioni dei consumatori, né la Chiesa cattolica: quella degli ultimi, quella dei poveri, quella dei barboni e dei senza tetto; quella della Comunità di Sant’Egidio, quella che allestisce pranzi nelle basiliche, quella che parla sempre dei migranti e che, per bocca del sedicente papa, invita gli italiani proprietari di due case di cedere la seconda ai nuovi arrivati dall’Africa. Parallelamente al disastro economico, stiamo assistendo impotenti ed inermi a un disastro intellettuale: si direbbe che la capacità critica si sia volatilizzata; nessuno chiede come mai tutti, da Mattarella a Bergoglio, parlano del dovere morale di vaccinarsi, quando il virus è in via di estinzione e comunque non ha mai provocato una mortalità superiore allo zero virgola qualcosa, vale a dire molto, ma molto meno dell’influenza asiatica degli anni ’60, quando nessun governo si sognò di far chiudere i negozi, di confinare la gente in casa e di multare spietatamente chi osava trasgredire a dei decreti legge che configgono con il Codice civile e cancellano, con un tratto di penna, tutte le libertà riconosciute ai cittadini. Nessuno si chiede che senso avesse ordinare migliaia e migliaia di banchi scolatici con le rotelle; nessuno domanda che senso abbia imporre la mascherina all’aria aperta, e far inseguire con i droni persone che vanno a spasso, tutte sole, per i campi o in riva al mare; nessuno vuol sapere con quale coraggio si vuole imporre all’intera popolazione un vaccino che non c’è stato il tempo di testare, che produce effetti collaterali gravi, che modifica il DNA, e che è fatto con cellule di feti abortiti. Cosa, quest’ultima, che dovrebbe far insorgere specialmente i cattolici, a partire dal clero, mentre è chiaro che li ha lasciati del tutto indifferenti, vista l’assoluta mancanza di proteste e anzi l’attesa, anche da parte loro, di poter ricevere il miracoloso vaccino. E nessuno si chiede perché, nei mesi estivi, non sia stato fatto nulla per informare adeguatamente la popolazione su come prevenire la malattia, su come potenziare gli anticorpi, su come tenere alto il morale, su come condurre una vita sana, in modo da rendere l’organismo immune o ben resistente al virus. Fermo restando che i virus fanno parte della nostra fisiologia, ne abbiamo a milioni nel nostro corpo e sono quasi tutti utili, anzi indispensabili; ed è follia presentare i virus come il nemico mortale contro il quale si deve combattere una strenua battaglia, igienizzando ogni cosa, a partire dalle mani, come se un mondo totalmente disinfettato fosse un mondo ancora vivibile, mentre sarebbe l’anticamera dell’inferno. Insomma si direbbe che l’intelligenza sia andata in corto circuito e né i medici e gli scienziati, i più direttamente coinvolti, né le persone comuni, ma dotate del buon senso istintivo che accompagna la vita di ogni persona normale, pare ne abbiano conservata a sufficienza. Ormai qualsiasi cosa decida il governo in nome della “difesa della salute” viene presa per buona, si accetta qualsiasi assurdità, si solleva un baccano del diavolo se una persona entra nell’ufficio postale senza la mascherina, o se a scuola un bidello se la toglie per fumare una sigaretta, o se nel luogo di lavoro un collega non mantiene il distanziamento sociale. Siamo entrati a vele spiegate nel regno della pazzia e non ci curiamo di guardare i numeri veri, quelli complessivi dei decessi dello scorso anno, ma preferiamo dare ascolto ai quotidiani bollettini di guerra che giornali e televisioni ci distribuiscono con sadica insistenza, persuadendoci che moriremo tutti se non la smetteremo di essere incoscienti, egoisti, superficiali, se non osserveremo in maniera scrupolosa i decreti del governo e se non correremo a farci vaccinare tutti al più presto, nessuno escluso.

    Il fatto che le cose vadano in maniera poco diversa in quasi tutti gli altri Paesi del modo è una magra consolazione. Ci fa capire che i Padroni Universali hanno deciso di stringere i tempi e hanno gettato la loro rete simultaneamente sul mondo intero, anziché su un singolo Paese; ma dubitiamo che ciò possa risollevare lo spirito di chi perde il lavoro, di vedere la disperazione negli occhi dei propri genitori o dei propri figli, di chi deva andare dallo psichiatra per i disturbi sempre più gravi della sua mente, per chi vede svanire il lavoro di svariate generazioni, e degli stranieri venuti dal nulla comperarsi tutto quanto per un pezzo di pane. No: decisamente non è una consolazione sapere che anche altrove le cose vanno suppergiù in questa maniera. Peraltro, gli italiani spiccano, ancora una volta, per la loro passività, per la loro rassegnazione; in altri Paesi vi sono dei movimenti di protesta, si levano voci di dissenso; da noi, salvo rarissime eccezioni, calma piatta. Ed è triste, tristissimo, veder morire un Paese sapendo che non muore per una malattia incurabile, ma perché lo stanno assassinando. Con altri uomini politici, con altri amministratori pubblici, con altri economisti e con altri giornalisti, dai quali dipende l’atteggiamento mentale della maggioranza della popolazione, l’Italia potrebbe farcela: potrebbe uscire dal tunnel, potrebbe rimettersi in piedi nel giro di poche settimane – teoricamente, s’intende. Potrebbe riprendersi la sovranità monetaria, dichiarare decaduto il debito pubblico e mettersi a stampare tutto il denaro che le occorre per finanziare le aziende private e le attività commerciali. Potrebbe farlo, perché possiede la seconda riserva aurea e la seconda riserva petrolifera in Europa; il 70% del patrimonio storico-artistico mondiale e senza contare un risparmio privato fra i più cospicui in assoluto. Il denaro ancora c’è, ma la gente non osa investirlo perché sa che andrebbe subito bruciato; e del resto non sa letteralmente come investirlo, perché intuisce che le banche mirano a fregarglielo e lo Stato si accinge a metterci sopra le mani, o a confiscare le proprietà. E allora, a che scopo darsi da fare? Meglio andare a vivere all’estero, meglio trasferire all’estero sia i capitali che le attività produttive. Molti giovani hanno fatto questa scelta, già da diversi anni; e anche molti anziani, che con la loro pensione possono fare una vita più che dignitosa a Santo Domingo o in qualche altro Paese tropicale, mentre in Italia rischiano la fame, per non parlare dell’insicurezza. Coi ladri che entrano nelle case e svaligiamo i negozi, anche cinque, sei, otto volte di seguito, e i clandestini che rendono rischioso girare per la strada, e le tasse che sono sempre più esose, e le bollette che devono essere comunque pagate anche se le fonti di reddito sono cessate, e le politiche del governo che guardano alla proprietà privata come una sorta di crimine contro l’umanità, anche se è il frutto di onesto e sudatissimo lavoro e non di speculazione finanziaria. Quest’ultima al contrario viene lasciata perfettamente tranquilla e grandi criminali finanziari, come George Soros o Bill Gates, vengono ricevuti con tutti gli onori e guardati alla stregua di benefattori dell’umanità.

    In tutto questo sfacelo della società, in questo oscuramento della ragione, in questa deriva di tutte le regole del buon vivere, in questo venir meno di tutti i punti di riferimento, dove chi dovrebbe guidare lo Stato si è venduto ad oscuri poteri finanziari, e chi dovrebbe proteggere i cittadini è divenuto il loro implacabile persecutore, e chi dovrebbe dare conforto e speranza alle anime si è fatto strumento di una contro-religione che arriva alla sfrontatezza d’intronizzare gl’idoli pagani nella basilica di san Pietro, di negare ai fedeli la celebrazione della santa Messa di Pasqua e centellinare con avarizia quella di Natale, di lasciare milioni di anime senza i Sacramenti, senza la Confessione, perfino senza l‘estrema unzione e un decente funerale cristiano, in questa disfatta complessiva, totale, miserevole della nostra civiltà, o per dire meglio della civiltà in cui ci è toccato in sorte di vivere, anche se intimamente non le apparteniamo, non si riesce a scorgere alcun segnale di ripresa, alcun elemento sul quale fondare una sia pur debole speranza di risalita. E tutto ciò, probabilmente, è un bene. È un bene, come è un bene che l’uomo ingannato, tradito, derubato, venduto e consegnato al nemico, si renda conto di come stanno realmente le cose: veda i falsi amici per quello che sono, li riconosca come i suoi peggiori nemici, come quelli che nella maniera più abietta hanno tradito la sua fiducia, e la smetta di aspettare aiuti esterni che non arriveranno, e soccorsi che qualcuno gli ha fatto immaginare prossimi, mentre sono frutto, anch’essi, di menzogne proferite per gli scopi più bassi. Se costui finalmente prende atto della propria situazione, e incomincia a pensare a come risolvere da sé i suoi problemi, a lottare per riconquistare la libertà e il rispetto di se stesso, ebbene la sorte potrebbe ancora mutare e la sua fine, che pareva imminente, potrebbe ribaltarsi, perché nulla è impossibile quando si è compresa la realtà delle cose e ci si pone realisticamente a escogitare la maniera per uscire dalle difficoltà in cui si è immersi. Pertanto, lo ripetiamo, è un bene che i giochi siano divenuti chiari e che le maschere siano cadute dal volto dei traditori; è un bene, a patto che la gente trovi in se stessa le risorse per scuotersi e reagire, per rialzarsi in piedi, per cominciare a prendere in mano il proprio destino e allontani al più presto i responsabili del disastro nel quale è stata precipitata.

    Noi non siamo dei politici e non abbiamo l’istinto politico, perciò non vogliamo nemmeno provare a indicare quali passi dovrebbero essere fatti per risollevare un popolo che è stato messo in vendita senza che abbia subito una vera sconfitta, perché è caduto vittima di una demoralizzazione diffusa e ormai non osa quasi guardare al di là della sopravvivenza immediata. Siamo però convinti che la crisi in cui siamo sprofondati ha le radici nella dimensione spirituale, ed è su quella che pensiamo si debba fare leva per innescare un possibile movimento di ripresa. Gli italiani hanno sostanzialmente perso la fiducia in se stessi e si sono stancati di lottare contro il muro di gomma che già da anni, da decenni, li opprimeva con il mal funzionamento della cosa pubblica e con il turpe spettacolo di uno Stato che è stato edificato per assicurare poltrone e privilegi a una casta di ciarlatani di lusso, mentre la gente comune deve solo lavorare e pagare le tasse per alimentare gli sprechi e gli abusi dell’élite. Ora, con la pretesa emergenza sanitaria, i nodi sono veramente giunti al pettine; ora è chiaro e lampante perché tante disfunzioni, perché tante storture, perché tante raccomandazioni e perché tanta incompetenza siano funzionali al mantenimento del sistema: perché l’Italia, così come è nata nel 1945, è fatta male. Era fatta male sin dal primo giorno, costruita su un castello di menzogne e sul sangue fresco delle vittime fatte passare per criminali, mentre gli assassini godevano dell’impunità e i loro mandanti morali andavano a fronte alta, costruendo una mitologia farlocca destinata a tramandare per i secoli a venire una narrazione menzognera della storia recente, nella quale il crimine era aver desiderato un’Italia forte e indipendente, mentre il merito era stato quello di pugnalare alla schiena quanti si sforzavano di realizzarla; senza però chiamare le cose con i loro veri nomi, ma anzi spacciando gli assassini, i traditori e gli aspiranti dittatori in eroi senza macchia e senza paura. Un po’ alla volta gli eredi di quegli assassini e quegli aspiranti dittatori si sono impadroniti di tutte le strutture pubbliche, dalla scuola alla magistratura e dall’università ai ministeri, da ultimo perfino della Chiesa cattolica divenuta a sua volta un covo di corruzione e di malaffare, dominata da una cricca di cardinali massoni e pervertiti, che prendono denaro dal Partito comunista cinese e in cambio vendono a quel governo tirannico e crudele i cattolici che ancora resistono in quel disgraziato Paese. Bisogna rifare l’Italia, dunque, in modo radicale: ma da dove cominciare? Proprio come bisogna rifare il clero cattolico (non la Chiesa, che è di Gesù Cristo e che non ha alcun bisogno di essere rifatta, semmai di essere purgata da un clero apostata e depravato): partendo da una vera e propria rigenerazione interiore. I credenti la chiamano conversione: un totale rovesciamento di prospettiva, un morire all’uomo carnale, dominato dai bassi istinti e un nascere dell’uomo spirituale, che pur nella sua fragilità guarda in alto e in avanti, non vive per l’immediato ma per l’eterno, e non vuol piacere agli altri ma alla propria coscienza e soprattutto a Dio. Di questo c’è bisogno, in primo luogo. Nessuna ripresa materiale sarà possibile se non si parte dal grado zero: che è quello dello spirito. Ci eravamo quasi scordati di avere uno spirito; ora dobbiamo rientrare in noi stessi e tornare alla consapevolezza che la vita è cosa seria e preziosa, un ineffabile dono divino.
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    di Francesco Lamendola - 14/01/2021

    Fonte: Accademia nuova Italia

    Il mondo moderno, la cosiddetta cultura moderna e, purtroppo, anche la filosofia moderna, sono il mondo, la cultura e la filosofia della chiacchiera, della dòxa, dell’opinione, non dell’epistéme, della certezza e perciò della conoscenza certa e sicura. La grande vittima della civiltà moderna, se civiltà si può chiamare la distruzione di ogni tradizione, di ogni principio gerarchico ed ogni trascendenza, è stata prima di ogni cosa l’alétheia, la verità. Si usa dire che la prima vittima della guerra è la verità, nel senso che la guerra richiede che ciascuna delle parti combattenti costruisca una narrazione degli eventi che risponde ai fini della propaganda, il che significa automaticamente sacrificare, in parte o del tutto, e non casualmente ma intenzionalmente e sistematicamente, i diritti della verità. Ebbene, la stessa cosa si può dire per la civiltà moderna, che è il frutto di una guerra permanente dell’uomo contro se stesso, dell’uomo contro Dio e di una classe contro l’altra. Non ci si lasci ingannare dal carattere apparentemente pacifico e dalle declamazioni retoriche degli intellettuali moderni: fin dall’inizio il loro scopo è stato quello di condurre a fondo, ossia fino alla distruzione del loro nemico, la triplice guerra di cui abbiamo detto. Si prenda in mano un qualsiasi volume, si legga una qualsiasi voce della Encyclopédie, il testo fondativo della visione moderna del mondo, opera della massoneria illuminista, ovvero dell’illuminismo massonico (le due cose sono inseparabili): non vi si troverà, se non in apparenza, un’esposizione oggettiva dei fatti, ma una narrazione estremamente partigiana e faziosa, profondamente intollerante a dispetto dello sbandierato principio di tolleranza. Vi si troverà invece un livore, un astio, un odio patologico per il passato, per la storia, per la tradizione, per lo spirito, per tutto ciò che non è di natura materiale, né è spiegabile e dimostrabile scientificamente, e per tutto ciò che non è immanente e non si presta alla costruzione di quel Mondo Nuovo che già filosofi come Francis Bacon avevano immaginato, e che scienziati come Galilei avevano auspicato (si pensi alla sua formula di rifare ‘e cervelli), il mondo della Fratellanza Universale e dell’umanesimo col grembiulino. È penoso e indigesto leggere voci come quelle dedicate alla religione, a ciò che è spirituale o soprannaturale: vi si trova una totale incomprensione, una totale ignoranza, un totale rifiuto, atteggiamenti che hanno messo radici e fatto scuola, visto che ancora oggi il tipico intellettuale progressista è del tipo di Piergiorgio Odifreddi, il quale pare uscito, pari, pari, dallo stampino della Encyclopédie.

    Ora, se si vuole uscire dalla palude malsana della modernità; se si vuole riconquistare una vita a misura d’uomo; se si vogliono affilare le armi con le quali difendersi dalle continue aggressioni provenienti dal potere, sempre più spietato e sempre più intenzionato a derubare gli uomini non solo delle cose materiali, ma anche dei beni spirituali e della loro stessa anima; in breve, se si vuole conservare il proprio statuto ontologico di esseri umani e non rassegnarsi a regredire ad una condizione sub-antropologica, è assolutamente indispensabile recuperare la nozione della verità e la fiducia di poterla ragionevolmente riconoscere, almeno nei termini e nei limiti che sono connaturati alla condizione di creatura. Ora, filosoficamente parlando, il concetto della verità si avvicina molto al realismo gnoseologico, anche se non coincide del tutto con esso, nel senso che bisogna essere sempre consapevoli del fatto che la verità è un’approssimazione, non un possesso pieno e incondizionato, e che le cose potrebbero non essere come sembrano, anche se è sbagliato presupporre che non lo siano affatto, mai o quasi mai, secondo la suggestiva immagine del diavoletto di Cartesio, il quale si divertirebbe ad ingannarci, facendoci cadere nella trappola delle false apparenze. E questo per la buona ragione che l’esperienza, maestra tra di vita, ci mostra che la totale discordanza fra la cosa come appare e la cosa come è, rappresenta piuttosto l’eccezione che la regola. La regola è che se vediamo del fumo, deve esserci un fuoco; se l’acqua ghiaccia nelle pozzanghere, deve aver fatto molto freddo; e se una persona lavora seriamente e realisticamente, riesce a portare a termine il compito che si era prefissato.

    Certo, a questo punto sarebbe necessario fare una distinzione: perché dire la cosa come è implica una certa quale forzatura logica, anche se, nella sfera della vita pratica, del tutto naturale e necessaria: la cosa in se stessa, infatti, a rigore non la conosce nessuno, se non Dio, che ne è il creatore, e nella cui mente era presente ancor prima che il mondo cominciasse ad esistere. Perciò quando diciamo, sulla scia della buona filosofia classica, di Aristotele e di san Tommaso d’Aquino - buona filosofia che, guarda caso, è d’impianto solidamente realistico, ossia ammette che le cose sono stanzialmente quello che concretamente noi esperiamo e quello che per noi è intelligibile -, quando diciamo che di regola vi è una concordanza fra la cosa come è e la cosa come appare, non intendiamo altro che questo: che la cosa appare così come a noi appare, non già tuttavia in maniera arbitraria e soggettivistica (o addirittura solipsistica), bensì secondo delle costanti che sono:

    a) logiche: essenzialmente il principio di non contraddizione;

    b) fisiche: l’alta improbabilità teorica, ossia l’impossibilità pratica, che le cose smentiscano la propria natura;

    c) storiche: la coscienza che le cose mutano nel tempo, perché la realtà è movimento, il che non toglie che siano sempre le stesse, anche se assumono apparenze mutevoli nell’arco degli anni, dei secoli o dei millenni.

    Tra i filosofi contemporanei, quello che si è maggiormente impegnato per ristabilire il concetto della verità nei termini del realismo (aristotelico e tomistico) è stato monsignor Antonio Livi (Prato, 25 agosto 1938-Roma, 2 aprile 2020), già decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense, la cui scomparsa, durante il lockdown per il Covid-19, è passata pressoché inosservata, al di fuori della cerchia ristretta dei suoi amici ed estimatori, così come inosservata era stata la persecuzione da lui subita, in silenzio e con estrema dignità, ad opera del clero bergogliano, a causa delle sue nette e coraggiose prese di posizione contro la sistematica adulterazione della dottrina cattolica. Basti dire che i giornali che per anni e anni erano stati fieri di ospitare i suoi splendidi articoli, come L’Avvenire, lo avevano completamente scaricato, ospitando al contrario degli articoli nei quali veniva attaccato in maniera vergognosa; che gli era stato tolto lo stipendio di presbitero; che i suoi lavori accademici venivano ignorati o rifiutati dalla librerie cattoliche, le stesse che tanto volentieri espongo i libri di eretici come Enzo Bianchi o di teologi insignificanti come Vito Mancuso; mentre il mondo delle scuole superiori e delle università ha sostanzialmente ignorato il suo eccellente manuale in tre volumi La filosofia e la sua storia, sul quale migliaia di giovani avrebbero potuto entrare nel mondo degli studi filosofici da una prospettiva autenticamente cristiana e al tempo stesso apprendere l’amore per il pensiero razionale attraverso una metodologia speculativa rigorosa, chiara, impeccabile. Ma lasciando da parte, in questa sede, il triste capitolo del silenzio voluto, con il quale si è voluto punire il sacerdote coerente e il filosofo indisponibile ai compromessi, proprio come era già accaduto all’ottimo Cornelio Fabro, dobbiamo ricordare che ad Antonio Livi spetta il vanto, in questi tempi di relativismo e pensiero debole, d’aver rimesso in auge il fondamento stesso del “pensare forte”, vale a dire quella che è conosciuta come la filosofia del senso comune, della quale è stato uno dei massimi esponenti (come il suo maestro Étienne Gilson).

    Secondo Livi, ciascuno possiede delle certezze intime, naturali e incontestabili, anteriormente a qualsiasi ragionamento; certezze che derivano dall’esperienza immediata e che, essendo universali e necessarie, sono a loro volta la base di ogni ulteriore conoscenza. Le certezze fondamentali sono:

    a) l’esistenza del mondo, formato da un insieme di enti in movimento;

    b) l’esistenza dell’io, che si coglie nell’atto di conoscere il mondo (cosa ben diversa dal cogito cartesiano, che è il risultato di una riflessione ad exludendum e non di un dato immediato della coscienza);

    c) la certezza di altri soggetti, riconosciuti come simili a sé;

    d) la certezza di una legge morale che regola i rapporti di libertà e responsabilità fra l’io e gli altri;

    e) la certezza di Dio quale causa prima e causa finale di tutto ciò che esiste.

    Ciascuna di queste certezze costituisce, di per sé; un’evidenza: non il risultato di una speculazione, ma un dato della coscienza che si pone come fondamento di ogni altro dato di realtà e di ogni atto del pensare, del volere e dell’agire. Monsignor Livi ha dedicato gran parte della sua attività di ricerca all’analisi di queste evidenze ed è arrivato a dimostrare che esse, in effetti, sono il telaio sul quale si fonda e si sviluppa ogni altra conoscenza, e senza il quale nessun conoscere sarebbe possibile. Gli uomini, pertanto, se non disponessero di tali evidenze, vagherebbero a tentoni nel buio, come ciechi o ubriachi: e il dramma della civiltà moderna è appunto quello di aver dapprima posto in dubbio (il dubbio sistematico delle filosofie razionaliste, Cartesio in primis), e poi demolito e abbandonato, ogni fede nella possibilità di una conoscenza immediata e naturale, come quella descritta e studiata da Antonio Livi. Il metodo da questi utilizzato è stato quello della presupposizione e della logica aletica: possiamo considerare la conoscenza umana da qualsiasi lato, ma non riusciremo mai ad ammettere che l’uomo effettivamente conosce qualcosa, e che questo suo conoscere gli permette di agire razionalmente nel mondo, se non ammettiamo che è reso possibile da un substrato di evidenze naturali, che sono la base di partenza per tutti i movimenti ulteriori della sua mente, da quelli del bambino che arriva a toccare gli oggetti visti per la prima volta, a quelli del matematico o del filosofo che spingono i loro ragionamenti sino alle soglie del concetto d’infinito. La logica aletica, poi, ha permesso a Livi di indagare non solo la possibilità di conoscere veracemente, ma anche di stabilire in che modo una determinata affermazione deve considerarsi vera o non vera. Infatti ci sono molti casi nei quali una proposizione non è, di per se stessa, né vera né falsa, ma diviene vera o falsa a seconda del sistema olistico nel quale è inserita, e che ha a che fare con la categoria della possibilità, una tipica categoria esistenziale (che ci permette di stabilire un ponte ideale fra il pensiero di Livi, quello del suo collaboratore Cornelio Fabro e quello del filosofo più amato e studiato da Fabro stesso, Kierkegaard). Nella realtà fattuale dell’esistenza, i fatti, le cose, non si pongono come veri o falsi in senso astratto, ma acquistano verità o falsità in base a come vengono declinati nella categoria del possibile. Dal punto di vista della logica aletica, per esempio, bisogna prima stabilire se la vetta di una certa montagna, in un certo momento, è materialmente accessibile, o no; se non lo è, poniamo per un’eruzione vulcanica che ha provocato una colata di lava bollente, l’affermazione che Mario l’ha conquistata percorrendo proprio quel versante assume immediatamente un connotato di non verità. Ricordiamo che la verità di una cosa consiste nella concordanza fra il giudizio e la cosa stessa: e se è vero che i fatti si impongono alle teorie, è altrettanto vero che i fatti logicamente impossibili devono essere esclusi dal panorama della conoscenza, perché servono solo ad ingombrarlo di materiali inutili.

    Citiamo dalla Enciclopedia della Matematica della Treccani, edizione 2013:



    [La] logica aletica (dal greco alétheia, “verità”) particolare una logica modale, che non si limita, come la logica classica, a determinare se una proposizione è vera o falsa, ma si spinge a indagare le modalità con cui una proposizione può essere vera o falsa. Per esempio, una frase come «Marco potrebbe perdere il posto di lavoro» non rientra nei canoni della logica classica perché, contenendo un’idea di possibilità, non è definitivamente vera o falsa. Il modo in cui una proposizione è vera (NECESSARIAMENTE o POSSIBILMENTE vera) è chiamato “aletica” ed è stato oggetto di studio di logici e filosofi a partire da Aristotele. I concetti di POSSIBILITÀ e di NECESSITÀ sono formalizzati per mezzo dei cosiddetti OPERATORI ALETICI: gli operatori del POSSIBILE («è possibile che…» e del NECESSARIO («non è possibile che non…»).



    In definitiva, monsignor Livi ha avuto l’immenso merito di rimettere il senso comune, inteso non come banale buon senso (che è una cosa completamente diversa) ma il senso comune della normale esistenza umana, a fondamento di ogni sistema gnoseologico. Inutile dire che la sua posizione è stata criticata tanto dai sostenitori del pensiero debole, come Gianni Vattimo, quanto dai fautori di una concezione di tipo parmenideo, come Emanuele Severino; gli uni e gli altri, da versanti opposti, hanno lanciato contro la filosofia del senso comune l’accusa di semplicismo e di non tener conto dell’effettiva complessità e problematicità del fenomeno del conoscere. Ma sono parole che abbiamo già sentito tante, troppe volte: il reale è complesso, il reale è problematico; dunque bisogna negare ogni valore di certezza al conoscere e contentarsi dell’opinione. Ma se davvero il pensiero deve ridursi ad opinione, tanto vale gettare nel cestino la filosofia, e dedicarsi a passatempi più utili.
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